Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 06-07-2012, n. 11401 Professori universitari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Y.J.R.M. e Z.A.J. convennero in giudizio avanti al Tribunale di Milano l’Università degli Studi di Milano e l’Inps e premesso che:

– erano stati assunti per la prima volta come lettori di lingua straniera rispettivamente negli anni accademici 1985/86 e 1984/85, con contratti annuali stipulati ai sensi del D.P.R. n. 382 del 1980, art. 28 e successivamente reiterati;

– avevano sottoscritto nell’ottobre 1993, dopo la scadenza dell’ultimo di tali contratti, una volta intervenuta la sentenza 2 agosto 1993 della Corte di Giustizia della Comunità Europea, che aveva dichiarato discriminatorio il limite annuale di durata previsto dal D.P.R. n. 382 del 1980, menzionato art. 28, un nuovo contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato a partire dal 15 gennaio 1994, con la qualifica di collaboratore ed esperto linguistico, secondo le previsioni del D.L. n. 530 del 1993, reiterato più volte, con effetti fatti salvi dalla Legge di Conversione n. 236 del 1995;

– le nuove qualifica e posizione funzionale erano peggiori di quelle precedenti;

– avevano comunque svolto, nel corso dell’intero rapporto di lavoro, le medesime mansioni di carattere didattico e scientifico, per circa 700 – 800 ore annue;

– avevano ottenuto varie pronunce giudiziarie, passate in giudicato, che, relativamente a periodi diversi, avevano riconosciuto la natura subordinata dei rapporti sin dall’origine (ossia dal 1985-86 per Y. e dal 1984-85 per Z.) ed il diritto all’adeguamento dello stipendio ai livello retribuivo del professore associato a tempo definito sino al 1993-1994;

sulla base di tali premesse, chiesero che, accertata la natura subordinata e l’unitarietà dei rapporti di lavoro dalla data della prima assunzione, fosse riconosciuto loro il diritto a percepire il trattamento economico corrispondente al livello retributivo del professore associato a tempo definito e a mantenere la qualifica e te mansioni di lettore, oltre al diritto alla progressione di anzianità e carriera fin dalle origini del rapporto, con condanna della convenuta al pagamento delle differenze retributive e alla regolarizzazione della posizione contributiva; chiesero, inoltre, l’accertamento della nullità e/o invalidità dei contratti stipulati nel 1994 e il risarcimento dei danni conseguenti all’illegittima dequalificazione e modifica in pejus delle loro condizioni di lavoro, attuata dall’Università a partire dall’anno 1995-96.

Radicatosi il contraddicono, sulla resistenza dell’Università convenuta ed essendosi l’Inps rimesso alle determinazioni del giudice, il Tribunale di Milano considerò inammissibile la domanda di accertamento di un unitario rapporto di lavoro a tempo indeterminato D.P.R. n. 382 del 1980, ex art. 28, data l’esistenza dei giudicati; escluse che la posizione di lavoro dei ricorrenti fosse stata equiparata a quella dei professori associati, il cui trattamento retribuivo era stato applicato dall’Università, in esecuzione delle sentenze emesse, solo come parametro di riferimento ex art. 36 Cost.; ritenne che il nuovo contratto concluso nel 1994 avesse sostituito la precedente regolamentazione esistente tra le parti per il trattamento economico e le mansioni; che esso avesse avuto quindi carattere novativo, fosse disciplinato dall’art. 51 del CCNL 21 maggio 1996 e prevedesse il mantenimento delle precedenti condizioni economiche ad personam, stante l’incertezza derivante dai giudizi in corso sulla sorte dei precedenti contratti.

La Corte d’Appello di Milano confermò la statuizione del primo giudice.

La Corte di Cassazione, con sentenza n. 21012/2007, pronunciando su) ricorso proposto dai lavoratori, rigettò il primo motivo, accolse il secondo, dichiarò assorbiti gli altri e cassò la sentenza impugnata, con rinvio alla Corte d’Appello di Torino. Osservò in particolare questa Corte che:

– la Corte di merito, circa le mansioni dei ricorrenti, non aveva compiuto uno specifico adeguato accertamento, essendosi limitata ad affermare che, con l’abrogazione del D.P.R. n. 382 del 1980, art. 28 e la stipulazione dei nuovi contratti in base al D.L. n. 120 del 1995, convertito con la L. n. 236 del 1995, non vi sarebbe stata alcuna dequalificazione e alcun mutamento in pejus delle mansioni svolte dai lettori, ritenendo però al tempo stesso che l’istruttoria aveva posto in luce che questi, "come in precedenza", avevano svolto le attività di supporto al docente poi specificate dalle parti collettive;

– in tal modo la Corte territoriale non aveva tenuto presente che il D.L. n. 120 del 1995, art. 4, che regolamenta la nuova figura professionale de collaboratore linguistico di madre lingua straniera con contratto di lavoro subordinato di diritto privato a tempo indeterminato, vale solo per il futuro e non è applicabile ai rapporti di lavoro dei lettori di lingua straniera sorti, come nella specie, sulla base della previgente normativa;

– quindi, quanto alle mansioni e alla relativa retribuzione, la Corte non avrebbe potuto, senza specifici accertamenti di fatto che evidenziassero un reale mutamento rispetto allo stato di fatto accertato con i precedenti giudicati, negare l’utilizzabilità del parametro retribuivo precedentemente adottato.

A conclusione questa Corte enunciò il principio di diritto che il Giudice del rinvio avrebbe dovuto osservare nei seguenti termini:

"Con riferimento ai lettori di lingua straniera in Italia che abbiano ottenuto con sentenza passata in giudicato il riconoscimento di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato in corso con l’Università, ancorchè il giudicato non copra relativamente ai rapporti giuridici di durata e alle obbligazioni periodiche gli elementi variabili nel tempo quali la quantità di lavoro prestato e la "giusta retribuzione", ove il giudice di merito intenda discostarsi dal parametro retributivo riconosciuto nel precedente giudicato è tenuto ad indicare quali siano le modifiche intervenute di fatto nell’attività svolta dal lettore idonee a giustificare l’adozione di un siffatto diverso parametro, senza che al riguardo sia sufficiente il riferimento al D.L. n. 120 del 1995, art. 4, convertito dalla L. 21 giugno 1995, n. 236 che regolamenta la nuova figura professionale del collaboratore linguistico di madre lingua straniera con contratto di lavoro subordinato di diritto privato a tempo indeterminato – posto che tale norma vale solo per il futuro e non è applicabile ai rapporti di lavoro dei lettori di lingua straniera sorti, come nella specie, sulla base della previdente normativa". Riassunto il giudizio e ricostituitosi il contraddittorio, la Corte d’Appello di Torino, con sentenza del 21.1 – 2.3.2009, respinse l’appello proposto avverso la sentenza di primo grado, osservando a sostegno del decisum, quanto segue:

– quale giudice di rinvio, sulla base del principio di diritto dettato dalla Corte di Cassazione, era chiamata ad operare la valutazione concreta in fatto circa l’evolversi o meno delle mansioni dei lettori e avrebbe potuto respingere l’appello solo ove fosse stato accertato che mutamento vi era stato, posto che, in caso contrario – qualora cioè le mansioni dei due appellanti fossero sempre rimaste invariate e corrispondenti a quelle che i medesimi avevano svolto nel periodo ormai coperto dal pregresso giudicato – si sarebbe dovuta accogliere le domande, riconoscendo il diritto alla stessa retribuzione già riconosciuta dalla precedente sentenza definitiva;

– l’onere della prova circa il mancato mutamento di mansioni, ossia "circa la identità di mansioni in passato ed ora", spettava a chi agiva per il riconoscimento di tale diritto e, dunque, ai lavoratori appellanti;

– sulla base delle acquisite deposizioni testimoniali, con precipuo riferimento a quelle di tre testi, era evincibile che diverse cose erano cambiate, proprio nelle mansioni dei lettori (che, in particolare, avevano svolto le interrogazioni di esame solo sulla parte linguistica e non anche sulla letteratura), tra il periodo precedente il 1995 e il successivo;

– non era "necessario – e non si è raggiunta – la prova piena ed esaustiva di che cosa sia cambiato e di quali fossero le mansioni nel dettaglio dei lettori, prima e dopo tale data, essendo sufficiente, a porre il forte dubbio circa il mancato assolvimento dell’onere della prova, proprio l’acquisizione della certezza che cambiamenti vi furono"; i ricorrenti non avevano perciò assolto l’onere di dimostrare che essi avevano svolto, "dopo il 1995, le stesse identiche mansioni che, svolte prima del 1995, avevano giustificato la decisione sul cui giudicato fondano le aspettative".

Avverso l’anzidetta sentenza resa in sede di rinvio, Y.J. R.M. e Z.A.J. hanno proposto ricorso per cassazione fondato su sei motivi.

L’Università degli Studi di Milano ha resistito con controricorso.

L’Inps ha depositato procura, presentandosi all’udienza di discussione.
Motivi della decisione

1. Con il primo motivo i ricorrenti denunciano violazione dell’art. 384 c.p.c., dolendosi che il Giudice del rinvio, disattendendo il principio di diritto enunciato da questa Corte di legittimità, si fosse limitato ad affermare genericamente che vi erano stati dei cambiamenti, senza però dimostrare in cosa fossero consistiti e perchè fossero idonei ad escludere l’applicabilità del parametro di professore associato; nè il Giudice del rinvio aveva individuato un parametro retribuivo diverso e inferiore a quello di professore associato a tempo definito da applicare alla fattispecie concreta, con la conseguenza che i rapporti venivano ad essere regolati pienamente dalla L. n. 236 del 1995, in contrasto con quanto affermato nella sentenza di cassazione.

Con il secondo motivo, denunciando violazione dell’art. 2697 c.c. e art. 416 c.p.c., i ricorrenti si dolgono che la sentenza impugnata abbia posto a loro carico l’onere della prova relativo all’insussistenza dei mutamenti del tipo di mansioni svolte, e ciò, peraltro, in un contesto probatorio nel quale, in ossequio al principio di non contestazione, si sarebbe dovuto ritenere acquisita la continuità del tipo, della qualità e della quantità delle mansioni espletate.

Con il terzo motivo i ricorrenti denunciano vizio di motivazione in ordine all’affermazione di essere intervenuti dei mutamenti nelle mansioni espletate in mancanza di una valutazione comparativa e riguardando gli asseriti cambiamenti circostanze ed aspetti del tutto marginali; la valutazione effettuata si era posta inoltre in contrasto con quella del Giudice di prime cure, nella parte in cui, con accertamento da ritenersi non più contestabile per effetto del giudicato interno, aveva riconosciuto la sostanziale prosecuzione dell’attività di docenza; doveva inoltre ritenersi contraddittorio ritenere non raggiunta la prova piena ed esaustiva di cosa fosse cambiato e, al contempo, ritenere acquisito che cambiamenti vi erano stati.

Con il quarto motivo, denunciando plurime violazioni di norme di diritto, i ricorrenti si dolgono che il Giudice del rinvio non abbia provveduto d’ufficio all’applicazione della normativa di cui alla L. n. 63 del 2004 (di conversione, con modificazioni, del D.L. 14 gennaio 2004, n. 2), che garantisce ai lettori assunti D.P.R. n. 382 del 1980, ex art. 28, l’adeguamento retributivo al parametro minimo del ricercatore confermato a tempo definito, fatti salvi i trattamenti più favorevoli in considerazione della quantità e qualità delle mansioni svolte.

Con il quinto motivo i ricorrenti, denunciando plurime violazioni di norme di diritto, si dolgono che la Corte territoriale abbia finito per negare l’unitarietà dei rapporti di lavoro, così non dichiarando la nullità/inefficacia dei contratti successivamente conclusi e l’illegittimità dei cambiamenti di mansioni vendicatisi.

Con il sesto motivo i ricorrenti, denuncino il vizio di omessa pronuncia in ordine alle domande:

– di accertamento dell’unicità del rapporto di lavoro subordinato a far data dalla prima assunzione;

– di accertamento della nullità o comunque della parziale invalidità del contratti conclusi come collaboratori ed esperti linguistici, con le consequenziali affermazioni relative al riconoscimento della denominazione di lettori universitari, di svolgimento delle mansioni assegnate contrattualmente e di fatto in precedenza e di condanna alla costituzione e regolarizzazione delle posizioni previdenziali e assistenziali in relazione al trattamento retribuivo spettante;

– di risarcimento dei danni da dequalificazione a causa della nuova denominazione e qualifica di collaboratori ed esperti linguistici.

2. I primi tre motivi di ricorso, fra loro connessi, vanno esaminati congiuntamente.

2.1 Contrariamente a quanto ritenuto dai ricorrenti, la Corte territoriale ha esattamente seguito il principio di diritto enunciato da questa Corte, che, nella sua correlazione con la domanda svolta, di riconoscimento del diritto a percepire il trattamento economico corrispondente al livello retributivo del professore associato a tempo definito, ha demandato al Giudice del rinvio l’accertamento, ai fini dell’eventuale esclusione di tale pretesa, delle modifiche intervenute di fatto nell’attività svolta dai lettori.

2.2 Del pari correttamente il Giudice del rinvio, in conformità con le regole di ripartizione dell’onere probatorio, ha riconosciuto che, derivando il diritto invocato dalla effettiva persistenza nelle medesime precedenti mansioni (in forza delle quali era stato riconosciuto, per gli anni pregressi, l’adeguamento dello stipendio al livello retributivo del professore associato a tempo definito) incombesse sulla parte che tale diritto aveva invocato (e, dunque, sui lavoratori) l’onere di fornire la relativa dimostrazione in positivo.

2.3 Nessun obbligo di individuare un parametro retribuivo diverso e inferiore a quello di professore associato a tempo definito da applicare alla fattispecie concreta era stato poi imposto al Giudice del rinvio (com’è del resto reso palese dalla lettura del principio di diritto da applicarsi); il che è peraltro consequenziale al contenuto della domanda svolta, di accertamento del diritto al mantenimento del precedente trattamento economico e non già di determinazione del compenso, diverso ed eventualmente maggiore di quello pattuito, spettante per effetto delle mansioni espletate.

2.4 La necessità – imposta dalla sentenza di legittimità – di accertamento degli eventuali cambiamenti delle mansioni svolte escludeva poi in radice la già avvenuta eventuale formazione del giudicato interno in ordine alla insussistenza di tali cambiamenti.

2.5 Il Giudice del rinvio, facendo corretta applicazione delle regole di ripartizione dell’onere probatorio e del principio di diritto a cui doveva attenersi, ha riscontrato che non si era raggiunta la prova del mantenimento delle identiche mansioni e che, al contrario, sulla base delle emergenze istruttorie acquisite, vi era stato effettivamente un mutamento delle mansioni, incidente, in particolare, sull’ambito delle prove di esame demandate ai lavoratori e, dunque, su un profilo di significativa portata qualitativa della loro attività; con il che deve essere esclusa la pretesa contraddittorietà della motivazione svolta e la sua inidoneità a spiegare i percorso logico giuridico conducente alla decisione adottata.

Il richiamo dei ricorrenti a talune asseritamente divergenti risultanze istruttorie, anche a prescindere dalla violazione del principio di autosufficienza a causa dell’incompleta trascrizione in ricorso delle stesse, così come il profilo di doglianza relativo al mancato apprezzamento della pretesamente già avvenuta acquisizione della prova per conseguenza del principio di non contestazione (che necessariamente implica una valutazione tanto della natura effettivamente specifica e circostanziata delle allegazioni attoree, quanto della portata delle contestazioni svolte ex adverso), si risolvono, a fronte di una motivazione esaustiva e priva di vizi logici, nella richiesta di una rilettura del materiale probatorio inammissibile in questa sede di legittimità.

2.61 motivi all’esame non possono quindi trovare accoglimento.

3. Il quarto motivo è inammissibile, sia perchè svolto in contemplazione di una domanda (la determinazione del compenso, diverso ed eventualmente maggiore di quello pattuito, spettante per effetto delle mansioni espletate) differente da quella proposta (di accertamento del diritto al trattamento retributivo riconosciuto per i periodi lavorativi pregressi), sia perchè fondato sulla pretesa applicabilità officiosa dello ius superveniens (la L. n. 63 del 2004, di conversione, con modificazioni, del D.L. 14 gennaio 2004, n. 2), laddove, trattandosi di normativa già emanata al momento della proposizione del primo ricorso per cassazione, la necessità di farne applicazione avrebbe dovuto essere oggetto di specifico motivo di censura in quella sede.

4. Il quinto motivo è infondato, posto che:

– l’unitarietà del rapporto di lavoro costituiva una circostanza inequivocamente già espressa nello stesso principio di diritto enunciato nella decisione della Corte di Cassazione, cosicchè nessuna ulteriore statuizione sul punto doveva ritenersi ancora necessaria; nè tale unitarietà può dirsi essere stata negata dalla sentenza impugnata, che si è limitata, in correlazione al contenuto della domanda svolta, a negare il diritto al mantenimento dell’adeguamento economico in precedenza riconosciuto;

– la riconosciuta rilevanza ai fini del decidere degli eventuali cambiamenti di mansione intervenuti e la necessità di un accertamento al riguardo, secondo quanto richiesto al Giudice del rinvio dalla sentenza di questa Corte, già di per sè statuiva implicitamente l’esclusione che tali cambiamenti, ove verificatisi, fossero configurabili come illegittimi.

5. Il sesto motivo di ricorso si conclude con il seguente quesito di diritto: "Dica la Suprema Corte se, in seguito alla cassazione con rinvio della sentenza di una Corte d’Appello per effetto dell’accoglimento di uno dei motivi del ricorso per cassazione, con espressa declaratoria di assorbimento degli altri motivi proposti, il giudice del rinvio debba applicare il principio di diritto formulato, e debba altresì pronunciarsi su tutte le domande riproposte in seguito al dichiarato assorbimento dei motivi di cassazione, che non possono ritenersi rigettati dalla Suprema Corte ma necessitano di una pronuncia del giudice del rinvio".

Secondo la giurisprudenza di legittimità, il principio di diritto previsto dall’art. 366 bis c.p.c. (qui applicabile ratione temporis), deve consistere in una chiara sintesi logico-giuridica della questione sottoposta al vaglio del giudice di legittimità, formulata in termini tali per cui dalla risposta – negativa od affermativa – che ad esso si dia, discenda in modo univoco l’accoglimento od il rigetto del gravame (cfr, ex plurimis, Cass., SU, n. 20360/2007);

più in particolare deve considerarsi che il quesito di diritto, rispondendo all’esigenza di soddisfare l’interesse del ricorrente ad una decisione della lite diversa da quella cui è pervenuta la sentenza impugnata, ed al tempo stesso, con una più ampia valenza, di enucleare, collaborando alla funzione nomofilattica della Suprema Corte di Cassazione, il principio di diritto applicabile alla fattispecie, costituisce il punto di congiunzione tra la risoluzione del caso specifico e l’enunciazione del principio generale, e non può consistere in una mera richiesta di accoglimento del motivo o nell’interpello della Corte di legittimità in ordine alla fondatezza della censura così come illustrata nello svolgimento dello stesso motivo, ma deve costituire la chiave di lettura delle ragioni esposte e porre la Corte in condizione di rispondere ad esso con l’enunciazione di una regola iuris che sta, in quanto tale, suscettibile di ricevere applicazione in casi ulteriori rispetto a quello sottoposto all’esame del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata (cfr, ex plurimis, Cass., nn. 11535/2008;

19892/2007); conseguentemente è inammissibile non solo il ricorso nel quale il suddetto quesito manchi, ma anche quello nel quale sia formulato in modo inconferente rispetto alla illustrazione dei motivi d’impugnazione; ovvero sia formulato in modo implicito, sì da dovere essere ricavato per via di interpretazione dal giudice; od ancora sta formulato in modo tale da richiedere alla Corte un inammissibile accertamento di fatto; od, infine, sia formulato in modo del tutto generico (cfr, ex plurimis, Cass., SU, 20360/2007, cit.).

Il quesito di diritto svolto a conclusione del motivo all’esame è del tutto generico, non contenendo alcuno specifico richiamo alla fattispecie concreta a cui dovrebbe riferirsi; pertanto, quale che fosse la risposta data, la stessa non consentirebbe, proprio per la genericità del quesito, di riconoscere la fondatezza o meno della doglianza svolta.

Ne discende quindi l’inammissibilità del motivo.

6. In definitiva il ricorso va rigettato.

Le spese, liquidate come in dispositivo a favore della controricorrente, seguono la soccombenza.

Il carattere meramente collaterale dell’attività difensiva espletata dall’Inps consiglia la compensazione delle spese fra quest’ultimo e i ricorrenti.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido alla rifusione delle spese in favore della controricorrente Università degli Studi di Milano, che liquida in Euro 60,00 (sessanta), oltre ad Euro 4.000,00 (quattromila) per onorari ed accessori come per legge;

compensa le spese fra i ricorrenti e l’Inps.

Così deciso in Roma, il 23 maggio 2012.

Depositato in Cancelleria il 6 luglio 2012
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