T.A.R. Campania Salerno Sez. II, Sent., 14-01-2011, n. 43

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La signora A.P. ha ereditato dai propri genitori, signori F.P. e M.D.B., un appezzamento di terreno in agro del comune di Avella (fl. 19, part. 274), interessato alla realizzazione di un’arteria stradale e, pertanto, fatto oggetto del decreto sindacale di occupazione d’urgenza n. 1264 del 31.3.1981, relativo ad un’estensione di mq. 930.

Avvenuta in data 7.5.1990 l’irreversibile trasformazione del fondo senza che un atto formale di esproprio sia mai stato emesso, nel presente giudizio, la ricorrente chiede la condanna del comune al pagamento di una somma di denaro corrispondente all’indennità per occupazione legittima ed al risarcimento del danno da occupazione illegittima da commisurarsi al valore venale del bene, oltre interessi e rivalutazione.

Si è sostituita l’amministrazione, eccependo il difetto di giurisdizione e la prescrizione del diritto.

I fatti narrati sono pacifici, perché non contestati dall’amministrazione intimata sia nel presente giudizio che in quello civile precedentemente instaurato dinanzi al Tribunale di Avellino (n. 2814/06 R.G.) e cancellato dal ruolo ai sensi dell’art. 309 c.p.c.

All’udienza del 12.1.2011 la causa è stata trattenuta in decisione.
Motivi della decisione

Va preliminarmente dichiarata la giurisdizione del giudice ordinario in materia di pagamento di indennità per occupazione legittima e, pertanto, la conseguente inammissibilità del gravame, per questa parte.

Invero, il giudice amministrativo, nello stabilire l’importo del danno da ablazione illegittima, non può includervi anche quanto dovuto per il periodo di occupazione legittima, la cui valutazione è di spettanza del giudice ordinario, a norma degli artt. 53, comma 3 e 54 T.U. 8 giugno 2001, n. 327.

Né l’evidente comunanza tra la domanda risarcitoria e quella di carattere indennitario può giustificare l’attribuzione di entrambe allo stesso giudice, essendo indiscusso il principio generale dell’inderogabilità della giurisdizione, anche per motivi di connessione (cfr. Cass. civ., Sez. un., 9 febbraio 2010, n. 2788; Cons. Stato, Sez. IV, 22 luglio 2010, n. 4825; T.A.R. CampaniaSalerno, Sez. II, 10 maggio 2010, n. 5911).

Con riferimento, invece, alla richiesta di condanna del comune di Avella al risarcimento del danno per l’occupazione illegittima del bene e la sua irreversibile trasformazione, occorre rilevare che in nessun caso, neppure a fronte della sopravvenuta irreversibile trasformazione del suolo per effetto della realizzazione dell’opera pubblica, è possibile giungere, nonostante l’espressa domanda in tal senso di parte ricorrente, ad una condanna puramente risarcitoria a carico dell’amministrazione, poiché una tale pronuncia postula inammissibilmente l’avvenuto trasferimento della proprietà del bene per fatto illecito dalla sfera giuridica del ricorrente, originario proprietario, a quella della P.A. che se ne è illecitamente impossessata. Esito, questo (comunque sia ricostruito in diritto: rinuncia abdicativa implicita nella domanda solo risarcitoria, ovvero accessione invertita), vietato dal primo protocollo addizionale della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo (cfr. T.A.R. CalabriaCatanzaro, Sez. I, 1 luglio 2010, n. 1418). Donde la necessità di un passaggio intermedio, finalizzato all’acquisto della proprietà del bene da parte dell’ente espropriante (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 16 novembre 2007, n. 5830; T.A.R. CampaniaNapoli, Sez. V, 5 giugno 2009, n. 3124).

Tale passaggio, tuttavia, allo stato della legislazione vigente, non può più identificarsi nel rimedio extra ordinem dell’acquisizione sanante ex art. 43 T.U. sulle espropriazioni, del quale la nota sentenza della Corte costituzionale 8 ottobre 2010, n. 293 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale, ma esclusivamente negli ordinari strumenti civilistici di acquisto immobiliare ovvero nell’istituto amministrativo dell’accordo, disciplinato dall’art. 11 della legge n. 241/1990 o nella speciale figura della cessione volontaria, di cui all’art. 45 dello stesso T.U. n. 327/2001.

E però, mentre i modi contrattuali di acquisto della proprietà e l’accordo ex legge n. 241/1990 presuppongono, per la loro conclusione, sempre e comunque l’espressione di un libero consenso tra le parti, la cessione volontaria art. 45 del T.U. costituisce, per il proprietario del fondo, un vero e proprio diritto potestativo, che può essere fatto valere "sino alla data in cui è eseguito il decreto di esproprio".

Diversamente, in caso di mancato acquisto dell’area da parte dell’ente pubblico, si è in presenza di un’occupazione senza titolo, ossia di un illecito permanente, che consente in ogni momento al privato di chiedere, anche in via giudiziale, la restituzione del fondo e la riduzione in pristino di quanto ivi realizzato, salva la preclusione sostanziale di cui all’art. 936, comma 4 e 5, c.c., in materia di rimozione di opere eseguite dal terzo sul terreno altrui. Di qui la non fondatezza dell’eccezione di prescrizione avanzata dal comune.

Tanto esposto, va precisato che, in questa sede, parte ricorrente si è limitata a chiedere la condanna dell’amministrazione alla corresponsione di una somma di denaro commisurata al valore venale del bene, oltre interessi e rivalutazione, come risarcimento del danno per l’occupazione illegittima.

Nessuna domanda è stata invece avanzata ai fini della reintegra nel possesso del fondo, previa sua eventuale riduzione in pristino. Né, d’altro canto, risulta che l’amministrazione intimata abbia mai manifestato, anche fuori dal processo, la propria volontà di restituire al legittimo titolare l’immobile occupato.

Il potere giurisdizionale va quindi esercitato nel quadro delineato dalla domanda attorea, nel rispetto del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato di cui all’art. 112 c.p.c., applicabile anche al processo amministrativo, rappresentando tale regola l’espressione precipua del potere dispositivo delle parti, nel senso che al giudice è precluso pronunciarsi oltre i limiti della concreta ed effettiva questione che le stesse parti hanno sottoposto al suo esame e dunque oltre i limiti del petitum e della causa petendi, ulteriormente specificati dai motivi di ricorso (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 21 giugno 2007, n. 3437).

Orbene, sulla scorta delle considerazioni anzidette e ribadita l’inutilizzabilità dell’art. 43 T.U. 8 giugno 2001, n. 327, dichiarato incostituzionale nelle more del giudizio, osserva il Tribunale che al risarcimento del danno nella misura del valore venale del bene, oggetto della domanda, deve necessariamente corrispondere la definitiva cessione del fondo in favore dell’autorità espropriante.

Ne consegue che la domanda medesima può essere accolta solo subordinandola alla previa conclusione di un accordo ex art. 11 della legge n. 241/1990, per la cessione gratuita del bene in favore dell’amministrazione.

A tal fine, deve imporsi al privato ricorrente di notificare all’amministrazione, entro trenta giorni dalla comunicazione della presente sentenza, una proposta negoziale per la conclusione di un accordo di cessione gratuita del bene illegittimamente occupato.

A sua volta, l’amministrazione, nei trenta giorni successivi alla detta notifica o nell’altro maggiore termine concesso dalla parte ricorrente, deve riscontrare la proposta, facendo pervenire per iscritto:

a) la formale accettazione della proposta ai sensi dell’art. 1326 c.c., unitamente ad un separato atto unilaterale d’obbligo a versare, nei successivi trenta giorni o nel maggiore termine concesso dal legittimo proprietario, a titolo risarcitorio per l’illegittima occupazione pregressa, una somma di denaro pari al valore venale di questo al momento dell’apprensione, oltre rivalutazione ed interessi moratori, da computarsi al tasso legale dalla scadenza del periodo di occupazione legittima e sino al soddisfo;

b) il rifiuto della proposta e, pertanto, un atto unilaterale d’obbligo a restituire il bene al legittimo proprietario nei successivi trenta giorni o nel maggiore termine concesso, previo ripristino dello stato di fatto esistente al momento dell’apprensione, nonché a corrispondere, nello stesso termine, una somma di denaro pari all’entità del danno per il mancato utilizzo per l’intero periodo di occupazione illegittima, attualizzato anno per anno con l’indice I.S.T.A.T. e maggiorato degli interessi legali.

La determinazione del valore venale del terreno ovvero del danno da mancata fruizione dovrà avvenire d’intesa tra le parti, le quali potranno eventualmente affidare il relativo incarico estimativo ad un tecnico di comune fiducia, con oneri a carico dell’amministrazione intimata.

In mancanza di quanto sopra, il tecnico potrà essere nominato – su richiesta di una delle parti – dal prefetto di Avellino, sempre con oneri a carico dell’amministrazione.

Resta inteso che tutte le questioni che dovessero insorgere nella fase di conformazione alla presente decisione potranno formare oggetto di incidente di esecuzione e risolte, se del caso, tramite commissario ad acta.

In questi termini, per la parte attribuita alla giurisdizione amministrativa, il gravame può dunque essere accolto.

Sussistono giuste ragioni per dichiarare irripetibili le spese del giudizio.
P.Q.M.

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo dichiara inammissibile quanto alla domanda di pagamento dell’indennità di occupazione legittima, mentre lo accoglie nel resto, nei sensi e limiti di cui in motivazione.

Spese irripetibili.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Salerno nella camera di consiglio del giorno 12 gennaio 2011 con l’intervento dei magistrati:

Luigi Antonio Esposito, Presidente

Francesco Mele, Consigliere

Nicola Durante, Consigliere, Estensore

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *