T.A.R. Campania Salerno Sez. II, Sent., 14-01-2011, n. 36

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

S. s.r.l. è titolare in Salerno, alla via S. XXX, di due capannoni commerciali e di un fabbricato per civile abitazione, condonati ai sensi dell’art. 31 della legge n. 47/1985, con provvedimento sindacale 30.3.1989 n. 28432.
Avendo realizzato, senza titolo, ulteriori opere di ampliamento, nonché una recinzione posta su area demaniale, con domanda prot. n. 31410 del 20.3.1995, il legale rappresentante sig. R.S. ha chiesto per queste ultime il rilascio di un ulteriore provvedimento di condono, ai sensi del sopravvenuto art. 39 della legge n. 724/1994.
Con decreto sindacale 9.4.1997 n. 17, la domanda è stata respinta, in adesione al parere contrario adottato in data 12.9.1996 dalla commissione edilizia integrata, competente a pronunciarsi a tutela del vincolo di rispetto della fascia marina, essendo gli immobili ubicati a distanza inferiore a 300 metri dal mare.
Il provvedimento di diniego ed il presupposto parere sfavorevole sono stati gravati in questa sede per violazione di legge, eccesso di potere ed incompetenza.
E’ stata altresì depositata una consulenza di parte a firma dell’ing. Nunziante Marino.
Si è costituita l’amministrazione, chiedendo il rigetto del ricorso.
All’udienza del 21.12.2010, la causa è stata trattenuta in decisione.

Motivi della decisione

Col primo motivo di ricorso, la parte privata sostiene l’irragionevolezza del diniego, per essere stati, con precedente provvedimento sindacale 30.3.1989 n. 28432, condonati altri fabbricati abusivi di sua proprietà, posti a distanza ancor inferiore rispetto alla linea del mare.
La censura non è accoglibile, essendo evidente che il giudizio di compatibilità rispetto al vincolo paesaggistico di inedificabilità deve avvenire caso per caso e tenuto conto della situazione di fatto attuale e concreta, verificando, ad esempio, se il mantenimento dell’opera aggravi un impatto negativo già prodottosi, a cagione della presenza limitrofa di altri fabbricati oggetto di condono e, come tali, non più rimuovibili.
E proprio in questo senso, con motivazione non aggredibile, il parere impugnato stigmatizza il "massiccio ampliamento" perpetrato sulle iniziali opere abusive con gli interventi, pure illeciti, per cui è domanda.
Col secondo motivo, si obietta l’insufficienza della motivazione a corredo del rigetto, basata sul fatto che la zona interessata dagli abusi ha destinazione turistica, si trova a breve distanza dal mare ed è oggetto di interventi coordinati di riqualificazione ambientale.
Osserva in proposito il collegio che, a sostegno del diniego di un’istanza di condono edilizio, è sempre necessaria una puntuale motivazione in ordine al rilevato contrasto tra quanto edificato senza titolo ed i beni protetti dal vincolo, non essendo sufficiente il mero richiamo all’ esistenza di quest’ultimo.
Nella specie, però, tale onere motivatorio è pienamente riscontrabile nel divisato parere, laddove l’organo consultivo, nell’esercizio della sua discrezionalità tecnica, ha posto l’accento sull’assoluta inconciliabilità tra la permanenza dell’abuso e la naturale vocazione turistica dell’area.
Col terzo motivo di ricorso, si rimarca il vizio dell’incompetenza, risultando l’atto sottoscritto da persona non identificata, certamente diversa dal sindaco, la quale ha firmato il documento dopo avere barrato la dicitura "il sindaco".
La censura non ha pregio, essendo evidente che, nel sistema individuato dalla legge (art. 39, comma 8, della legge n. 724/1994), il parere negativo formulato dalla autorità preposta alla tutela del vincolo assume portata vincolante, precludendo il rilascio della concessione in sanatoria (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 6 settembre 2010, n. 6457).
Di talché, dinanzi al divisamento sfavorevole della commissione edilizia integrata, all’autorità comunale competente – chiunque, nel concreto, fosse il soggetto incaricato della sottoscrizione dell’atto – non restava altra strada che adeguarsi.
Vale, dunque, al riguardo, il principio di cui all’art. 21 octies della legge n. 241/1990, che esclude l’annullabilità del provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata di questo, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato.
Ugualmente infondate sono le ultime due doglianze.
Con la prima si sostiene che, per quanto riguarda la condonabilità della recinzione abusiva posta su aera demaniale, il parere della commissione edilizia integrata avrebbe dovuto essere preceduto dalla valutazione del consiglio comunale circa la volontà di cedere in disponibilità al privato il suolo.
E’ vero invece il contrario: intanto la richiesta cessione avrebbe potuto perfezionarsi, in quanto l’opera abusiva insistente sul terreno avesse avuto i presupposti per essere mantenuta in piedi.
Con l’ultima censura si deduce la violazione dell’art. 7 della legge n. 241/1990, ma è evidente che, trattandosi di procedimento su istanza di parte, nessuna comunicazione di avvio andava effettuata.
In definitiva, il ricorso va dichiarato infondato e di conseguenza respinto.
Le spese di lite possono essere compensate, ricorrendo giusti motivi.

P.Q.M.

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo rigetta.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Salerno nella camera di consiglio del giorno 21 dicembre 2010 con l’intervento dei magistrati:
Francesco Mele, Presidente FF
Francesco Gaudieri, Consigliere
Nicola Durante, Consigliere, Estensore

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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