Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 20-10-2011) 14-12-2011, n. 46525 Revoca e sostituzione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Il Tribunale del riesame di Venezia, con ordinanza del 13 maggio 2011, ha rigettato l’appello proposto nell’interesse di B. I., indagato per il delitto di associazione a delinquere, avverso l’ordinanza del 28 marzo 2011 del GIP del Tribunale di Padova con la quale era stata respinta la richiesta di revoca nei suoi confronti della misura personale della custodia cautelare in carcere.

2. Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, a mezzo del proprio difensore, lamentando:

a) una violazione di legge in ordine alla configurazione del reato di associazione a delinquere;

b) una illogicità della motivazione in ordine alla valenza delle dichiarazioni del coimputato S., degli accertamenti biologici posti in essere dal RIS dei Carabinieri e in genere della valutazione degli indizi.

3. In udienza, il difensore del ricorrente ha depositato tardivi motivi nuovi.
Motivi della decisione

1. Il ricorso è inammissibile.

2. In fatto, si osserva come il ricorso sia stato redatto e sottoscritto dall’avvocato Alberto Antonello del foro di Padova che non risulta, però, essere iscritto nell’albo speciale degli avvocati cassazionisti, come da attestazione della Cancelleria.

A ciò si aggiunga come il difensore sia di fiducia e come il suo assistito sia latitante.

3. In diritto, questa volta, deve trovare applicazione il principio, elaborato da questa Corte a partire dalle Sezioni Unite 11 luglio 2006 n. 24486 ma più di recente ribadito anche da questa stessa Sezione con la sentenza 12 novembre 2009 n. 2727, secondo il quale non è ammissibile il ricorso presentato da avvocato non legittimato alle Magistrature Superiori.

Sostenevano le Sezioni Unite, nell’indicata decisione da cui non v’è motivo di discostarsi, come non potesse essere condiviso l’orientamento prevalente della stessa Corte, per cui l’ampio potere di rappresentanza, riconosciuto dall’art. 165 c.p.p., comma 3 al difensore dell’imputato evaso o latitante includesse anche il potere di rappresentarlo ai fini dell’esercizio del potere personale di impugnazione.

Secondo tale impostazione, il difensore dell’imputato evaso o latitante avrebbe avuto un doppio titolo di legittimazione a impugnare: l’uno autonomo, ex art. 571 c.p.p., comma 3, l’altro di rappresentanza, ex art. 165 c.p.p., comma 3 e sarebbe stato, quindi, di per sè arduo spiegare perchè la legge avrebbe dovuto prevedere l’esercizio a titolo di rappresentanza di un potere già pienamente esercitatane dallo stesso soggetto per un autonomo titolo di legittimazione.

Tuttavia, sostenevano le Sezioni Unite, come quand’anche avesse voluto riconoscersi l’ammissibilità di una tale superflua duplicazione, non avrebbe potuto non rilevarsi che il potere di rappresentanza dovesse essere riconosciuto al difensore in quanto professionalmente abilitato.

Non appare, invero, ragionevole ritenere che il difensore dell’imputato evaso o latitante possa proporre ricorso per cassazione anche se non abilitato al patrocinio dinanzi alle giurisdizioni superiori.

Deve, pertanto, ritenersi che anche il difensore dell’imputato evaso o latitante sia privo di legittimazione a proporre ricorso per cassazione se non iscritto nell’albo speciale della Corte.

Nè questa conclusione incide sul diritto di difesa del latitante, che, come tutti gli altri imputati, può proporre ricorso personalmente (anche firmando il ricorso dell’avvocato non cassazionista v. Cass. Sez. Un. 27 novembre 2008 n. 47803, il che non è avvenuto nel caso di specie) o a mezzo di procuratore speciale e può nominare un difensore di fiducia.

Va, anzi, rilevato al riguardo che il riconoscimento al difensore di un potere di impugnazione in rappresentanza dell’imputato latitante rischierebbe di vanificare, consumandolo, il diritto di remissione in termine ex art. 175 c.p.p., che all’imputato attribuisce una garanzia ben più pregnante.

4. Il ricorso va, in definitiva, dichiarato inammissibile e il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali e di una somma di denaro in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000 in favore della Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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