Cass. civ. Sez. V, Sent., 06-07-2012, n. 11395 Imposta di pubblicità e affissioni

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza n. 16/35/08, depositata il 14.3.2008, la CTR del Lazio ha confermato la sentenza con la quale la CTP di Roma aveva respinto il ricorso della S.r.l. XXXX nei confronti del Comune di Roma avverso l’avviso d’accertamento relativo ad imposta sulla pubblicità per l’anno 2002. I giudici d’appello, per quanto ancora interessa, hanno considerato che: a) il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 11, autorizzava il dirigente del servizio Affissioni e Pubblicità a rappresentare l’Amministrazione; b) la tardiva costituzione in giudizio del Comune non era sanzionata con la nullità o l’inammissibilità; c) i criteri d’imposizione su base mensile presupponevano la sussistenza di provvedimenti concessori, mentre la contribuente non aveva dimostrato la regolarità degli impianti; d) l’ipotizzata erroneità delle superfici degli impianti non era stata in alcun modo provata dalla Società; e) l’invocato beneficio della non applicabilità delle sanzioni ed interessi di cui alla Delib. n. 254 del 1995, si riferiva agli impianti oggetto del c.d. riordino e non a quelli privi di autorizzazione.
La S.r.l. XXXX ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza, in base a cinque motivi. Il Comune di Roma resiste con controricorso.

Motivi della decisione

1. Col primo motivo, deducendo violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 50, artt. 24 e 34 dello Statuto del Comune di Roma, del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 11, come novellato dalla L. n. 88 del 2005, e art. 75 c.p.c., la ricorrente si duole che la CTR ha ritenuto valida la costituzione in giudizio del funzionario del servizio Affissioni e Pubblicità, senza tener conto che, ai sensi del D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 50, la rappresentanza processuale va riconosciuta, solo, al Sindaco, a nulla rilevando le previsioni statutarie, e senza considerare che il funzionario costituitosi non era neppure il dirigente dell’Ufficio Tributi comunale, unica figura contemplata dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 11, nel testo novellato dalla disposizione della L. n. 88 del 2005, art. 3 bis. 1.1. Il motivo è infondato. Il D.L. n. 44 del 2005, art. 3 bis, comma 1, convertito con modificazioni nella L. n. 88 del 2005, in vigore dal 1.6.2005, sostituendo il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 11, comma 3, dispone che l’ente locale, nei cui confronti è proposto il ricorso, può stare in giudizio anche mediante il dirigente dell’ufficio tributi (o, in mancanza di tale figura dirigenziale, mediante il titolare della posizione organizzativa comprendente l’ufficio tributi). Il comma 2 dell’art. 3 bis, in esame, estende, poi, ai processi in corso, come il presente, la suddetta disposizione, restando, in conseguenza, acclarata la legittimazione processuale dei dirigenti locali ad intervenire nei giudizi innanzi alle commissione tributarie, sia di primo grado che d’appello. 1.2.
Deve, peraltro, rilevarsi che già lo Statuto del Comune di Roma, (approvato con Delib. Consiliare 17 luglio 2000, n. 122 e successivamente integrato con Delib. 19 gennaio 2001, n. 22), atto normativo di rango paraprimario o sub primario (Cass. SU n. 12868 del 2005), dopo aver previsto, all’art. 24, comma 1, che "Il Sindaco è l’organo responsabile dell’amministrazione del Comune e rappresenta l’Ente", ha espressamente riconosciuto la rappresentanza a stare in giudizio dei dirigenti, nell’ambito dei rispettivi settori di competenza, stabilendo, appunto, all’art. 34, comma 4, che "I Dirigenti promuovono e resistono alle liti anche in materia di tributi comunali ed hanno il potere di conciliare e transigere". Va, da ultimo, evidenziato che la questione secondo cui il funzionario costituitosi non sarebbe il dirigente dell’Ufficio Tributi del Comune, è inammissibile perchè introduce un tema d’indagine nuovo, privo di autosufficienza (il ricorso non specifica neppure quale soggetto avrebbe firmato e la relativa posizione nella pianta organica comunale), che, per di più, implica un’indagine di fatto, preclusa in sede di legittimità.
2. Col secondo motivo, la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 23, 56 e 57, deducendo l’inammissibilità delle eccezioni nuove proposte dal Comune di Roma, che, all’atto della propria costituzione in primo grado, non aveva avanzato "le argomentazioni svolte nelle memorie illustrative depositate successivamente". 2.1. Il motivo è inammissibile per difetto di autosufficienza: la ricorrente non esplicita, in alcun modo, l’oggetto delle asserite nuove difese e delle nuove eccezioni in senso stretto che il Comune avrebbe formulato tardivamente in primo grado, o in appello, precisazione tanto più necessaria, tenuto conto che la tardività della costituzione in giudizio del resistente (D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 23) preclude, appunto, la facoltà di proporre eccezioni processuali e di merito non rilevabili d’ufficio, oltre che di chiamare terzi in causa, ma non di svolgere altro tipo di difese (Cass. n. 18962 del 2005) e non comporta alcuna nullità, e che, correlativamente, il divieto di proporre nuove eccezioni in appello, di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57, comma 2, riguarda le eccezioni in senso tecnico, ossia lo strumento processuale con cui il contribuente, in qualità di convenuto in senso sostanziale, fa valere un fatto giuridico avente efficacia modificativa o estintiva della pretesa fiscale, ma non limita la possibilità dell’Amministrazione di difendersi dalle contestazioni già dedotte in giudizio, perchè le difese, le argomentazioni e le prospettazioni dirette a contestare la fondatezza di un’eccezione non costituiscono, a loro volta, eccezioni in senso tecnico (Cass. n. 3338 del 2011).
3. Col terzo motivo, deducendo violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 507 del 1973, art. 12, anche in relazione agli artt. 1, 5, 7, 8, 9, 14 e 16 del medesimo D.Lgs., ed inoltre degli artt. 3 e 53 Cost., nonchè vizio di motivazione, la ricorrente afferma che la sentenza impugnata non ha considerato che erano state effettuate le dichiarazioni di pubblicità, e pagate le relative imposte, con riferimento ai periodi inferiori al trimestre. Pertanto, nel ritenere legittima l’applicazione della tariffa annuale, la CTR ha violato il terzo comma del D.Lgs. n. 507 del 1973, art. 12, come novellato dalla L. n. 388 del 2000, che, richiamando il precedente comma 2, consente, anche per le affissioni dirette, di pagare l’imposta in misura ridotta in tutti i casi in cui la pubblicità non abbia superato i tre mesi. 3.1. Il motivo è infondato. Procedendo all’esame del denunciato vizio motivazionale, che, essendo relativo ai dati fattuali (presenza o meno della dichiarazione di pubblicità), funge da condizione rispetto ai prospettati profili della violazione di legge, va osservato che la CTR ha affermato che "la fattispecie in esame riguarda impianti di cui non è stata dimostrata la regolarità". A fronte di tale accertamento di fatto, la ricorrente non specifica affatto quali dichiarazioni di pubblicità avrebbe prodotto, non ne riproduce il contenuto, e neppure indica i pagamenti effettuati -in tesi inopinatamente obliterati dall’Ufficio – come avrebbe dovuto in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso per cassazione. In sostanza, attraverso la strumentale denuncia del difetto di motivazione la ricorrente chiede un inammissibile riesame del merito della controversia, senza, peraltro, corredare la censura dal momento di sintesi, in violazione dell’art. 366 bis c.p.c. e così incorrendo in un ulteriore motivo d’inammissibilità. 3.2. Non constando, dunque, esser state presentate le postulate dichiarazioni di pubblicità, la dedotta violazione di legge è, in conseguenza, insussistente, avendo l’impugnata sentenza correttamente ritenuto l’imposta dovuta per anno solare, in base al D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 8, comma 4, secondo cui la pubblicità nel caso, qui ricorrente, di cui all’art. 12, "si presume effettuata in ogni caso con decorrenza dal primo gennaio dell’anno in cui è stata accertata", ed al principio generale dell’annualità dell’imposta, sancito dal successivo art. 9.
4. Col quarto motivo, la ricorrente lamenta la violazione del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 7 e art. 8 del regolamento comunale, affermando che, contrariamente a quanto stabilito dalla CTR, l’imposta va determinata, in base sia alla disposizione legislativa sia a quella regolamentare, in relazione alla superficie della figura minima geometrica in cui è circoscritto il mezzo pubblicitario. 4.1. Il motivo è inammissibile. La CTR ha confermato la sentenza di prime cure non perchè ha ritenuto che andassero computati gli elementi di supporto del mezzo pubblicitario (come i pali o le cornici), ma perchè ha ritenuto corrette le dimensioni degli impianti sulle quali è stata calcolata l’imposta, rilevando che la ricorrente aveva "genericamente dedotto l’erroneità dell’operato del Comune di Roma senza indicare concretamente ed analiticamente le esatte misure di ciascun impianto". Ora, non solo, tale accertamento non è stato censurato, come avrebbe dovuto, sotto il profilo del vizio di motivazione, ma la censura non è pertinente con la ratio deciderteli dell’impugnata sentenza che non ha affermato un principio diverso da quello invocato ed asseritamente violato, ma ha applicato il principio ad un accertamento di fatto diverso rispetto a quello ipotizzato (inammissibilmente) dalla ricorrente.
5. Col quinto motivo, deducendo violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 8, la ricorrente afferma che non sono dovute le sanzioni, tenuto conto che sussistevano, nella specie, in modo "chiaro ed inequivocabile" le condizioni di obiettiva incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione delle norme tributarie.
La Società contribuente – che invoca, anche, l’art. 10 dello Statuto del contribuente – afferma, infine, che il potere di disapplicazione è rilevabile ex officio. 5.1. Il motivo è inammissibile: non consta, infatti, che la ricorrente abbia chiesto, nei modi e termini appropriati, la disapplicazione delle sanzioni (l’impugnata sentenza riferisce che la contribuente ha, solo, chiesto l’esenzione dalle sanzioni e dagli interessi prevista dalla Delib. Consiglio Comunale n. 254 del 1995 per gli impianti pubblicitari inseriti nella c.d.
procedura di riordino, senza documentare di aver avanzato domande di accesso a tale procedura) ed il potere invocato dalla ricorrente non significa che il giudice possa disporre la disapplicazione delle sanzioni d’ufficio, e, cioè, senza richiesta di parte, ma solo che la sussistenza delle condizioni per la disapplicazione può essere accertata anche dal giudice di legittimità, semprechè, beninteso, la domanda del contribuente sia stata ritualmente avanzata (cfr.
Cass. n. 25676 del 2008).
6. Il ricorso va, in conclusione, respinto. La Corte ravvisa giusti motivi, in considerazione della natura della lite e della peculiarità della fattispecie, per compensare, tra le parti, le spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese.
Così deciso in Roma, il 6 giugno 2012.
Depositato in Cancelleria il 6 luglio 2012

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