Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 20-10-2011) 14-12-2011, n. 46523 Sequestro preventivo

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Il Tribunale di Catania in funzione di Giudice del Riesame, con ordinanza del 25 novembre 2010, ha confermato il decreto del 22 ottobre 2010 del GIP del medesimo Tribunale con il quale, nell’ambito del procedimento penale a carico di B.G., indagato per il delitto di associazione a delinquere di stampo mafioso, era stata applicata la misura cautelare reale del sequestro preventivo di beni immobili (edificio e terreni), situati in (OMISSIS).

2. Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso per cassazione l’indagato, a mezzo dei propri difensori, lamentando:

a) una mancanza di motivazione in merito all’affermata esistenza dei presupposti del sequestro preventivo, con riferimento sia al fumus boni iuris che al periculum in mora;

b) una violazione di legge in ordine alla sussistenza dei presupposti di cui all’art. 321 c.p.p., commi 1 e 2 con particolare riferimento al mero uso occasionale dei beni oggetto del sequestro.

3. Risulta, altresì, depositata una memoria difensiva contenente motivi nuovi che, in sostanza, ribadiscono le censure in merito alla sussistenza dei presupposti di cui al dianzi citato art. 321 c.p.p..
Motivi della decisione

1. Il ricorso non è meritevole di accoglimento sulla scorta della pacifica giurisprudenza di questa stessa Sezione che afferma come il ricorso per cassazione, contro ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo o probatorio, sia ammesso solo per violazione di legge, in tale nozione dovendosi comprendere sia gli "errores in iudicando" o "in procedendo", sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal Giudice (v. Cass. Sez. 5 13 ottobre 2009 n. 43068).

Nella specie, questa volta in fatto, non sembra proprio che l’impugnata ordinanza contenga vizi radicali di motivazione avendo, di converso, sulla base del completo apparato investigativo messo in campo e del robusto quadro indiziario ricavato (con riferimento alle richiamate valutazioni già espresse dal medesimo organo giudicante in tema di misura personale di custodia inframuraria ben conosciuta alla stessa parte) dato logicamente conto dell’esistenza del fumus commissi delicti quanto al contestato delitto di cui all’art. 416 bis c.p..

A ciò si aggiunga come neppure risultino evidenziati eventuali errores in iudicando o in procedendo.

2. Sempre secondo la costante giurisprudenza di legittimità giova, poi, rammentare come oggetto del sequestro preventivo di cui all’art. 321 c.p.p., comma 1 possa essere qualsiasi bene – a chiunque appartenente e, quindi, anche a persona estranea al reato – purchè esso sia, sebbene indirettamente, collegato al reato e, ove lasciato in libera disponibilità, idoneo a costituire pericolo di aggravamento o di protrazione delle conseguenze del reato ovvero di agevolazione della commissione di ulteriori fatti penalmente rilevanti (v. Cass. Sez. 4 1 luglio 2009 n. 32964 e Sez. 5 22 gennaio 2010 n. 11287).

Si è, persino, rilevato che il sequestro preventivo non implichi nemmeno la sussistenza di un collegamento tra il reato ed una persona, sicchè, alle condizioni sopra evidenziate, non è indispensabile, ai fini della sua adozione, l’individuazione del responsabile del reato per il quale si procede (v. Cass. Sez. 5 22 gennaio 2010 n. 16583 e Sez. 2 28 aprile 2011 n. 19105).

Nella specie, anche questa volta in fatto, si osserva come nell’impugnato provvedimento si sia dato correttamente e logicamente conto non solo del fumus commissi delicti, con riferimento alla specifica posizione del ricorrente ed al nesso di pertinenzialità tra bene e reato ascritto (v. pagina 4 della motivazione) ma, anche, del periculum in mora il cui profilo, contrariamente a quanto evidenziato dalla difesa soprattutto nei motivi aggiunti, rimane assorbito dalla disposizione di cui al comma 7 del reato di associazione a delinquere di stampo mafioso, art. 416 bis c.p., ascritto all’odierno ricorrente.

Avendo, pertanto, il Giudice del merito risposto alle doglianze della difesa, con motivazione pienamente congrua, e non evidenziandosi alcuna violazione di legge nell’applicazione della contestata misura cautelare reale, con riferimento ai presupposti richiesti dall’art. 321 c.p.p., ecco che non v’è motivo di procedere al chiesto annullamento.

3. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato e il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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