Cass. civ. Sez. V, Sent., 06-07-2012, n. 11390 Imposta di pubblicità e affissioni

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza n. 78/16/03, depositata il 3.10.2003, la CTR del Lazio, in accoglimento dell’appello proposto da G.M., titolare della ditta individuale XXX, ha annullato l’avviso d’accertamento emesso dal Comune di Roma, relativo ad imposta sulla pubblicità per l’anno 1997, ritenendo non rispettato il termine biennale di decadenza di cui al D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 10, calcolato a decorrere dalla data di presentazione "del modulo riepilogo modelli di dichiarazione ai sensi della Delib.
Comune di Roma 28 dicembre 1996, n. 289, art. 16, assumendo, la medesima, come prima istanza di dichiarazione di pubblicità".
Il Comune di Roma ricorre per la cassazione della sentenza con due motivi, la ditta contribuente resiste con controricorso.

Motivi della decisione

Col primo motivo, il ricorrente denuncia la violazione dell’art. 112 c.p.c., affermando che "la deduzione concernente la presentazione della pretesa dichiarazione annuale d’imposta presa in esame dalla CTP non ha formato oggetto di un motivo d’appello", in quanto la ditta pubblicitaria aveva fatto riferimento all’astratta previsione di legge, senza far cenno alla predetta circostanza di fatto.
Col secondo motivo, deducendo violazione e falsa applicazione degli artt. 2946 e 2948 c.c., nonchè del D.Lgs. n. 507 del 1993, artt. 8 e 10 e dell’art. 2697 c.c., oltre che vizio di motivazione, il ricorrente si duole che: a) la sentenza ha affermato la decadenza dal potere d’accertamento dei tributi, senza tener conto che, trattandosi di "mancato versamento di una rata dell’imposta dovuta in base ai riscontri delle rate versate", si verteva in materia di prescrizione, decennale o quinquennale, del diritto di credito e non di decadenza dal potere impositivo, prevista nel diverso caso degli accertamenti d’ufficio o delle rettifiche delle dichiarazioni; b) anche a voler ritenere l’imposta assoggettata a decadenza, il dies a quo del relativo termine biennale è stato erroneamente individuato con riferimento alla presentazione della dichiarazione di pubblicità, che, invece, non era stata intervenuta: il riepilogo dei modelli, presentati in allegato alla procedura di riordino degli impianti, non poteva considerarsi tale perchè privo dei requisiti essenziali (indicazioni delle caratteristiche, della durata della pubblicità e dell’ubicazione dei mezzi pubblicitari); c) per effetto del pagamento parziale dell’imposta, effettuato ex adverso il 31.1.1997, ed in base al D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 8, comma 3, la pubblicità doveva intendersi prorogata, e la decadenza poteva, al più, ravvisarsi allo scadere del biennio successivo, ed, in concreto, nel 31.1.1999, termine che non era spirato; d) la sentenza non motiva in alcun modo circa le ragioni della valutazione del modulo, presentato in allegato alla procedura di riordino, in termini di dichiarazione di pubblicità; e) l’onere di provare l’esistenza di altro modulo, predisposto a tal fine, incombeva al contribuente.
Il primo motivo è infondato: la questione della valutazione della fondatezza dell’eccezione di decadenza implicava il potere dei giudici del merito di valutare i relativi dati fattuali. La dedotta ultrapetizione è, dunque, insussistente, avendo questa Corte, condivisibilmente, affermato (Cass. n. 455 del 2011; n. 14468 del 2009) che tale vizio si verifica quando il giudice pronuncia oltre i limiti delle pretese o delle eccezioni fatte valere dalle parti, attribuendo un bene della vita non richiesto o diverso da quello domandato (in ipotesi di extrapetizione) e non anche quando egli eserciti il potere-dovere di inquadrare nella esatta disciplina giuridica i fatti e gli atti che formano oggetto della pretesa, lasciando, come nella specie, immutati il petitum e la causa petendi.
In relazione al secondo, composito, motivo, va esaminato con priorità il dedotto vizio di motivazione (punto d), che, essendo relativo ai dati fattuali (presenza o meno della dichiarazione di pubblicità) funge da condizione rispetto ai prospettati profili della violazione di legge. Tale censura è inammissibile. Il ricorrente, che pur afferma che la asserta dichiarazione di pubblicità ha, in realtà, un contenuto affatto diverso da quello, tipico, di cui al D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 8, comma 1, non riporta il tenore dell’atto anzidetto in seno al ricorso, come avrebbe dovuto in ossequio dal principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, cosicchè questa Corte, che non può accedere agli atti di causa, non è posta nelle condizioni di valutare la denunciata insufficienza motivazionale, senza dire che, in tesi, l’erronea interpretazione dell’atto anzidetto avrebbe dovuto esser dedotta sotto il diverso profilo della violazione dei canoni d’ermeneutica, riferiti al contenuto della dichiarazione. Così convenendo, la censura sub a) è fondata. La vicenda in esame, quale accertata in sede di merito, è quella della denuncia di pubblicità e della relativa autoliquidazione, e, con l’atto impugnato, il Comune non ha contestato il quantum autoliquidato, ma ne ha chiesto il pagamento (della terza rata) senza correggere il criterio adottato dal contribuente. Non si verte, pertanto, nè in tema di accertamento (non si contesta la veridicità la dichiarazione) nè in tema di rettifica (non essendo contestati i criteri dell’autoliquidazione), in quanto la differenza di imposta oggetto dell’atto impositivo emerge ex posi dall’esame del quantum pagato, con la conseguenza che, per l’esercizio del relativo potere, non può applicarsi l’invocato del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 10, vigente ratione temporis – testualmente, riferito ai diversi casi dell’accertamento e della rettifica-, non potendo darsi ingresso all’interpretazione estensiva o analogica alle norme, di stretta interpretazione, in tema di decadenza dell’Ufficio (cfr. Cass. n. 16214 del 2010). Resta da aggiungere che l’eccepita novità della deduzione relativa all’applicabilità, nella specie, del termine di prescrizione è infondata: secondo quanto riportato in seno al ricorso, la sentenza di prime cure ha rigettato l’eccezione di decadenza, proprio rilevando esser applicabile nella specie l’istituto della prescrizione, e che, peraltro, la questione integra una prospettazione difensiva diretta a contestare la fondatezza, sotto il profilo giuridico, dell’eccezione di decadenza avversaria.
L’impugnata sentenza che non si è attenuta al suddetto principio va, in conseguenza cassata, restando assorbite le altre questioni dedotte, e, non essendo necessari nuovi accertamenti di fatto, la causa può esser decisa nel merito col rigetto del ricorso del contribuente.
La Corte ravvisa giusti motivi, in considerazione della natura della lite e della peculiarità della fattispecie, per compensare, interamente, tra le parti, le spese del giudizio.

P.Q.M.

La Corte rigetta il primo motivo, accoglie il secondo cassa e decidendo nel merito rigetta il ricorso del contribuente. Compensa le spese del giudizio.
Così deciso in Roma, il 6 giugno 2012.
Depositato in Cancelleria il 6 luglio 2012

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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