Cass. civ. Sez. V, Sent., 06-07-2012, n. 11387 Imposta di pubblicità e affissioni

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Pubbliemme Pubblicità s.r.l propose ricorso avverso avvisi di accertamento in rettifica emessi a titolo d’imposta comunale sulla pubblicità per l’anno 1999.

A fondamento del ricorso, deduceva, il difetto di motivazione degli accertamenti impugnati, la determinazione dell’imposta in violazione del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 12, l’errato calcolo della superficie imponibile, in quanto comprensivo della cornice degli impianti.

L’adita commissione provinciale respinse il ricorso, con decisione confermata, in esito all’appello della società contribuente, dalla commissione regionale.

I giudici di appello rilevarono, in particolare, il carattere abusivo degli impianti in assenza di esplicito provvedimento autorizzativo del Comune.

Avverso la decisione di appello, la società contribuente ha proposto ricorso per cassazione in tre motivi.

Il Comune ha resistito con controricorso.
Motivi della decisione

Con il primo motivo di ricorso, la società contribuente – denunciando violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 7 – propone il seguente quesito di diritto: "… dica la Cassazione che la Commissione Regionale doveva rilevare che gli avvisi impugnati sono privi di motivazione poichè oltre all’indicazione dei dati numerici non esplicitano le ragioni per le quali gli impianti della ricorrente, attesa la partecipazione di quest’ultima alla procedura del riordino vengano considerati abusivi, ne esplicitano le ragioni per le quali i pagamenti effettuati, pur volendo considerare gli impianti abusivi, non vengono defalcati dal quantum richiesto".

Con il secondo motivo di ricorso, la società contribuente – denunciando violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 12 – censura la decisione impugnata per aver ritenuto l’imposizione, ancorchè afferenti ad affissioni dirette del D.Lgs. n. 507 del 1993, ex art. 12, comma 3, dovuta in ragione dell’intera annualità e non del singolo periodo espositivo dichiarato.

Con il terzo motivo di ricorso la società contribuente – denunciando violazione del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 7, errata ed insufficiente motivazione su un punto decisivo – censura la decisione impugnata per non aver rilevato l’erroneità del computo dell’imposta.

Il ricorso va disatteso.

Invero – vertendosi in tema di ricorso per cassazione avverso sentenza di appello pubblicata dopo l’1.3.2006 e prima del 4.7.2009 (cfr. Cass. 22578/09) – occorre, prioritariamente rispetto ogni altra valutazione, rilevare l’inammissibilità delle censure proposte dalla società contribuente, per violazione delle prescrizioni di cui all’art. 366 bis c.p.c., in tema di quesito di diritto.

Occorre, invero, rilevare che, ai sensi della disposizione indicata il quesito conclusivo – dovendo assolvere la funzione di integrare il punto di congiunzione tra la risoluzione del caso specifico e l’enunciazione del principio giuridico generale – non può essere meramente generico e teorico ma deve essere calato nella fattispecie concreta, per mettere la Corte in grado poter comprendere dalla sua sola lettura, l’errore asseritamente compiuto dal giudice a quo e la regola applicabile (v. Cass. s.u. 3519/08).

Tanto premesso in linea di principio, deve, peraltro, rilevarsi, in concreto, che i quesiti di diritto di cui sono corredati i motivi di ricorso proposti dalla società contribuente si esauriscono, in contrasto con il suesposto criterio, in mere petizioni di principio della cui fondatezza si chiede conferma a questa Corte; mentre il dedotto vizio motivazionale è del tutto privo di "sintesi".

In disparte tale assorbente rilievo e la considerazione che nessuna delle censure appare cogliere la ratio della decisione impugnata (che si fonda sul carattere abusivo delle decisioni in oggetto), deve, peraltro, osservarsi che doglianze della ricorrente risultano da disattendere, per ulteriori ragioni.

La prima, perchè "nuova", almeno, in prospettiva di autosufficienza, introducendo un tema di decisione che, nè dalla sentenza impugnata nè dal ricorso per cassazione, risulta proposto e trattato davanti al giudice del merito (v. Cass. 20518/08, 14590/05, 13979/05, 6656/04 5561/04) e perchè non tiene, d’altro canto, in alcun conto il fatto che, in merito alla motivazione degli accertamenti in materia, il D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 10, contempla disposizioni specifiche.

La seconda, perchè infondata alla luce della giurisprudenza di questa Corte (Cass. 4783/11, 1915/07, 552/07), che ha affermato che, in tema di imposta comunale sulla pubblicità, l’oggetto del tributo è costituito, in base al D.Lgs. n. 507 del 1993, artt. 1, 3, 4 e 5, dai comportamenti pubblicitari, visivi o acustici, realizzati per il tramite di affissione su appositi impianti o di altri mezzi e va riferito, non all’attività di diffusione del messaggio, ma al mezzo pubblicitario disponibile ed alla relativa potenzialità di uso; e che, nel caso di pubblicità per affissione diretta effettuata da società su impianti di proprietà e per conto terzi, deve escludersi, ai sensi della previsione del comma 3 dell’art. 12 del decreto citato, che (sino all’entrata in vigore, 1 gennaio 2001, della modifica apportata a tale disposizione dalla L. n. 388 del 2000, art. 145, comma 56, privo di efficacia retroattiva), possa essere applicata la tariffa ridotta contemplata dal comma 2 del medesimo art. 12, commisurata alla durata non superiore a tre mesi del messaggio pubblicitario.

La terza, perchè – mentre, per un verso, appare contraddetta dall’accertamento in fatto del giudice a quo (che ha ritenuto estraneo al computo dell’imposta la superficie della cornice dell’impianto) – risulta risolversi in inammissibile sindacato di fatto ed è, comunque, carente sul piano dell’autosufficienza, non offrendo indicazione alcuna sugli elementi che avrebbero dovuto indurre il giudice a quo a diversa determinazione e sulle relative fonti.

Alla stregua delle considerazioni che precedono, s’impone il rigetto del ricorso.

Per la natura della controversia e tutte le peculiarità della fattispecie, si ravvisano le condizioni per disporre l’integrale compensazione delle spese del giudizio.
P.Q.M.

La Corte: rigetta il ricorso; compensa le spese.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 6 giugno 2012.

Depositato in Cancelleria il 6 luglio 2012

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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