Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 11-10-2011) 14-12-2011, n. 46259

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Ha personalmente proposto ricorso per cassazione C. A., avverso la sentenza della Corte di Appello di Napoli del 9.12.2010, che confermò la sentenza di condanna pronunciata nei suoi confronti dal locale Tribunale il 15.1.2010, per il reato di associazione per delinquere e per vari fatti di ricettazione.

I motivi di ricorso, alquanto troppo diffusi rispetto ai limiti del giudizio di legittimità, e in larga parte disorganici e spesso ripetitivi, denunciano tutti la "violazione" dell’art. 606, lett. e), (rectius, la carenza o contraddittorietà della sentenza impugnata ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. e) sotto vari profili:

1. Mancato esame delle deduzioni difensive a sostegno della totalitaria richiesta di assoluzione del ricorrente; al riguardo la difesa deduce che non vi sarebbe "la prova" che i motivi di appello riproponessero questioni già esaminate e decise dal giudici di primo grado.

2. Assoluta mancanza di motivazione in ordine alla conferma del giudizio di responsabilità per il reato di cui al capo 5 della rubrica; la Corte di merito avrebbe utilizzato, a sostegno delle proprie conclusioni, elementi di prova in realtà riferibili al solo coimputato N.C.; peraltro dall’esito delle perquisizioni e dei sequestri eseguiti nei confronti di quest’ultimo, si evincerebbe che lo stesso esercitata anche una lecita attività lavorativa nel campo dell’orologeria e non vi sarebbe la prova che pezzi di ricambio sequestrati fossero contraffatti o di provenienza illecita; la Corte di merito, inoltre, avrebbe trascurato le necessarie differenziazioni tra il reato di cui al capo 5 e il reato di cui al capo 3.

Il motivo è sviluppato dal ricorrente con la continua insistenza sulla assenza di prove individualizzanti a suo carico.

3. Illogicità della motivazione in punto di ritenuta sussistenza della prova della provenienza illecita degli orologi oggetto dell’imputazione di ricettazione; l’assoluta mancanza di utili risultanze istruttorie renderebbe erroneo anche il riferimento dei giudici di merito a Cass. Sez. 2^, n. 11101 del 15.1.2009 in merito alla c.cd. "prova logica" (del reato presupposto: n.d.r.).

Fra l’altro, il teste di PG P.A. aveva riferito in dibattimento che le "garanzie" degli orologi non erano risultate di provenienza furtiva;

4. Mancata motivazione sulle ragioni per le quali le interpretazioni difensive del contenuto delle conversazioni intercettate non sarebbero "meritevoli di credito probatorio" anche al fine di escludere il reato associativo; la Corte di merito non avrebbe dato inoltre risposta al quesito difensivo se le condotte assunte come prova della partecipazione al sodalizio del ricorrente non fossero piuttosto "espressione di una propria condizione di appassionato e venditore di orologi di provenienza lecita avulsa da qualsiasi logica criminale"; anche all’interno di questo motivo è ribadita l’estraneità del ricorrente ai contesti di prova emersi nel procedimento, e torna il riferimento alla plausibilità delle interpretazioni difensive dei colloqui intercettati.

CONSIDERATO IN DIRITTO Il ricorso è manifestamente infondato.

1. Il presunto appiattimento dei giudici di appello sulle motivazioni della sentenza di primo grado, è in un certa misura inevitabile in qualunque giudizio di conferma di una precedente decisione, salvo il caso che l’impugnazione imponga al giudice che ne sia investito, autonome valutazioni su questioni specifiche (cfr. Cass. Sez. 4^, Pen, n. 6980/1997 secondo cui deve ritenersi legittimo, nella piena coincidenza di due giudizi di merito, anche un rinvio del giudice sovraordinato agli argomenti esposti dalla pronuncia di prime cure, a meno che con i motivi di appello non siano state poste specifiche questioni per le quali l’apparato argomentativo della sentenza del giudice dell’impugnazione deve essere autonomo ed autosufficiente).

Sotto altro profilo, non è censurabile il silenzio su una specifica deduzione quando la stessa debba ritenersi disattesa dalla motivazione della sentenza complessivamente considerata, essendo sufficiente per escludere la ricorrenza del vizio di preterizione, che la sentenza evidenzi una ricostruzione dei fatti che conduca alla reiezione della deduzione difensiva anche implicitamente e senza lasciare spazio ad una valida alternativa.

Sicchè, ove il provvedimento indichi con adeguatezza e logicità quali circostanze ed emergenze processuali si sono rese determinanti per la formazione del convincimento del giudice, sì da consentire l’individuazione dell’iter logico-giuridico seguito per addivenire alla statuizione adottata, non vi è luogo per la prospettabilità di un’omissione motivazionale (Cass. nr. 29434 del 19/05/2004 SEZ. 2^, Candiano ed altri).

2. Ulteriore requisito di rilevanza dell’omessa motivazione su specifiche deduzioni difensive, è che si tratti di elementi di valutazione potenzialmente decisivi, la cui considerazione avrebbe potuto incisivamente influire sul giudizio (vedi già, Corte di Cassazione Nr. 12915 22/06/1987, cit., per il riferimento ai punti decisivi per la ricostruzione o la valutazione del fatto; all’omesso esame di doglianze decisive si riferisce anche Cass. Nr. 35918 del 17/06/2009, sez. 6^, Greco).

3. Non può infine tenersi conto di tutti i motivi di appello non espressamente riproposti dal ricorrente in questa sede di legittimità, ma evocati con un improprio quanto ampio rinvio per relationem ai precedenti motivi di gravame, in violazione della regola dell’autosufficienza del ricorso, ma anche in contrasto con il requisito della specificità dei motivi di impugnazione, nella misura in cui con il rinvio si intendano riproporre le doglianze avanzate contro la sentenza di primo grado, senza contestare puntualmente le argomentazioni del giudice dell’impugnazione sui singoli motivi di gravame (cfr. Corte di Cassazione 19/12/2006, Tagliente e altro, secondo cui è inammissibile il ricorso per cassazione i cui motivi si limitino a lamentare l’omessa valutazione, da parte del giudice d’appello, delle censure articolate con il relativo atto di gravame, rinviando genericamente ad esse, senza indicarne specificamente, sia pure in modo sommario, il contenuto, al fine di consentire l’autonoma individuazione delle questioni che si assumono irrisolte e sulle quali si sollecita il sindacato di legittimità, dovendo l’atto di ricorso essere autosufficiente, e cioè contenere la precisa prospettazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto da sottoporre a verifica).

4. Applicando questi principi al caso di specie, va subito rilevato che le censure riassunte sotto il nr. 1 della narrativa, sono in larga parte generiche, non esplicitando compiutamente il contenuto dei motivi di appello che si vorrebbero trascurati dai giudici di appello (francamente perplessi lascia poi la considerazione del ricorrente che non vi sarebbe "la prova" che i motivi di appello riproponessero questioni già esaminate e decise dal giudici di primo grado, non potendo certo porsi al riguardo un problema "probatorio").

4.1 Ma è vero soprattutto che l’indagine deve muovere dalla considerazione del percorso argomentativo della sentenza impugnata, non dei "paralleli" percorsi argomentativi proposti in ricorso, in questo senso elusivi dei termini propri del giudizio di legittimità, che verte sulla tenuta logico giuridica del provvedimento impugnato, non sulla plausibilità delle alternative opzioni di merito della difesa.

4.2 E così, sulla provenienza illecita degli orologi trattati dal C., la Corte territoriale ricorda, ad es., che un certificato di garanzia Rolex (OMISSIS) era risultato alterato da abrasioni meccaniche, e che altri certificati erano privi del talloncino contenente il numero identificativo dell’orologio, inferendone logicamente la volontaria "mutilazione" delle garanzie per occultare la provenienza della merce; e traggono, i giudici di appello, ulteriori inferenze logiche della sussistenza del reato presupposto, dal possesso di un numero esorbitante di pezzi di ricambio e di cinturini rolex, come indizio di una attività di "pulitura" degli orologi.

5. In quanto integrata dalle articolate motivazioni della sentenza di primo grado (nel senso che quando le sentenze di primo e secondo grado concordino nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento delle rispettive decisioni, la struttura motivazionale della sentenza di appello si salda con quella precedente per formare un unico complesso corpo argomentativo, cfr. cass Sez. 1^, n. 8868 del 26/06/2000 Sangiorgi), la sentenza di appello ancor più contiene infine l’implicita risposta a tutte le doglianze difensive. Così è, soprattutto, per ciò che concerne le intercettazioni telefoniche (vedi, soprattutto, la sentenza del tribunale, pagg. 3 e ss. nella parte relativa alla ricostruzione del fatto associativo; e pagg. 28 e ss. nell’analisi del reato di ricettazione di cui al capo 5), rispetto alle quali il ricorrente propone interpretazioni del tutto soggettive, e comunque soltanto alternative, nel merito, a quelle dei giudici territoriali, oltre che sostanzialmente riassumibili nella generica e apodittica considerazione che i colloqui, per la parte riguardante il ricorrente, sarebbero "espressione di una propria condizione di appassionato e venditore di orologi di provenienza lecita avulsa da qualsiasi logica criminale". 6. Ed è nel quadro degli intensi rapporti tra il N. e il C., congruamente inseriti dai giudici di merito in un più ampio contesto criminale espressione di un’attività delittuosa organizzata in forma associativa, per la rilevata sistematicità del traffico di orologi di provenienza illecita, che andrebbe apprezzata la "comunicabilità" al ricorrente delle prove a carico del N., soprattutto con riguardo all’esito di perquisizioni e sequestri, eseguiti nei confronti del N., ma indirettamente rilevanti anche nei confronti del C. in quanto attinenti alla stessa illecita attività esercitata in comune da entrambi nel campo del traffico illegale di orologi, nel quadro di una costante interlocuzione tra i due sulle varie operazioni "commerciali" da realizzare.

Senza dire che nei confronti del C. i giudici territoriali sottolineano soprattutto il contenuto delle numerose intercettazioni telefoniche in cui il ricorrente è, stavolta, direttamente coinvolto, in contesti comunicativi più volte caratterizzati dalla implicita rivelazione della natura tutt’altro che trasparente degli affari trattati (vedi ad. es. la telefonata sottolineata a pag. 28 della sentenza di primo grado, dove il C. rappresenta al suo interlocutore che non è il caso di parlare per telefono di una partita di orologi "da piazzare").

Alla stregua delle precedenti considerazioni, il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000,00 alla Cassa delle Ammende, commisurata all’effettivo grado di colpa dello stesso ricorrente nella determinazione della causa di inammissibilità.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000,00 alla Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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