Cass. civ. Sez. V, Sent., 06-07-2012, n. 11383 Imposta di pubblicità e affissioni

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Pubbliemme Pubblicità s.r.l. propose ricorso avverso avvisi di accertamento in rettifica emessi a titolo d’imposta comunale sulla pubblicità per l’anno 2000.

L’adita commissione provinciale respinse il ricorso, con decisione, che in esito all’appello della società contribuente, fu confermata dalla commissione regionale.

I giudici di appello rilevarono, in particolare: la tempestività degli accertamenti e la sufficienza della relativa motivazione; la congruità dell’imposizione su base annua, in funzione della mancata rimozione dell’impianto al termine dell’asserito periodo di utilizzazione temporanea; l’impossibilità di usufruire di riduzioni delle sanzioni per mancato pagamento (in presenza di dichiarazioni iniziali ma non di quella di cessazione di utilizzo infratrimestrale) per il periodo successivo al trimestre; la correttezza della modalità del computo dell’imposta, con riferimento della superficie dell’impianto concretamente utilizzabile dal messaggio pubblicitario, al netto di quella della cornice.

Avverso la decisione di appello, la società contribuente ha proposto ricorso per cassazione in quattro motivi.

Il Comune ha resistito con controricorso.
Motivi della decisione

Con il primo motivo di ricorso, la società contribuente – denunciando violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 10, correlato alla violazione della Delib. Consiglio Comunale n. 254 del 1994, art. 13 e nullità della sentenza per contraddittoria ed e valutazione su punto decisivo della controversia – propone il seguente quesito di diritto: " … se il comportamento del Comune di Roma sia censurabile sotto il profilo della violazione della L. n. 212 del 2000, art. 10, per aver emesso avvisi di accertamento comprensivi di sanzioni in violazione della Delib. n. 254 del 1995, art. 13, sulla base di verbali di contravvenzione elevati nei confronti di cartelli privi di autorizzazione ma inseriti nella procedura di cui alla menzionata Delib. n. 254 del 1994 … se gli importi versati per un impianto che l’amministrazione considera abusivo debbano comunque essere decurtati dal maggior dovuto o se invece per il solo fatto che l’impianto e abusivo detti pagamenti non hanno alcun valore".

Con il secondo motivo di ricorso, la società contribuente – denunciando violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 7 – propone il seguente quesito di diritto: "… se l’obbligo della motivazione imposta dalla L. n. 212 del 2000, art. 7, debba considerarsi assolto con la mera indicazione di dati numerici senza dare contezza delle fasi e delle conclusioni del procedimento amministrativo che ha condotto all’emissione di quel determinato atto tributario".

Con il terzo motivo di ricorso, la società contribuente – denunciando violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 12 – propone il seguente quesito di diritto: "… se il D.Lgs. n. 507 del 1993, anche in applicazione del principio sancito dalla Consulta debba essere corrisposta per tutto l’anno indipendentemente dal numero dei passaggi diffusi o se, invece, al contribuente è concessa l’opzione di versare il tributo in ragione dei periodi espositivi".

Con il quarto motivo di ricorso, la società contribuente – denunciando nullità della sentenza per omessa motivazione su punto decisivo della controversia in relazione all’errato computo della superficie espositiva – propone il seguente quesito: "… se in applicazione del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 7, comma 1, e della disposizione regolamentare di cui all’art. 7, comma 4, reg. AA.PP. le cornici dell’impianto che racchiudono i pannelli espositivi debbano essere considerate tra gli elementi dell’impianto pubblicitario esclusi dall’imposizione".

Il ricorso va disatteso.

Invero – vertendosi in tema di ricorso per cassazione avverso sentenza di appello pubblicata dopo l’1.3.2006 e prima del 4.7.2009 (cfr. Cass. 22578/09) – occorre, prioritariamente rispetto ogni altra valutazione, rilevare l’inammissibilità delle censure proposte dalla società contribuente, per violazione delle prescrizioni di cui all’art. 366 bis c.p.c., in tema di quesito di diritto.

Occorre, invero, rilevare che, ai sensi della disposizione indicata il quesito conclusivo – dovendo assolvere la funzione di integrare il punto di congiunzione tra la risoluzione del caso specifico e l’enunciazione del principio giuridico generale – non può essere meramente generico e teorico ma deve essere calato nella fattispecie concreta, per mettere la Corte in grado poter comprendere dalla sua sola lettura, l’errore asseritamente compiuto dal giudice a quo e la regola applicabile (v. Cass. s.u. 3519/08).

Tanto premesso in linea di principio, deve, peraltro, rilevarsi, in concreto, che i quesiti di cui sono corredati i motivi di ricorso proposti dalla società contribuente si esauriscono, in contrasto con il suesposto criterio, in mere petizioni di principio della cui fondatezza si chiede conferma a questa Corte.

In disparte tale assorbente rilievo, deve, peraltro, osservarsi che doglianze della ricorrente risultano, altresì, inammissibili: la prima, perchè "nuova", almeno, in prospettiva di autosufficienza, introducendo un tema di decisione che, nè dalla sentenza impugnata nè dal ricorso per cassazione, risulta proposto e trattato davanti al giudice del merito (v. Cass. 20518/08, 14590/05, 13979/05, 6656/04 5561/04); la seconda, perchè non autosufficiente, a tacer d’altro, per la mancata descrizione della contestata motivazione dell’accertamento impugnato; la terza, perchè generica e non esaustivamente investente la ratio della decisione impugnata, con particolare riguardo all’affermata necessità di rapportare l’imposizione a periodo annuale in assenza dichiarazioni cessazione di utilizzazione infrannuale e di tempestiva rimozione; la quarta, perchè risolventesi in inammissibile sindacato di fatto e, comunque, carente sul piano dell’autosufficienza, non offrendo indicazione alcuna sugli elementi che avrebbero dovuto indurre il giudice a quo a diversa determinazione e sulle relative fonti.

Alla stregua delle considerazioni che precedono, s’impone il rigetto del ricorso.

Per la natura della controversia e tutte le peculiarità della fattispecie, si ravvisano le condizioni per disporre l’integrale compensazione delle spese del giudizio.
P.Q.M.

La Corte: rigetta il ricorso; compensa le spese.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 6 giugno 2012.

Depositato in Cancelleria il 6 luglio 2012

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *