Cass. civ. Sez. V, Sent., 06-07-2012, n. 11382 Imposta di pubblicità e affissioni

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con sentenza n. 2/38/08, depositata il 25.2.08, la Commissione Tributaria Regionale del Lazio dichiarava inammissibile l’appello proposto dal Comune di Roma avverso la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale, con la quale era stato accolto il ricorso proposto dalla società CZ s.r.l. nei confronti degli avvisi di accertamento, con i quali l’ente territoriale aveva richiesto alla contribuente il pagamento dell’imposta e degli accessori dovuti, per affissioni dirette eseguite dalla medesima nell’anno 2000.

2. La CTR riteneva, invero, fondata e – di conseguenza – la accoglieva, l’eccezione pregiudiziale, proposta dalla contribuente, di difetto di legittimazione processuale dell’ente pubblico, poichè rappresentato in giudizio dal dirigente del servizio affissioni e pubblicità del Comune di Roma, e non dal Sindaco del Comune in questione.

3. Per la cassazione della sentenza n. 2/38/08 ha proposto ricorso il Comune di Roma affidato ad un unico motivo.

La CZ s.r.l. ha replicato con controricorso.
Motivi della decisione

1. In via pregiudiziale, osserva la Corte che la domanda di sospensione del presente giudizio e di rinvio della causa a nuovo ruolo, proposta dalla difesa della resistente CZ s.r.l., non può trovare accoglimento.

1.1. Va rilevato, infatti, che detta istanza è fondata sul disposto della Delib. Consiglio Comunala Roma n. 31 del 2009, art. 5, a norma del quale la presentazione da parte del contribuente dell’istanza di definizione della lite, in via transattiva, mediante il pagamento di una somma il cui ammontare è determinato – in ragione del valore della controversia – dal precedente art. 3, comporta la sospensione del procedimento giuri-sdizionale in corso, in qualunque stato e grado esso sia pendente, fino alla data del 30.9.2009 (data, poi, più volte prorogata dall’ente).

L’esistenza di una fattispecie condonale, desumibile dalla delibera succitata, comporterebbe, pertanto, di per sè – a parere della difesa della società contribuente – la sussistenza del diritto della parte ad ottenere la sospensione del processo, con rinvio del presente giudizio di legittimità a nuovo ruolo.

1.2. La pretesa è infondata.

1.2.1. Va osservato, invero, che la menzionata Delib. Consiglio Comunale Roma n. 31 del 2009, risulta emanata, come si evince dal preambolo della stessa, in forza del disposto della L. n. 289 del 2009, art. 13, comma 2, che – ad avviso del Comune di Roma – consentirebbe agli enti locali territoriali di definire, ancora una volta, le liti pendenti con i contribuenti in materia di tributi comunali da tempo soppressi, sebbene tale facoltà di condono sia stata concessa dalla legge ben sette anni prima (2002) l’istituzione della definizione agevolata stabilita con la delibera comunale in esame (2009).

In virtù della predetta norma legislativa autorizzativa, l’ente territoriale ha, pertanto, concesso ai contribuenti la menzionata possibilità di definire transattivamente le vertenze ivi previste, mediante il pagamento di una determinata somma pari ad una percentuale degli importi dovuti, e di ottenere altresì la sospensione dei giudizi pendenti, onde pervenire alla definizione della lite ed alla conseguente estinzione dei giudizi stessi.

1.2.2. Ciò posto, osserva la Corte che la citata Delib. n. 31 del 2009, si palesa del tutto illegittima ed è, pertanto, certamente inidonea a fondare la richiesta di sospensione del giudizio e di rinvio della causa a nuovo ruolo, proposta – nel caso concreto dalla difesa della CZ s.r.l..

Ed invero, va osservato al riguardo che la L. n. 289 del 2002, art. 13, al comma 1, con riferimento ai tributi propri del Comune – ovverosia quelli la cui titolarità giuridica ed il cui gettito siano integralmente attribuiti al suddetto ente (L. n. 289 del 2002, art. 13, comma 3) – consente la definizione in via amministrativa, mediante la riduzione dell’ammontare delle imposte e tasse dovute all’ente medesimo, nonchè dei relativi interessi e sanzioni, di quelle situazioni pendenti con i contribuenti che non abbiano dato luogo all’emissione di atti impositivi o a controversie in sede giurisdizionale. Sempre che – a tenore del medesimo co. 1 dell’art. 13 – nel termine fissato da ciascun ente, "i contribuenti adempiano ad obblighi tributari precedentemente in tutto o in parte non adempiuti".

Il comma 2 della norma consente, poi, all’ente territoriale di stabilire le "medesime agevolazioni di cui al comma 1" anche per i casi in cui "siano già in corso procedure di accertamento o procedimenti contenziosi in sede giurisdizionale", conseguendo – in siffatte ipotesi – alla presentazione dell’istanza di definizione da parte del contribuente, e ad a domanda del medesimo, la sospensione del procedimento giurisdizionale in corso, "in qualunque stato e grado questo sia eventualmente pendente".

1.2.3. Ebbene – come è dato desumere, in modo del tutto inequivoco, dalle disposizioni succitate – la possibilità per il contribuente di conseguire la sospensione del giudizio in corso – ipotesi ricorrente nel caso di specie – è ancorata, dalla L. n. 289 del 2002, art. 13, alla concomitante presenza di due specifici presupposti: a) che si tratti di obblighi tributari precedenti l’entrata in vigore della legge in questione; b) che, alla data di entrata in vigore della predetta legge, le procedura di accertamento o i procedimenti contenziosi in sede giurisdizionale fossero già stati instaurati. E tuttavia, deve ritenersi che – come si evince dal riferimento alla fissazione di un termine, che l’ente pubblico deve effettuare – l’uno e l’altro dei due presupposti summenzionati, non solo debbano essere riscontrati con riferimento agli anni precedenti la legge suddetta (2002), ma anche che la concessione della possibilità di definizione delle pendenze tributarie mediante condono sia limitata ad una sola, ed unica, determinazione dell’ente.

Ed invero, non avrebbe senso alcuno che quest’ultimo possa ritenersi autorizzato a fissare quanti termini voglia, anche a distanza di anni, considerato, altresì, che anche sul piano letterale il riferimento alla fissazione di "un termine", contenuto nella disposizione della L. n. 289 del 2002, art. 13, lascia intendere che questa possa avvenire per una sola volta.

1.2.4. Orbene, non può revocarsi in dubbio che le potestà concesse dalla legge alle amministrazioni locali in materia di tributi – siano esse relative all’imposizione fiscale, o piuttosto, come nella specie, all’esenzione o alla riduzione del carico tributario gravante sui contribuenti – non possano che essere esercitate nei limiti, anche temporali, imposti dalla norma primaria alle amministrazioni medesime. Le esigenze di omogeneità di funzionamento dell’intero sistema tributario, evidenziate dal disposto dell’art. 3 (uguaglianza di trattamento dei debitori di tributi diversi da quelli locali), art. 23 (riserva di legge in materia di prestazioni obbligatorie) e art. 119 Cost., comma 2 (coordinamento della finanza pubblica locale con quella nazionale), comportano, invero, la necessità che il legislatore nazionale intervenga a fissare le grandi linee di detto sistema, definendo gli spazi ed i limiti entro i quali possono essere esercitate le potestà attribuite, in materia fiscale, anche agli enti locali territoriali (cfr. C. Cost. 37/04).

Ne discende che l’esercizio di un potere in materia tributaria, da parte dell’ente locale, una volta che sia spirato il termine, previsto dalla legge statale autorizzativa, entro il quale tale potestà poteva essere esercitata, comporta la carenza del potere medesimo, e la conseguente disapplicazione, da parte del giudice ordinario, dell’atto assunto in violazione della norma attributiva della potestà esercitata nonostante il decorso del termine suindicato (Cass. S.U. 2097/75).

1.3. Nel caso concreto, poichè la L. n. 289 del 2002, art. 13, concedeva all’amministrazione comunale la potestà di adottare il solo, specifico, condono ivi previsto, temporalmente delimitato attraverso i riferimenti suesposti, l’adozione di un ulteriore condono a distanza di ben sette anni dalla normativa primaria succitata, determina l’illegittimità del condono medesimo per carenza di potere, che va dichiarata da questa Corte, anche ai sensi dell’art. 363 c.p.c..

Ne discende che la richiesta di sospensione del presente giudizio e di rinvio della causa a nuovo ruolo, proposta della difesa della CZ s.r.l. – in quanto fondata su detto condono, adottato con la Delib.

Consiliare n. 31 del 2009 – non può trovare accoglimento.

2. Con l’unico motivo di ricorso, il Comune di Roma denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 92, art. 11 e L. n. 88 del 2005, art. 3 bis, comma 1, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

2.1. Avrebbe, invero, errato la CTR, a parere del ricorrente, nel ritenere che fosse affetta da nullità la costituzione in giudizio del Comune di Roma, rappresentato dal dirigente del Servizio Affissioni e Pubblicità, per il fatto che l’ente territoriale – ad avviso del giudice di appello – dovrebbe stare in giudizio esclusivamente in persona del Sindaco, ai sensi del D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 50, ovvero – a norma del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 11, modificato dalla L. n. 88 del 2005, art. 3 bis – in persona del dirigente dell’Ufficio tributi.

Del tutto illegittima sarebbe, pertanto, secondo l’ente territoriale, l’impugnata pronuncia, laddove la CTR – senza procedere all’esame del merito – ha rilevato, in via pregiudiziale, il difetto di rappresentanza processuale dell’ente territoriale appellante e, di conseguenza, ha dichiarato l’inammissibilità del gravame, per difetto della legitimatio ad processum da parte del dirigente del Comune.

2.2. Il motivo è infondato.

2.2.1. Ed invero, il D.L. n. 44 del 2005, art. 3 bis, comma 1, convertito con modificazioni nella L. n. 88 del 2005, in vigore dall’1.6.2005, sostituendo il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 11, comma 3, sul contenzioso tributario, dispone che l’ente locale, nei cui confronti è preposto il ricorso, può stare in giudizio – oltre che in persona del Sindaco – anche mediante il dirigente dell’ufficio tributi, o, in mancanza di tale figura dirigenziale, o anche su delega di quest’ultima, mediante il titolare della posizione organizzativa comprendente l’ufficio tributi. Il comma 2 dell’articolo 3 bis cit., inoltre, estende ai processi in corso la suddetta disposizione, relativa alla legittimazione processuale dei dirigenti locali.

2.2.2. Ebbene, va osservato – al riguardo – che lo Statuto del Comune di Roma, approvato con Delib. Consiliare 17 luglio 2000, n. 122 (successivamente integrato con Delib. 19 gennaio 2001, n. 22), prevede, all’art. 24, comma 1, che "Il Sindaco è l’organo responsabile dell’amministrazione del Comune e rappresenta l’Ente", ma lo stesso Statuto stabilisce, altresì, all’art. 34, comma 4, che "I Dirigenti promuovono e resistono alle liti anche in materia di tributi comunali ed hanno il potere di conciliare e transigere". Il regolamento, approvato con Delib. Giunta 25 febbraio 2000, n. 130 (disciplina interna del contenzioso dinanzi alle commissioni tributarie), dispone, poi, all’art. 3, che i dirigenti hanno il potere di decisione autonoma sulla scelta di resistere, intervenire e agire nei giudizi dinanzi alle commissioni tributarie, valutando tutti gli aspetti della controversia in fatto e in diritto, nonchè il potere di rappresentanza diretta del comune, con la sottoscrivendo dei relativi atti processuali.

2.2.3. In definitiva, dunque, se il Sindaco deve ritenersi, secondo lo statuto ed i regolamenti dell’amministrazione capitolina (art. 24, comma 1), ed in conformità al T.U. sull’ordinamento degli enti locali, approvato con D.Lgs. n. 267 del 2000, il principale legittimato a rappresentare il Comune di Roma (in tal senso, Cass. S.U. 12868/2005), analoghi poteri di rappresentanza processuale, senza necessità di particolari autorizzazioni, sono, tuttavia, conferiti a tutti i dirigenti, in subiecta materia, limitatamente ai giudizi davanti alle commissioni tributarie.

Ne discende che deve ritenersi senz’altro ammissibile l’appello proposto – come nel caso concreto – dal dirigente del servizio affissioni e pubblicità del Comune di Roma (cfr. Cass. 14637/07, 6807/09, 13230/09); per cui l’impugnata sentenza non può che essere annullata.

3. Per tutte le ragioni esposte, dunque, in accoglimento del ricorso, la sentenza n. 2/38/08 va cassata, con rinvio ad altra sezione della Commissione Tributaria Regionale del Lazio, che dovrà riesaminare il merito della controversia, attenendosi al seguente principio di diritto: "è ammissibile l’appello proposto dal dirigente del servizio affissioni e pubblicità del Comune di Roma, trattandosi di soggetto provvisto dei necessari poteri di rappresentanza processuale dell’ente".

4. Il giudice di rinvio provvedere, altresì alla liquidazione delle spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Commissione Tributaria Regionale del Lazio, che provvedere alla liquidazione anche delle spese del presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Tributaria, il 31 maggio 2012.

Depositato in Cancelleria il 6 luglio 2012

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