Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 05-10-2011) 14-12-2011, n. 46518 Misure di prevenzione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Il tribunale di Frosinone, con decreto del 4 dicembre 2007, applicava al proposto D.C.A.S. la misura di prevenzione personale della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza con obbligo di soggiorno e disponeva il sequestro dei beni individuati dalla DIA di Padova.

Successivamente, con decreto del 27 novembre 2008, lo stesso tribunale disponeva la confisca dei beni del D.C. e di quelli fittiziamente intestati ad altre persone, tra le quali quelli intestati ad I.E., nipote del D.C. ed amministratore unico e legale rappresentante della società GDCHC-Great Di Caprio Holding Company srl riconducibile al proposto.

L’appello discusso dinanzi alla corte di appello di Roma e definito con provvedimento del 23 ottobre 2010 concerneva il decreto che aveva disposto la confisca.

La corte di merito, disattese alcune eccezioni processuali, in parte riproposte in sede di legittimità, rigettava nel merito le questioni poste dal D.C. e dal terzo interessato I.E., che aveva agito per suo conto e nell’interesse della società che rappresentava, confermando il decreto del primo giudice del 1 ottobre- 27 novembre 2008.

Con il ricorso per cassazione D.C.A.S. deduceva:

1) la violazione di legge – L. n. 575 del 1965, art. 2 bis e 2 ter – per incompetenza territoriale del tribunale di Frosinone perchè all’apertura del procedimento il D.C. era dimorante presso l’istituto penitenziario di Santa Maria Capua Vetere ed il suo centro di interessi personali e patrimoniali era (OMISSIS).

2) la violazione della L. n. 575 del 1965, art. 2 ter in ordine alla confisca per la assenza di indicazione del necessario rapporto di connessione con l’attività illecita ipotizzata e per non aver tenuto conto che i beni erano intestati a terzi.

Il terzo interessato I.E., nipote del proposto, dopo avere richiamato l’iter del procedimento ed avere riportato i motivi di appello, deduceva:

1) la violazione della L. n. 575 del 1965, art. 3 ter, comma 2 e della L. n. 1423 del 1956, art. 4, comma 10 e dell’art. 127 c.p.p., comma 1, anche in relazione all’art. 24 Cost., nonchè, in subordine, la violazione anche della L. n. 1423 del 1956, art. 4, comma 12 e dell’art. 680 cod. proc. pen., nonchè dell’art. 601 c.p.p., commi 1 e 4 e la violazione degli artt. 157, 161, 162, 163, 164, 167 e 171 cod. proc. pen..

In particolare il ricorrente lamentava difetti di citazione del predetto e della società dallo stesso rappresentata nel giudizio di appello;

2) la violazione della L. n. 575 del 1965, art. 2 ter, comma 5 anche in relazione all’art. 24 Cost. per la confusione operata dai giudici di merito tra capitale sociale e patrimonio sociale e dalla non rilevata differente titolarità dei relativi beni, circostanze che avrebbero dato origine alla irregolare citazione;

3) la violazione della L. n. 575 del 1965, art. 2 ter, commi 2 e 6 e art. 2 bis, commi 1 e 4 e dell’art. 2, comma 1, nel testo vigente all’epoca della proposta di applicazione delle misure di cui si tratta e, in subordine, anche nel testo attualmente vigente, come modificato dalla L. n. 92 del 2008.

I motivi posti a sostegno dei ricorsi proposti da D.C.A. S. ed I.E. sono infondati.

E’ infondato il primo motivo di impugnazione del D.C. con il quale è stata eccepita la incompetenza territoriale del tribunale di Frosinone.

Pur volendo prescindere dal fatto che il ricorrente non ha tenuto nel minimo conto la motivazione della corte di appello sul punto, essendosi limitato ad una riproposizione del motivo di appello, va detto che la corte di merito ha motivato correttamente sul punto, ponendo in evidenza che il centro principale degli interessi del D. C. era in (OMISSIS), o meglio in (OMISSIS), comune in provincia di (OMISSIS), ove non solo il ricorrente risiedeva stabilmente, ma dove aveva svolto la parte più rilevante della attività da cui emergeva la pericolosità sociale, quale esponente di rilievo di un sodalizio di stampo mafioso, dedito anche al traffico degli stupefacenti.

Trattasi di motivazione rispettosa delle norme che regolano il procedimento di prevenzione, cosicchè il motivo deve essere rigettato.

Il secondo motivo, che è caratterizzato da genericità, si risolve in censure di merito inammissibili in sede di legittimità.

La genericità risulta evidente perchè il ricorrente si è limitato a ricordare che per confiscare beni nel procedimento di prevenzione è necessario stabilire che gli stessi siano frutto di profitti illeciti e siano riconducibili alla disponibilità del proposto, ma poi non ha spiegato per quali ragioni tali elementi non sarebbero ravvisabili nel caso di specie, limitandosi a sostenere che la motivazione del provvedimento impugnato sul punto era carente.

Ma non è così perchè la corte di merito ha illustrato compiutamente, con motivazione immune da manifeste illogicità, in base a quali elementi – precise dichiarazioni di due collaboratori di giustizia, esiti di intercettazioni telefoniche, ragione sociale della società, attività malavitose assai redditizie poste in essere dal proposto, assenza di redditi leciti ecc. ecc. – i beni confiscati dovevano essere ritenuti di provenienza illecita e perchè fossero riconducibili alla disponibilità del D.C..

In effetti le censure del ricorrente sul punto si risolvono in inammissibili censure di merito della decisione impugnata, inammissibili in questa sede di legittimità. Bisogna notare, infine, che il ricorrente di tutti gli elementi dinanzi indicati nulla ha detto, fatta salva una generica critica alle dichiarazioni dei collaboratori, che sarebbero sfornite di riscontri, senza considerare che le dichiarazioni si riscontrano reciprocamente e sono riscontrate da altri elementi, come indicato dalla corte di merito.

E’ infondato il primo motivo di impugnazione di I.E., ed anzi è ai limiti della ammissibilità perchè il ricorrente, pur avendo richiamato tutta la disciplina normativa in tema di notificazioni, non ha chiarito in che cosa specificamente sia consistita la denunciata violazione; sotto tale profilo il motivo è inammissibile per genericità.

In ogni caso, ove mai il motivo dovesse consistere nel fatto che l’ I. venne citato presso il difensore non domiciliatario e che la società non sia stata autonomamente citata nel luogo ove ha sede legale, va detto che il motivo è infondato.

Risulta, infatti, che il ricorrente venne citato in data 21 gennaio 2010, in proprio e quale amministratore e legale rappresentante della società GDCHG Great Di Caprio Holding, con notifica effettuata nelle mani del difensore di fiducia.

Questi non ha mai eccepito nulla circa la regolarità della notificazione, mentre il ricorrente si è sempre qualificato, come correttamente rilevato dalla corte di merito, come costituitosi in proprio e quale rappresentante della società.

Di conseguenza la eventuale irregolarità della notificazione darebbe luogo a nullità a regime intermedio, sanata dalla acquiescenza del difensore presente nel giudizio (Cass., sez. 2, n. 35345 del 12 maggio 2010).

Per quanto riguarda, poi, l’asserita confusione operata, dai giudici di merito, tra patrimonio sociale e titolarità delle quote – secondo motivo di impugnazione – e che avrebbe dato luogo anche alla irregolare citazione, va detto, come ha correttamente osservato il procuratore generale presso questa Corte, che la doglianza è smentita dalla dettagliata indicazione dei beni sottoposti a sequestro, come distinti dalle quote sociali, e dalla chiamata in giudizio non solo del ricorrente in proprio ma anche della società dal medesimo rappresentata.

La distinzione suddetta, inoltre, risulta chiarita sin dalla ordinanza in data 12 luglio 2007 del tribunale di Frosinone, notificata unitamente al decreto di fissazione dell’udienza camerale, il quale a sua volta contiene la specifica indicazione dei beni come distinti dalle quote sociali.

E’ manifestamente infondato, ed anzi irrilevante, il terzo motivo di impugnazione di I.E., che si è lamentato del fatto che la proposta di applicazione della misura fosse stata fatta dalla DIA perchè, a prescindere da altre pur possibili e valide considerazioni, la proposta della DIA, come non ha mancato di ricordare la corte di merito, fu fatta propria dal Procuratore della Repubblica, ovvero dal soggetto sicuramente titolare della iniziativa in tale materia.

Per le ragioni indicate i ricorsi debbono essere rigettati e ciascun ricorrente deve essere condannato a pagare le spese del procedimento.
P.Q.M.

La Corte rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti a pagare le spese del procedimento.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *