Cass. civ. Sez. V, Sent., 06-07-2012, n. 11372 Imposta di pubblicità e affissioni

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo

Con sentenza del 21 luglio 2003 la CTR-Lazio dichiara inammissibile l’appello proposto dalla soc. NDP, nei confronti del Comune di Roma e della sua concessionaria (Montepaschi), avverso la sentenza che, in prime cure, ha rigettato il ricorso della contribuente contro la cartella di pagamento n. (OMISSIS) per imposta sulla pubblicità relativa all’anno 1995.

Il giudice d’appello – rilevando che la società appellante non ha fornito alcuna prova circa l’impugnazione di avvisi di accertamento, quali atti presupposti della contestata cartella – sostiene che, "su questo fondamentale aspetto della sentenza appellata la società torna a difendersi con mere affermazioni prive di ogni supporto probatorio e pregio giuridico, tali da far emergere, preliminarmente, la necessità di esaminare l’impugnazione sotto il profilo dell’ammissibilità ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19".

Conclude, "sempre sotto l’aspetto dell’ammissibilità", rilevando "…la genericità sia del ricorso di primo grado che dell’atto introduttivo del presente gravame", il che "induce il Collegio a soprassedere all’esame degli altri aspetti del contenzioso". Propone ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, la contribuente;

l’amministrazione comunale resiste con controricorso, mentre la concessionaria non spiega attività difensiva.
Motivi della decisione

1.-Preliminarmente, la ricorrente deposita in udienza documentazione sull’attivazione della procedura di definizione di lite, secondo il regolamento comunale n. 31 del 2009; indi, chiede rinviarsi la causa a nuovo ruolo per le determinazioni dell’amministrazione ai fini della cessazione della materia del contendere. La richiesta non è meritevole di accoglimento.

A mente dell’art. 13 della legge finanziaria 2003 e con riferimento ai tributi propri, i Comuni possono stabilire, con le forme previste dalla legislazione vigente per l’adozione dei propri atti destinati a disciplinare i tributi stessi, la riduzione dell’ammontare delle imposte e tasse loro dovute, nonchè l’esclusione o la riduzione dei relativi interessi e sanzioni, per le ipotesi in cui, entro un termine appositamente fissato da ciascun ente, i contribuenti adempiano ad obblighi tributari precedentemente in tutto o in parte non adempiuti (comma 1). Le medesime agevolazioni possono essere previste anche per i casi in cui siano già in corso procedure di accertamento o procedimenti contenziosi in sede giurisdizionale. In tali casi, la richiesta del contribuente di avvalersi delle predette agevolazioni comporta la sospensione, su istanza di parte, del procedimento giurisdizionale, in qualunque stato e grado questo sia eventualmente pendente, sino al termine stabilito dall’ente locale, mentre il completo adempimento degli obblighi tributari, secondo quanto stabilito dall’ente locale, determina l’estinzione del giudizio (comma 2).

Pertanto, la disciplina attuativa del condono è riconosciuta dalla legge come una competenza di carattere organizzatorio degli enti locali, da esercitare attraverso i regolamenti disciplinati in via generale dal D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 52.

Il Comune di Roma ha provveduto con la delibera citata, assegnando agli interessati il termine del 30 giugno 2009 per attivare la procedura di definizione delle liti pendenti (art. 3, comma 3), anche in tema d’imposta comunale sulla pubblicità (art. 2), e fissando diversificati termini di sospensione (a seconda che si tratti definizione in unica soluzione o rateale), l’ultimo dei quali è scaduto 30 giugno 2010 (art. 5, comma 1, art. 6, commi 2 e 3). La parte che ha presentato l’istanza di definizione, al termine della durata della sospensione e nella ipotesi in cui si sia perfezionata la definizione agevolata, è "…tenuta a presentare …l’atto di rinuncia alla prosecuzione del giudizio debitamente sottoscritto dalla controparte per accettazione con compensazione delle spese del giudizio" (art. 5, comma 3).

La documentazione, da ultimo, versata in atti dalla società non rispetta le modalità di presentazione di nuovi documenti dinanzi a questa Corte.

Infatti, si è ritenuto che, nel corso del giudizio di legittimità, possono essere prodotti documenti diretti a evidenziare la cessazione della materia del contendere per fatti sopravvenuti alla proposizione del ricorso, tali da far venir meno l’interesse alla definizione del procedimento, rientrando tale produzione nell’ambito di applicazione dell’art. 372 c.p.c., comma 2 riguardante la facoltà di deposito dei documenti attinenti all’ammissibilità del ricorso (cfr. C. 21122/08 che ha ammesso il deposito di documenti attestanti l’avvenuta definizione con condono di una violazione amministrativa per affissione abusiva).

Del deposito di nuovi documenti, però, deve essere dato avviso all’altra parte mediante notifica del relativo elenco al fine di garantire il contraddittorio (ult. cit; conf. giurisprudenza costante a partire da SU 2921/1988); la mancanza della notifica è sanata solo dalla presenza dell’avversario che accetti il contraddittorio sulla questione cui si riferisce il documento (conf. giurisprudenza costante a partire da SU 5781/1981). Invece, nella fattispecie non v’è stata notifica dell’elenco, nè presenza del difensore del Comune in udienza; dunque, la produzione della contribuente è inutilizzabile.

Si aggiungano due considerazioni: a) in primo luogo, tralasciando ogni valutazione sull’osservanza o meno del principio di riserva di legge statale in materia processuale, si rileva che il termine ultimo di sospensione temporanea dei procedimenti in corso è, comunque, spirato da molto tempo; b) in secondo luogo, si rileva che tra la documentazione addotta dalla contribuente non v’è la rinuncia al giudizio, con l’accettazione dall’altra parte, richiesta sia dalla delibera comunale (art. 5), sia dal codice di rito (art. 390).

2.-Passando all’esame del ricorso, con il primo motivo, denunciando violazione di legge (D.P.R. n. 602 del 1973, art. 15), la contribuente lamenta che la cartella rechi l’intero tributo pur in pendenza d’impugnazione dei presupposti avvisi di accertamento. Con il secondo motivo, denunciando violazione di legge (D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 12, in relazione del D.Lgs. n. 507 del 1993, artt. 1, 5, 7, 8, 9, 14 e 16 e agli artt. 3 e 53 Cost.), la ricorrente contesta la sentenza d’appello laddove omette di pronunciare sul rilievo che l’imposta deve essere conteggiata non su base annuale, ma in relazione al solo periodo di effettivo utilizzo temporaneo, atteso che eseguiva affissioni per conto terzi di durata inferiore a tre mesi. Sicchè, in difetto di prova certa da parte del Comune circa l’utilizzo degli impianti, l’ente locale non poteva richiedere alcunchè. Con gli ultimi due motivi, la società denuncia "erroneo computo della superficie dell’impianto oggetto d’imposta" e violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 8 in materia di sanzioni.

3.- Il ricorso non coglie nel segno ed è, dunque, inammissibile.

Esso affronta il merito della vertenza, mentre la "ratio decidendi" della sentenza d’appello è di natura processuale e attinge la genericità sia del gravame sia ricorso introduttivo, anche con riferimento all’assenza di documentazione annessa a giustificazione.

Tale "ratio" non è raggiunta da nessuno dei quattro motivi di ricorso.

3bis.- Inoltre, la contribuente a pag. 2 della premessa in fatto del ricorso sostiene di aver effettuato, nel giudizio di merito, "…il deposito dei ricorsi avverso gli avvisi di accertamento presupposti".

Si tratta, però, di enunciazione meramente verbalistica, priva di qualsivoglia riscontro in termini di autosufficienza del ricorso per cassazione e, soprattutto, svincolata dai quattro mezzi concretamente articolati. Nè risulta, riguardo al suddetto rilievo, la necessaria individuazione di un vizio tra quelli previsti dall’art. 360 c.p.c. (C. 3722/12).

4.- Conseguentemente, il ricorso deve essere rigettato, perchè tutti i motivi sono inammissibili. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza della contribuente e sono liquidate in dispositivo a favore della sola amministrazione comunale, unica controparte costituita.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese del giudizio di legittimità, che liquida, a favore del Comune di Roma, in complessivi Euro 4.000, di cui Euro 3.900 per onorario, oltre agli oneri di legge. Nulla per la società concessionaria.

Così deciso in Roma, il 15 maggio 2012.

Depositato in Cancelleria il 6 luglio 2012

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