Cass. civ. Sez. V, Sent., 06-07-2012, n. 11368 Accertamento Obblighi del contribuente Rimborso

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con sentenza n. 104/43/09, depositata il 24.9.09 e notificata il 10.11.09, la Commissione Tributaria Regionale della Lombardia rigettava l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate – Ufficio di Monza (OMISSIS), avverso la sentenza di primo grado, con la quale era stato accolto il ricorso proposto dalla Immobiliare Defra s.a.s. di Cattari Francesca & C. nei confronti dell’avviso di diniego di rimborso, relativo all’IVA per l’anno 2005.

2. La CTR riteneva, infatti, che la mancanza dei presupposti – di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 30, – per il rimborso dell’eccedenza dell’IVA pagata a monte sugli acquisiti, rispetto all’IVA recuperata a valle sulle vendite, non comportasse il venir meno del credito del contribuente, che ben avrebbe potuto, pertanto, – come verificatosi nel caso concreto – essere portato in detrazione, ai sensi del D.P.R. n. 443 del 1997, art. 1.

3. Avverso la sentenza n. 104/43/0 ha proposto ricorso per cassazione l’Agenzia delle Entrate, affidato a quattro motivi, ai quali l’intimata ha resistito con controricorso.
Motivi della decisione

1. Dall’esame degli atti del presente giudizio si desume che la Defra s.a.s. di Cattari Francesca & C. – esercente l’attività di compravendita immobiliare – nell’anno 1997 aveva acquistato una villetta, ad uso abitativo, per la quale era stata applicata l’IVA con l’aliquota del 19%. Nell’anno successivo, la medesima società aveva proceduto alla vendita dello stesso immobile, ed alla cessione era stata applicata la minore aliquota del 10%.

La società contribuente, nell’anno 2000, chiedeva, pertanto, il rimborso derivante dalla differenza di aliquota applicata sull’acquisto e sulla vendita, ma l’istanza veniva disattesa dall’amministrazione, sul rilievo che nella dichiarazione IVA per l’anno 1997 l’importo relativo all’acquisto era stato riportato nel rigo VF 18(acquisti per ì quali non è ammessa la detrazione), anzichè nel rigo VF9 (acquisti imponibili al 19%). Nè l’Ufficio aveva ritenuto di poter condividere le argomentazioni della contribuente, secondo la quale l’importo dell’eccedenza di imposta – annotato nel rigo VF18 per mero errore materiale – era giustificato da una nota di accredito registrata nel libro IVA acquisti. E ciò, per non avere la Defra s.a.s. prodotto copia alcuna di tale documento, nonostante fosse stata, all’uopo, invitata e sollecitata dall’amministrazione.

1.1. Avverso tale diniego di rimborso, emesso nell’anno 2001, e con il quale l’amministrazione non autorizzava la società a computare in detrazione il credito nelle dichiarazioni successive, ai sensi del D.P.R. n. 443 del 1997, art. 1, la contribuente non proponeva ricorso alcuno. E tuttavia, la medesima portava, poi, in detrazione il preteso credito IVA nelle dichiarazioni relative agli anni successivi, compreso il 2005, per il quale la contribuente provvedeva ad inoltrare ulteriore istanza di rimborso, denegato dall’amministrazione con provvedimento del 10.7.06, in contestazione nel presente giudizio.

1.2. La CTR della Lombardia, con l’impugnata sentenza, nel condividere il percorso argomentativo del giudice di prime cure, ha ritenuto, peraltro, illegittimo il diniego, sul presupposto che la mancanza dei presupposti – di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 30, – per il rimborso dell’eccedenza dell’IVA pagata a monte sugli acquisiti, rispetto all’IVA recuperata a valle sulle vendite, non comportasse il venir meno del credito del contribuente. Quest’ultimo, quindi, a parere del giudice di appello, ben avrebbe potuto – come verificatosi nel caso concreto – portare il credito suindicato in detrazione negli anni successivi, ai sensi del D.P.R. n. 443 del 1997, art. 1. Avverso tale pronuncia, insorge, pertanto, l’amministrazione, articolando quattro motivi di ricorso per cassazione, che si passa ad esaminare.

2. Con il primo motivo di ricorso, l’Agenzia delle Entrate deduce la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, comma 5, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

2.1. Osserva l’Ufficio che il giudice di appello non avrebbe fatto corretta applicazione del disposto della norma succitata, che consente all’amministrazione di invitare il contribuente ad esibire o trasmettere documenti o fatture relative a cessione di beni o prestazioni di servizi, e che sancisce l’inutilizzabilità – a fini pro-batori, in sede amministrativa e contenziosa – della documentazione non prodotta. La CTR della Lombardia, nel ritenere sussistente il diritto della Immobiliare Defra s.a.s. alla detrazione dell’IVA, contestata dall’Agenzia delle Entrate, non avrebbe, invero, tenuto conto – a parere della ricorrente – del fatto che la contribuente non aveva prodotto la documentazione richiesta in sede della verifica dei presupposti per il diritto al rimborso dell’imposta a suo credito. Tale inottemperanza della contribuente, ad avviso dell’amministrazione, comporterebbe, di conseguenza, la preclusione della facoltà per la medesima di avvalersi della documentazione, comprovante le operazioni dalle quali deriverebbe l’insorgenza del credito di imposta azionato in sede amministrativa e giurisdizionale.

2.2. Il motivo è palesemente infondato.

Osserva, invero, la Corte che la disposizione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51 – al pari dell’omologa disposizione dettata dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, in tema di accertamento delle imposte sui redditi – disciplina il potere di acquisizione, da parte dell’amministrazione finanziaria, di dati e notizie utili ai fini del compimento dell’attività di verifica prodromica all’emissione dell’avviso di rettifica. Si tratta, dunque, di attività – come si desume dalla stessa collocazione della norma in esame nel titolo quarto del menzionato decreto – finalizzata all’accertamento ed alla riscossione dell’IVA, ossia al legittimo esercizio del potere impositivo. Ne discende che la norma in questione non può attagliarsi al caso concreto, nel quale è in discussione la diversa fattispecie – fondata su presupposti giuridici del tutto differenti – del diniego di rimborso dell’IVA. Ne consegue che il motivo di ricorso in esame non può che essere disatteso.

3. Del pari infondati, ad avviso della Corte, si palesano, peraltro, anche il terzo e quarto motivo di ricorso.

4. Con il terzo motivo, invero, l’Agenzia delle Entrate deduce la nullità dell’impugnata sentenza, per violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4.

4.1. A parere dell’amministrazione finanziaria, la CTR non si sarebbe pronunciata sul motivo di appello con il quale l’Ufficio aveva censurato la decisione di prime cure, sotto il profilo della violazione del D.P.R. n. 443 del 1997, art. 1, e della L. n. 212 del 2000, art. 10.

Con tale motivo l’amministrazione deduceva, invero, che la contribuente aveva, per un verso, prestato acquiescenza al diniego di rimborso emesso dall’Ufficio nel 2001, per altro verso, del tutto contraddittoriamente, si era avvalsa del disposto del D.P.R. n. 443 del 1997, art. 1, per portare in detrazione l’eccedenza di imposta negli anni 2003, 2004 e 2005. E tuttavia, tale detrazione sarebbe stata ormai preclusa – a parere della ricorrente – dal predetto diniego di rimborso, con il quale l’amministrazione aveva disconosciuto l’esistenza stessa del credito per eccedenza di imposta, dedotto dalla Defra s.a.s..

4.2. Il motivo è infondato.

4.2.1. Questa Corte ha, per vero, più volte affermato che, ad integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia, non basta la mancanza di un’espressa statuizione del giudice sulla specifica domanda, o capo di domanda, proposti dalla parte, ma è necessario che sia stato completamente omesso il provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto.

Per il che, il vizio in parola non è certamente configurabile quando la decisione adottata comporti comunque la sostanziale reiezione della pretesa fatta valere dalla parte, sebbene manchi, in proposito, una specifica argomentazione in relazione alla domanda, così come in concreto avanzata dalla parte medesima, e che risulti incompatibile con il decisum (Cass. 16788/06, 10696/07, 20311/11).

4.2.2. Ne discende che, nel caso di specie, essendosi la CTR espressa sulla questione attinente la pretesa violazione del D.P.R. n. 443 del 1997, art. 1, ed avendo escluso tale violazione, non può certamente integrare il vizio di omessa pronuncia la mera mancanza di riferimenti espressi alle specifiche argomentazioni addotte, al riguardo, dall’amministrazione finanziaria.

5. Con il quarto motivo di ricorso, l’Agenzia delle Entrate denuncia la violazione e falsa applicazione della L. n. 724 del 1994, art. 30, comma 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

5.1. L’amministrazione ricorrente, con tale censura, ripropone la questione – già dedotta nei gradi di merito -relativa alla non operatività della società Defra s.a.s. al momento in cui veniva richiesto dalla medesima il denegato rimborso di imposta, inoperativìtà dedotta dal fatto che la contribuente, a partire dall’anno di imposta 2002, non aveva più compiuto alcuna operazione attiva o passiva, e non aveva presentata alcuna dichiarazione IRAP. Sicchè, a parere dell’Agenzia delle Entrate, la società odierna resistente non avrebbe avuto titolo alcuno a richiedere il rimborso del credito di imposta, a suo dire vantato.

5.2. Anche tale censura è da reputarsi infondata.

5.2.1. In proposito va rilevato, infatti, che la decisione di appello ha escluso che la Defra s.a.s. potesse considerarsi società non operativa o di comodo, ai sensi e per gli effetti di cui alla L. n. 724 del 1994, art. 30, comma 1, (sostituito dalla L. n. 662 del 1996, art. 3, comma 37), sulla base della considerazione che la medesima era stata mantenuta in vita, pur non svolgendo in concreto l’ordinaria attività commerciale, ai fini di coltivare lo specifico contenzioso inerente il rimborso del credito IVA, oggetto del presente giudizio.

5.2.2. L’assunto è condivisibile.

Osserva, per vero, la Corte che – in tema di IVA, e con riferimento alle istanze di rimborso dell’imposta versata in eccedenza – le disposizioni antìelusive che fanno divieto di effettuare rimborsi a società non operative (c.d. società di comodo) non si applicano, secondo quanto dispone la L. n. 724 del 1994, art. 30, comma 1, "ai soggetti che non si trovano in un periodo di normale svolgimento dell’attività".

Epperò deve ritenersi che tali soggetti, come si evince dalla generica previsione della norma succitata, siano da individuarsi, non soltanto nelle società che si trovano in formale liquidazione – non essendo giustificata tale più ristretta accezione dall’ampio tenore letterale della norma (cfr. Cass. 10100/05) – ma anche in quelle, come l’odierna resistente, che, pur non svolgendo l’ordinaria attività commerciale, siano nondimeno operative anche a fini più limitati, e ristretti ad una sola operazione da compiere.

6. Rilevato quanto precede, ritiene la Corte che il secondo motivo di ricorso, con il quale l’Agenzia delle Entrate deduce la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 443 del 1997, art. 1, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, sia, per converso, pienamente fondato.

6.1. L’amministrazione ricorrente si duole, invero, del fatto che la CTR abbia erroneamente ritenuto che il diniego di rimborso dell’imposta, per difetto dei presupposti di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 30, non comporti l’estinzione del credito del contribuente, che permarrebbe in capo al medesimo, potendo detto credito essere portato in detrazione negli anni successivi, secondo quanto dispone il D.P.R. n. 443 del 1997, art. 1.

Di contro, ad avviso dell’Agenzia, siffatto diritto alla detrazione sarebbe, nella specie, precluso dal mancato riconoscimento del credito da parte dell’Ufficio.

6.2. La doglianza è fondata.

E’ bensì vero, infatti, che la menzionata norma del D.P.R. n. 443 del 1997, art. 1, prevede che il credito IVA per il quale non è stato accordato dall’Ufficio il rimborso, per difetto dei presupposti di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 30, "è portato in detrazione", successivamente alla notifica del provvedimento di diniego, "in sede di liquidazione periodica, ovvero nella dichiarazione annuale".

Tuttavia, siffatto diritto alla detrazione presuppone pur sempre che, contestualmente al diniego del rimborso, l’amministrazione provveda all’"indicazione del credito spettante" al contribuente che provvedere, poi, a portarlo in detrazione negli anni di imposta successivi, secondo le modalità suindicate.

6.3. Senonchè, nel caso concreto, come riconosciuto dalla stessa resistente, il provvedimento di diniego di rimborso non conteneva indicazione alcuna circa l’ammontare del credito spettante alla Defra s.a.s., per l’ovvia considerazione che l’amministrazione ne aveva disconosciuta – come dianzi detto – l’esistenza, per non avere la contribuente prodotto la nota di accredito registrata nel libro IVA acquisti, comprovante la detraibilità del credito di imposta in discussione.

Ne discende che, contrariamente a quanto ritenuto dal giudice di appello, tale credito non avrebbe potuto essere portato in detrazione dalla contribuente nella dichiarazione relativa all’anno di imposta 2005.

Per tali ragioni, pertanto, il secondo motivo di ricorso deve essere accolto.

7. L’accoglimento del ricorso, in relazione al secondo motivo, comporta la cassazione dell’impugnata sentenza.

Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la Corte, nell’esercizio del potere di decisione nel merito di cui all’art. 384 c.p.c., comma 1, rigetta il ricorso in-troduttivo proposto dalla Defra s.a.s..

8. Le spese del presente giudizio di legittimità vanno poste a carico della resistente soccombente, nella misura di cui in dispositivo. Concorrono giusti motivi per dichiarare interamente compensate fra le parti le spese dei giudizi di merito.
P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione;

accoglie il secondo motivo di ricorso proposto dall’Agenzia delle Entrate e rigetta gli altri; cassa l’impugnata sentenza in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo della contribuente; condanna la resistente al rimborso delle spese del presente giudizio, a favore dell’Agenzia delle Entrate, che liquida in Euro 1.500,00, oltre alle spese prenotate a debito; dichiara, compensate tra le parti le spese dei giudizi di merito.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Tributaria, il 21 febbraio 2012.

Depositato in Cancelleria il 6 luglio 2012
Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *