Cass. civ. Sez. V, Ord., 06-07-2012, n. 11362

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

rilevato che, ai sensi dell’art. 380 bis cod. proc. civ., è stata depositata in cancelleria la relazione di seguito integralmente trascritta:
"La società XXX. srl ricorre contro l’Agenzia delle Entrate per la cassazione della sentenza con cui la Commissione Tributaria Regionale della Campania, quale giudice di rinvio ed in riforma della sentenza di primo grado, ha dichiarato legittima la ripresa a tassazione di somme transitate sul conto bancario personale dell’amministratore della società e, precisamente, di versamenti per L. 596.900.000, imputati ad omessa contabilizzazione di ricavi, e di prelevamenti per L. 364.630.000, imputati ad omessa contabilizzazione di costi.
Il ricorso della XXX. srl è affidato a due motivi.
Con il primo motivo la ricorrente – premesso che l’oggetto del giudizio di rinvio era limitato alla legittimità della ripresa a tassazione dei presunti versamenti effettuati dall’amministratore sul suo conto personale per occultare i ricavi della società, per il complessivo importo di L. 596.900.000 – censura la sentenza gravata perchè, accertando la legittimità della ripresa a tassazione di costi non contabilizzati per L. 364.630.000, avrebbe ecceduto i limiti del giudizio di rinvio, con conseguente violazione del giudicato interno.
Con il secondo motivo – riferito sia al n. 3 che al n. 5, art. 360 c.p.c., – la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 384 c.p.c., in relazione al D.P.R. n. 917 del 1986, art. 32, comma 1, n. 2, e art. 39, comma 1 e del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, nonchè agli artt. 2727-2729 c.c.; e inoltre insufficiente e illogica motivazione su punti decisivi della controversia. Entrambi i motivi sono inammissibili.
Il primo motivo è inammissibile perchè privo del quesito di diritto (sulla necessità del quesito anche per il motivo con cui si deducano errores in procedendo, vedi Cass. 4329/09, Cass. 4146/11; sulla necessità del quesito anche nel ricorso per cassazione avverso le sentenze emesse in sede di rinvio, vedi Cass. 22301/08).
Il secondo motivo contiene due censure, una di violazione di legge e una di difetto di motivazione.
La censura di violazione di legge è inammissibile ex art. 366 bis c.p.c. perchè il quesito di diritto che la conclude (per tale intendendo il periodo formulato a pag. 5, righi 20-24, del ricorso) non è conforme al paradigma normativo. Al riguardo si osserva che le Sezioni unite di questa Corte hanno affermato che il quesito deve costituire la chiave di lettura delle ragioni esposte e deve quindi porre la Corte di cassazione in condizione di rispondere ad esso con l’enunciazione di una regula juris che sia, in quanto tale, suscettibile di ricevere applicazione in casi ulteriori rispetto a quello sottoposto all’esame del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata; ciò vale a dire che la Corte di legittimità deve poter comprendere dalla lettura del solo quesito, inteso come sintesi logico – giuridica della questione, l’errore di diritto asseritamente compiuto dal giudice di merito e quale sia, secondo la prospettazione del ricorrente, la regola da applicare: in conclusione, l’ammissibilità del motivo è condizionata alla formulazione di un quesito, compiuta e autosufficiente, dalla cui risoluzione scaturisca necessariamente il segno della decisione (cfr.
Cass., sez. un., n. 28054 del 2008, cit.; n. 26020 del 2008; n. 8759 del 2008; n. 3519 del 2008; n. 7197 del 2009). I principi espressi dalle Sezioni Unite sono poi stati ulteriormente dettagliati dalla Terza Sezione con la precisazione che è inammissibile il motivo di impugnazione in cui il quesito di diritto non indichi le due opzioni interpretative alternative, quella adottata nel provvedimento impugnato e quella proposta dal ricorrente (vedi la sentenze n. 24339/08: "il quesito di diritto di cui all’art. 366 bis cod. proc. civ. deve comprendere l’indicazione sia della "regula iuris" adottata nel provvedimento impugnato, sia del diverso principio che il ricorrente assume corretto e che si sarebbe dovuto applicare in sostituzione del primo. La mancanza anche di una sola delle due suddette indicazioni rende il ricorso inammissibile"; nello stesso senso, Ord.- 4044/09). Il quesito formulato a conclusione del motivo non presenta alcun concreto ancoraggio alla fattispecie decisa e si risolve in una tautologica ripetizione dell’art. 384 c.p.c., comma 2, senza investire la Corte della richiesta di indicare quale sia, in relazione alle norme di cui si denuncia la violazione, l’interpretazione corretta tra due ipotesi alternative (quella adottata nella sentenza impugnata e quella, diversa, che il ricorrente assume essere esatta).
La censura di difetto di motivazione è anch’essa inammissibile ex art. 366 bis c.p.c. perchè non contiene un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) che sia formulato in una parte del motivo a ciò specificamente e riassuntivamente destinata e che circoscriva puntualmente i limiti della censura – in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità – fornendo la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione (per una efficace sunto dei principi elaborati in proposito da questa Corte, si veda l’ordinanza 27680/2009).
In conclusione, si ritiene che il procedimento possa essere definito in camera di consiglio, con la declaratoria di inammissibilità del ricorso ex art. 375 c.p.c., n. 1 per l’inammissibilità di entrambi i motivi ex art. 366 bis c.p.c.".
che l’Agenzia delle Entrate è costituita con controricorso;
che la relazione è stata comunicata al P.M. e notificata alle parti;
che non sono state depositate memorie ex art. 380 bis c.p.c., comma 2; che il Collegio, a seguito della discussione in camera di consiglio, condivide le argomentazioni e le conclusioni esposte nella relazione;
che pertanto il ricorso va rigettato, per l’inammissibilità dei relativi motivi; che le spese del giudizio di legittimità devono porsi a carico del ricorrente soccombente.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente a rifondere alla contro ricorrente difesa erariale le spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 1.000 per onorari oltre spese prenotate a debito.
Così deciso in Roma, il 6 giugno 2012.
Depositato in Cancelleria il 6 luglio 2012

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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