Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 12-12-2012) 20-02-2013, n. 8108

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Il motivo di ricorso presentata da R.V.V. avverso la sentenza di applicazione pena del Tribunale di Verona dell’11.7.2012 è generico e comunque manifestamente infondato, atteso che il giudice, nell’applicare la pena concordata, si è da un lato adeguato al contenuto nell’accordo tra le parti e dall’altro ha escluso che ricorressero i presupposti dell’art. 129 c.p.p. indicando specificatamente gli atti di indagine dai quali doveva desumersi la responsabilità dell’imputato. Siffatta motivazione, avuto riguardo alla speciale natura dell’accertamento in sede di applicazione della pena su richiesta delle parti, appare pienamente adeguata ai parametri richiesti per tale genere di decisioni, secondo la costante giurisprudenza di legittimità. L’accordo intervenuto tra le parti infatti esonera l’accusa dall’onere della prova e comporta che la sentenza che recepisce l’accordo fra le parti sia da considerare sufficientemente motivata con una succinta descrizione del fatto (deducibile dal capo d’imputazione), con l’affermazione della correttezza della qualificazione giuridica di esso, con il richiamo all’art. 129 c.p.p.. per escludere la ricorrenza di alcuna delle ipotesi ivi previste, con la verifica della congruità della pena patteggiata ai fini e nei limiti di cui all’art. 27 Cost. (Cass. Sez. un. 27 marzo 1992, Di Benedetto; Sez. un. 27 settembre 1995, Serafino; Sez. un. 25 novembre 1998, Messina; sez. 4, 13 luglio 2006 n.34494, Koumya). Deve aggiungersi che la possibilità di ricorrere per cassazione, deducendo l’erronea qualificazione del fatto, deve essere limitata ai casi di errore manifesto, ossia ai casi in cui sussiste l’eventualità che l’accordo sulla pena si trasformi in accordo sui reati, mentre deve essere esclusa tutte le volte in cui la diversa qualificazione presenti margini di opinabilltà (Cass. 6, 45688/08, Bastea). Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento alla Cassa delle ammende di una somma che, alla luce dei principi affermati dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 186 del 2000, sussistendo profili di colpa, si stima equo determinare in Euro 1.500,00.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1500,00 alla Cassa delle ammende.

Così deciso in Roma, il 12 dicembre 2012.

Depositato in Cancelleria il 20 febbraio 2013

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