Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 12-12-2012) 20-02-2013, n. 8091

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza in data 21 dicembre 2010 la Corte d’appello di Lecce, decidendo in sede di rinvio, a seguito di annullamento pronunciato con sentenza della corte di cassazione in data 16/4/2010 confermava la sentenza del tribunale di Taranto, sezione distaccata di Martina Franca che, in data 3 luglio 2002, aveva condannato S. M., alle pene ritenute di giustizia, per il reato di calunnia in danno dell’avvocato D.G.F., falsamente incolpato del reato di cui all’art. 646 c.p., art. 61 c.p., n. 11.

Ricorre per cassazione l’imputato deducendo che la sentenza impugnata è incorsa in:

1. vizio della motivazione. Ritiene che la corte di merito abbia travisato gli elementi probatori non risultando agli atti che lo S. abbia mai sottoscritto una transazione per la definizione dei giudizi pendenti con il C.. Contesta la sussistenza dei presupposti per una compensazione dei crediti e sostiene che il legale non aveva alcun diritto di disporre la compensazione di tali somme;

2. violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. D) per aver omesso di acquisire una prova decisiva ai fini del decidere. In particolare lamenta la mancata acquisizione degli assegni versati dal C. al D.G. per pagare le competenze di lite e il danno risarcito dal medesimo C. allo S..

Il ricorso è infondato alla stregua delle considerazioni di seguito indicate. La corte di cassazione con la sentenza 16 aprile 2010 aveva annullato la sentenza della corte di appello di Lecce, sezione distaccata di Taranto che, in data 8 febbraio 2007, aveva assolto l’imputato dal reato a lui ascritto con la formula "perchè il fatto non costituisce reato" ritenendo insussistente il dolo di calunnia sulla scorta delle seguenti circostanze:

– quanto alla vicenda C. sussisteva il ragionevole sospetto in capo all’imputato che il suo legale D.G. si fosse appropriato della somma di L. 11.254.000 versata titolo di transazione dalla controparte nonchè di quella di L. 2.236.000 liquidata per competenze del legale a seguito della rinuncia della medesima controparte al giudizio d’appello;

– quanto alla vicenda SIDA l’imputato era incorso in errore, poi riconosciuto, circa l’indebita appropriazione da parte del D. G. di una somma liquidata dal pretore di (OMISSIS), in realtà mai versata da controparte.

Secondo i giudici di legittimità, come evidenziato dalla stessa sentenza impugnata, l’avvocato D.G. aveva comunicato al cliente, in data 1 luglio 1992, che la somma derivante dalla transazione C. sarebbe stata da lui trattenute a compensazione di pregressi crediti professionali e, in data 19 settembre 1994, che quella di L. 2.236.000 liquidata a seguito della rinuncia del giudizio d’appello, era imputabile a onorari e spese legali.

Con riferimento alla causa contro la SIDA, poi, con lettera in data (OMISSIS), il D.G. aveva fatto presente all’imputato, senza ricevere alcun riscontro, che il commissario liquidatore della SIDA non aveva provveduto al pagamento della somma determinata dal pretore e che sarebbe stato opportuno notificare il precetto al debitore solidale.

Secondo la corte di cassazione ne derivava che all’atto della denuncia, in data (OMISSIS), l’imputato era da tempo (almeno da due o tre anni) ben avvertito delle ragioni (compensazione con crediti professionali, omessi pagamenti di controparte) – delle quali non rilevava discutere la fondatezza – per cui l’avvocato D. G. non gli aveva fatto pervenire le somme che egli si aspettava di percepire in relazione all’esito delle cause intrattenute e ciò nonostante l’imputato non solo accusò il legale di varie appropriazione indebite ma sollevò perfino il sospetto che quest’ultimo avesse apposto firme false al fine di incassare le somme portate dagli assegni. La sentenza impugnata attribuiva allo S. un ragionevole sospetto circa la sussistenza dei fatti appropriatici commessi dal suo avvocato ma, non tenendo in adeguato conto le obiettive risultanze processuali indicate nella sentenza (corrispondenze epistolari non contestate dall’imputato), ometteva di rendere ragione di simile valutazione che peccava dunque di genericità, dovendosi al riguardo tenere presente che, come più volte affermato dalla giurisprudenza di legittimità, per escludere il dolo di calunnia, occorre che sussista la convinzione o al più un dubbio o un errore ragionevole circa la colpevolezza dell’accusato.

La sentenza veniva quindi annullata con rinvio affinchè la corte di appello di Lecce potesse adeguatamente motivare in positivo o in negativo circa la sussistenza dell’elemento soggettivo del reato contestato, tenendo conto dei principi di diritto enunciati dalla corte. Il giudice del rinvio riteneva pacifica la sussistenza della condotta materiale della calunnia, ma riteneva anche che non potesse ascriversi all’imputato un ragionevole sospetto circa la sussistenza dei fatti appropriativi commessi dal suo legale posto che la costante e condivisibile giurisprudenza della Suprema Corte aveva chiarito che il dolo di calunnia andava escluso solo quando il denunciante aveva riferito un fatto obbiettivamente falso, ma da lui ragionevolmente supposto come vero. Situazione che nel caso in esame non si era verificata considerato che risultava per tabulas che l’avvocato D. G. aveva comunicato al cliente, con note in data 1 luglio 1992 e 19.7.1994, che la somma derivante dalla transazione C. sarebbe stata da lui trattenute a compensazione di pregressi crediti professionali e che quella di L. 2.236.000, liquidata a seguito della rinuncia al giudizio di appello, doveva essere imputata a onorari e spese legali. Così come con riferimento alla causa Sida, risultava dalla nota 17 ottobre 1995 che il legale aveva comunicato allo S., senza ricevere alcun riscontro, che il commissario liquidatore della Sida non aveva provveduto al pagamento della somma determinata dal pretore e che quindi sarebbe stato opportuno notificare il precetto al debitore solidale. Alla data della denuncia ((OMISSIS)) lo S. era perciò da lungo tempo consapevole delle ragioni, la cui fondatezza non aveva rilevanza penale, per cui l’avvocato D.G. non gli aveva fatto pervenire le somme che lui si aspettava di percepire. L’irrilevanza in sede penale delle fondatezza o meno? delle questioni civili sottostanti portava la Corte territoriale a respingere la richiesta rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale avente ad oggetto perizia sui conteggi dare/avere nei rapporti fra il D.G. e lo S..

Ciò detto è di tutta evidenza che la corte territoriale non è incorsa in alcun travisamento della prova con riguardo ai rapporti sottostanti considerato che con motivazione logica e coerente ha ritenuto irrilevante in questo processo per calunnia stabilire la fondatezza o meno delle ragioni che avevano portato l’avvocato D. G. a non far pervenire all’imputato le somme che costui si aspettava di percepire, in quanto ciò che aveva rilevanza nel processo era il fatto che l’imputato, ben consapevole delle ragioni (compensazione credito professionale, omesso pagamento di controparte) per cui il legale non gli aveva fatto pervenire le somme che lui si aspettava, accusò il legale di appropriazione indebita, spingendosi a sollevare il sospetto che costui avesse apposto firme apocrife al fine di incassare dette somme, circostanze che escludevano in radice qualsiasi ragionevole sospetto in capo all’imputato della veridicità delle accuse mosse ed integravano l’elemento soggettivo del reato di calunnia.

Proprio tale considerazione di irrilevanza aveva portato la Corte a respingere la richiesta di rinnovazione di istruttoria avente ad oggetto perizia sui conteggi dare/avere nei rapporti fra il D. G. e lo S..

Ciò detto e con riferimento al secondo motivo di ricorso, non deve dimenticarsi che, in ogni caso, la perizia non può affatto rientrare nel concetto di prova decisiva ai sensi e per gli effetti dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. d), stante il suo carattere, per così dire, "neutro", sottratto alla disponibilità delle parti e sostanzialmente rimesso alla discrezionalità del giudice.

La perizia, in altri termini, proprio per il rilevato carattere "neutro" (nè a favore, nè contro) è sottratta al potere dispositivo delle parti, che possono attuare il diritto alla prova, laddove lo ritengano, anche attraverso proprie consulenze. La sua assunzione è pertanto rimessa al potere discrezionale del giudice e non è riconducibile al concetto di prova decisiva, con la conseguenza che il relativo diniego non è sanzionabile ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. d), e, in quanto giudizio di fatto, se assistito da adeguata motivazione, è insindacabile in sede di legittimità anche ai sensi dello stesso art. 606 c.p.p., lett. e) (v., tra le tante, Cass., Sez. 4, 3 maggio 2005, Candelora ed altro).In questa prospettiva, la mancata rinnovazione dell’istruttoria avente ad oggetto perizia sui conteggi non può essere dedotta con la censura in esame. Ciò che è deducibile in questa sede è semmai il vizio di motivazione ma la sentenza impugnata è però esente da tali censure per quanto sopra detto.

Il reato, tenuto conto delle sospensioni, si prescrive il 24.12.2012 e, quindi,alla data odierna non è prescritto.

Il ricorso deve essere respinto e il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 12 dicembre 2012.

Depositato in Cancelleria il 20 febbraio 2013

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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