Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 09-07-2012, n. 11464 Contratto a termine

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza in data 29-1-2003 il Giudice del lavoro del Tribunale di Roma rigettava la domanda proposta da C.K. nei confronti della s.p.a. Poste Italiane diretta ad ottenere la declaratoria di nullità del termine apposto ai contratti di lavoro intercorsi tra le parti (dal 17-8-1998 al 30-9-1998 per "necessità di espletamento del servizio per concomitanza di assenze per ferie" e dal 1-6-1999 al 30-9-1999 per "esigenze eccezionali" ex art. 8 c.c.n.l. 1994 come integrato dall’acc. az. 25-9-1997), con il riconoscimento della sussistenza ab origine di un rapporto a tempo indeterminato e con la condanna della società al ripristino del rapporto e al pagamento anche a titolo risarcitorio delle retribuzioni maturate.

La C. proponeva appello avverso la detta sentenza chiedendone la riforma con l’accoglimento della domanda.

La società si costituiva e resisteva al gravame.

La Corte d’Appello di Roma, con sentenza depositata il 9-10-2006, in accoglimento dell’appello, dichiarava la nullità dei contratti a termine stipulati tra le parti dal 17-8-1998 al 30-9-1998 e dal 1-6- 1999 al 30-9-1999, con la trasformazione in rapporti a tempo indeterminato, e condannava la società al risarcimento del danno liquidato nella misura indicata dal 26-7-2000 al terzo anno successivo all’ultimo contratto a termine (30-9-2002).

Per la cassazione di tale sentenza la società ha proposto ricorso con quattro motivi.

La C. ha resistito con controricorso ed ha proposto ricorso incidentale con un unico motivo.

La C. ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..
Motivi della decisione

Preliminarmente vanno riuniti i ricorsi avverso la stessa sentenza ex art. 335 c.p.c..

Con il primo motivo del ricorso principale la società, invocando il principio della "delega in bianco" concessa alla contrattazione collettiva nonchè la autonomia dell’ipotesi legittimante la apposizione del termine prevista dalle parti collettive in ragione della detta delega, deduce che erroneamente la Corte di merito, con riferimento al primo contratto, concluso per "necessità di espletamento del servizio in concomitanza di assenze per ferie", ha ritenuto la nullità del termine, non avendo la società assolto all’onere probatorio di dimostrare che la C. fosse stata effettivamente impiegata per sopperire alle assenze determinatesi nel suo ufficio nel periodo di ferie.

Con il secondo motivo la ricorrente principale censura la sentenza impugnata nella parte in cui, con riguardo al secondo contratto, concluso per "esigenze eccezionali", ha ritenuto che con gli accordi attuativi dell’accordo 25-9-1997 integrativo del c.c.n.l. del 1994 le parti abbiano fissato un termine ultimo entro il quale si sarebbero potuti stipulare contratti a termine con la detta causale L. n. 56 del 1987, ex art. 23, e all’uopo sostiene la natura meramente ricognitiva dei detti accordi.

Con il terzo motivo la società denuncia vizio di motivazione sul punto.

Il primo motivo, riguardante in particolare il primo contratto, è fondato e va accolto, mentre risultano infondati il secondo e il terzo, concernenti il secondo contratto.

Osserva il Collegio che questa Corte Suprema, decidendo in tema di contratti a termine stipulati ex art. 8 c.c.n.l. 26.11.1994, in relazione alla necessità di espletamento del servizio in concomitanza di assenze per ferie nel periodo giugno-settembre), oltre a ritenere non necessaria la indicazione del nominativo del lavoratore sostituito (v. fra le altre, Cass. 2 marzo 2007 n. 4933), in base al principio della "delega in bianco" conferita dalla L. n. 56 del 1987, art. 23, ha anche più volte (cfr. ad esempio Cass. 6 dicembre 2005 n. 26678, Cass. 7-3-2008 n. 6204) confermato le sentenze di merito che avevano ritenuto l’ipotesi di contratto a termine introdotta dalla contrattazione collettiva del tutto autonoma rispetto alla previsione legale del termine apposto per sostituire dipendenti assenti per ferie e interpretato l’autorizzazione conferita dal contratto collettivo nel senso che l’unico presupposto per la sua operatività fosse costituita dall’assunzione nel periodo in cui, di norma, i dipendenti fruiscono delle ferie.

Peraltro è stato anche affermato (v. fra le altre Cass. 28-3-2008 n. 8122) che "l’unica interpretazione corretta della norma collettiva in esame (art. 8 c.c.n.l. 26-11-1994) è quella secondo cui, stante l’autonomia di tale ipotesi rispetto alla previsione legale del termine apposto per sostituire dipendenti in ferie, l’autorizzazione conferita dal contratto collettivo non prevede come presupposto per la sua operatività l’onere, per il datore di lavoro di provare le esigenze di servizio in concreto connesse all’assenza per ferie di altri dipendenti nonchè la relazione causale fra dette esigenze e l’assunzione del lavoratore con specifico riferimento all’unità organizzativa alla quale lo stesso è stato destinato".

Il sopra citato orientamento, ormai costante, di questa Corte (v.

anche fra le altre Cass. 30-11 -2009 n. 25225, Cass. 7-4-2011 n. 7945), va qui confermato così accogliendosi la relativa censura della ricorrente, riguardante il primo contratto.

Infondati risultano invece il secondo e il terzo motivo, riguardanti il secondo contratto.

Osserva il Collegio che la Corte di merito, tra l’altro, ha attribuito rilievo decisivo alla considerazione che il contratto in esame è stato stipulato, per esigenze eccezionali … – ai sensi dell’art. 8 del c.c.n.l. del 1994, come integrato dall’accordo aziendale 25 settembre 1997 – in data successiva al 30 aprile 1998.

Tale considerazione – in base all’indirizzo ormai consolidato in materia dettato da questa Corte (con riferimento al sistema vigente anteriormente al c.c.n.l. del 2001 ed al D.Lgs. n. 368 del 2001) – è sufficiente a sostenere l’impugnata decisione, in relazione alla nullità del termine apposto al contratto de quo.

Al riguardo, sulla scia di Cass. S.U. 2-3-2006 n. 4588, è stato precisato che "l’attribuzione alla contrattazione collettiva, L. n. 56 del 1987, ex art. 23, del potere di definire nuovi casi di assunzione a termine rispetto a quelli previsti dalla L. n. 230 del 1962, discende dall’intento del legislatore di considerare l’esame congiunto delle parti sociali sulle necessità del mercato del lavoro idonea garanzia per i lavoratori ed efficace salvaguardia per i loro diritti (con l’unico limite della predeterminazione della percentuale di lavoratori da assumere a termine rispetto a quelli impiegati a tempo indeterminato) e prescinde, pertanto, dalla necessità di individuare ipotesi specifiche di collegamento fra contratti ed esigenze aziendali o di riferirsi a condizioni oggettive di lavoro o soggettive dei lavoratori ovvero di fissare contrattualmente limiti temporali all’autorizzazione data al datore di lavoro di procedere ad assunzioni a tempo determinato" (v. Cass. 4-8-2008 n. 21063, v. anche Cass. 20-4-2006 n. 9245, Cass. 7-3-2005 n. 4862, Cass. 26-7-2004 n. 14011). "Ne risulta, quindi, una sorta di "delega in bianco" a favore dei contratti collettivi e dei sindacati che ne sono destinatari, non essendo questi vincolati alla individuazione di ipotesi comunque omologhe a quelle previste dalla legge, ma dovendo operare sul medesimo piano della disciplina generale in materia ed inserendosi nel sistema da questa delineato" (v., fra le altre, Cass. 4-8-2008 n. 21062, Cass. 23-8-2006 n. 18378).

In tale quadro, ove però, come nel caso di specie, un limite temporale sia stato previsto dalle parti collettive (anche con accordi integrativi del contratto collettivo) la sua inosservanza determina la nullità della clausola di apposizione del termine (v.

fra le altre Cass. 23-8-2006 n. 18383, Cass. 14-4-2005 n. 7745, Cass. 14-2-2004 n. 2866).

In particolare, quindi, come questa Corte ha costantemente affermato e come va anche qui ribadito, "in materia di assunzioni a termine di dipendenti postali, con l’accordo sindacale del 25 settembre 1997, integrativo dell’art. 8 del c.c.n.l. 26 novembre 1994, e con il successivo accordo attuativo, sottoscritto in data 16 gennaio 1998, le parti hanno convenuto di riconoscere la sussistenza della situazione straordinaria, relativa alla trasformazione giuridica dell’ente ed alla conseguente ristrutturazione aziendale e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso di attuazione, fino alla data del 30 aprile 1998; ne consegue che deve escludersi la legittimità delle assunzioni a termine cadute dopo il 30 aprile 1998, per carenza del presupposto normativo derogatorio, con la ulteriore conseguenza della trasformazione degli stessi contratti a tempo indeterminato, in forza della L. 18 aprile 1962, n. 230, art. 1" (v., fra le altre, Cass. 1-10-2007 n. 20608; Cass. 28-1-2008 n. 28450; Cass. 4-8-2008 n. 21062; Cass. 27-3-2008 n. 7979, Cass. 18378/2006 cit.).

In base a tale orientamento, vanno quindi respinte le censure rivolte contro la declaratoria di nullità del termine apposto al secondo contratto.

Con il quarto motivo la società, denunciando violazione degli artt. 1217 e 1233 c.c., lamenta che la Corte di merito non avrebbe svolto alcuna verifica in ordine alla effettiva messa in mora del datore di lavoro e non avrebbe tenuto "conto della possibilità che il lavoratore abbia anche espletato attività lavorativa retribuita da terzi una volta cessato il rapporto di lavoro con la società resistente", disattendendo, peraltro, le richieste della società di ordine di esibizione dei modelli 101 e 740 del lavoratore.

La ricorrente formula, quindi, il seguente quesito di diritto: "Dica la Suprema Corte se per il principio di corrispettività della prestazione, il lavoratore – a seguito dell’accertamento giudiziale dell’illegittimità del contratto a termine stipulato – ha diritto al pagamento delle retribuzioni soltanto dalla data di riammissione in servizio, salvo che abbia costituito in mora il datore di lavoro, offrendo espressamente la prestazione lavorativa nel rispetto della disciplina di cui agli artt. 1206 e segg. cod. civ.".

Tale quesito non riguarda il tema dell’aliunde perceptum e comunque, anche in ordine all’argomento della mora credendi risulta del tutto generico e non pertinente rispetto alla fattispecie, in quanto si risolve nella enunciazione in astratto delle regole vigenti nella materia, senza enucleare il momento di conflitto rispetto ad esse del concreto accertamento operato dai giudici di merito (in tal senso v.

fra le altre Cass. 4-1-2011 n. 80). Il quesito di diritto, richiesto a pena di inammissibilità del relativo motivo, in base alla giurisprudenza consolidata di questa Corte, deve infatti essere formulato in maniera specifica e deve essere chiaramente riferibile alla fattispecie dedotta in giudizio (v. ad es. Cass. S.U. 5-1-2007 n. 36), dovendosi pertanto ritenere come inesistente un quesito generico e non pertinente. Del resto è stato anche precisato che "è inammissibile il motivo di ricorso sorretto da quesito la cui formulazione si risolve sostanzialmente in una omessa proposizione del quesito medesimo, per la sua inidoneità a chiarire l’errore di diritto imputato alla sentenza impugnata in riferimento alla concreta fattispecie" (v, Cass. S.U. 30-10-2008 n. 26020), dovendo in sostanza il quesito integrare (in base alla sola sua lettura) la sintesi logico-giuridica della questione specifica sollevata con il relativo motivo (cfr. Cass. 7-4-2009 n. 8463).

Peraltro neppure può ignorarsi che nella fattispecie anche la illustrazione del motivo risulta del tutto generica e priva di autosufficienza in quanto si incentra nella doglianza circa la mancanza di una verifica da parte della Corte territoriale sul punto, senza che la ricorrente specifichi in alcun modo il contenuto dell’atto che, secondo il suo assunto e contrariamente a quanto affermato dalla Corte di merito (che parla di "data dalla quale sono state offerte le prestazioni"), non costituirebbe messa in mora.

Del pari, per quanto concerne l’aliunde perceptum (in relazione al quale manca del tutto il quesito) alcunchè di specifico viene poi indicato dalla ricorrente, laddove al riguardo era pur sempre necessaria una rituale acquisizione della allegazione e della prova (pur non necessariamente proveniente dal datore di lavoro in quanto oggetto di eccezione in senso lato -, cfr.. Cass. 16-5-2005 n. 10155, Cass. 20-6-2006 n. 14131, Cass. 10-8-2007 n. 17606, Cass. S.U. 3-2- 1998 n. 1099 -).

Così accolto il primo motivo, respinti il secondo e il terzo e ritenuto inammissibile il quarto motivo del ricorso principale, che, quindi, non investe validamente il capo del risarcimento del danno e delle conseguenze economiche della nullità del termine, osserva, poi, il Collegio che non merita accoglimento il ricorso incidentale, con il quale la C. censura la determinazione del quantum del risarcimento del danno nei soli limiti del periodo che va dalla messa in mora (26-7-2000) fino al compimento del triennio (30-9-2002) dalla cessazione del rapporto a termine.

Al riguardo, infatti, va rilevato che, alla luce dello ius superveniens (L. n. 183 del 2010, art. 32, commi 5, 6 e 7) – a prescindere dalla correttezza o meno della statuizione impugnata in base alla disciplina previgente -, la censura risulta infondata in considerazione del divieto di reformatio in peius, non potendo comunque la ricorrente incidentale ottenere, in base alla nuova disciplina, più di quanto gli è stato già riconosciuto dalla Corte di Appello.

Pertanto il ricorso principale va accolto in relazione al primo contratto e, come sopra, va rigettato nel resto, rigettandosi altresì il ricorso incidentale. L’impugnata sentenza va cassata in relazione alla censura accolta e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito rigettandosi la domanda di declaratoria di nullità del termine apposto al primo contratto e fissandosi, con riferimento al secondo contratto, dal 1-6-1999 la conversione del rapporto di lavoro a termine in rapporto a tempo indeterminato.

Infine, in ragione della soccombenza prevalente della società, va confermata la statuizione della Corte d’Appello sulle spese di primo e secondo grado, mentre, in considerazione della netta alternanza dell’esito dei giudizi di merito, ricorrono giusti motivi, ex art. 92 c.p.c. nel testo vigente ratione temporis per compensare le spese del presente giudizio di cassazione tra le parti.
P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi, accoglie il ricorso principale in relazione al primo contratto e lo rigetta per il resto; rigetta il ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata in relazione alla censura accolta e, decidendo nel merito, rigetta la domanda di declaratoria di nullità del termine apposto al primo contratto;

fissa dal 1-6-1999 la conversione del rapporto di lavoro in quello a tempo indeterminato; conferma la statuizione della Corte di merito relativa alle spese processuali; compensa le spese del presente giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, il 10 maggio 2012.

Depositato in Cancelleria il 9 luglio 2012

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