Cass. civ. Sez. VI – 1, Sent., 10-07-2012, n. 11592 Diritti politici e civili

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con decreto in data 3 agosto 200 9, la Corte d’appello di Potenza, decidendo sulla domanda proposta da D.C.P., ha condannato il Ministero della giustizia al pagamento dell’equa riparazione dovuta per l’irragionevole durata di un procedimento esecutivo da lui promosso e svoltosi dinanzi "al Tribunale di Taranto nei confronti di R.G., liquidando il danno non patrimoniale in Euro 6.000. La Corte, stante il carattere costitutivo necessario del procedimento, la mancata opposizione dell’amministrazione e l’accoglimento solo parziale della domanda proposta, ha compensato le spese del giudizio.

Per la cassazione del decreto ricorre il D.C., con atto notificato in data 15 ottobre 2010, con un unico mezzo d’impugnazione, illustrato con memoria.

L’Amministrazione ha resistito con controricorso.
Motivi della decisione

Il collegio ha deliberato l’adozione di una motivazione semplificata nella redazione della sentenza.

L’eccezione di inammissibilità sollevata dalla difesa erariale è infondata, perchè – contrariamente a quanto ritenuto dalla parte controricorrente – dal contesto del ricorso è possibile desumere agevolmente una conoscenza del fatto, sostanziale e processuale, sufficiente per ben intendere il significato e la portata delle critiche rivolte al decreto della Corte d’ appello.

Con l’unico motivo, il ricorrente, denunciando violazione degli artt. 91 e ss. cod. proc. civ. e vizio di motivazione, si duole della disposta compensazione delle spese.

Il motivo è fondato.

I giudizi di equa riparazione per violazione della durata ragionevole del processo, proposti ai sensi della L. n. 89 del 2001, non si sottraggono all’applicazione delle regole poste, in tema di spese processuali, dagli artt. 91 e segg. cod. proc. civ., trattandosi pur sempre di giudizi destinati a svolgersi dinanzi al giudice e perciò disciplinati dalle disposizioni processuali dettate dal codice di rito, ivi compresi gli articoli del codice dianzi citati.

L’applicazione di dette disposizioni comporta, perciò, che il giudice abbia anche la facoltà di disporre la compensazione totale o parziale delle spese di causa tra le parti, ove ravvisi le condizioni indicate dall’art. 92, comma 2, purchè motivi adeguatamente la sua decisione in tal senso.

Nel caso di specie la motivazione in base alla quale le spese sono state compensate non appare però logicamente nè giuridicamente accettabile.

Essa si fonda sul rilievo che l’Amministrazione convenuta non ha tenuto un comportamento volto ad ostacolare il riconoscimento del diritto spettante al ricorrente, il cui soddisfacimento non avrebbe potuto essere realizzato se non in via giudiziale, e sull’accoglimento solo parziale della domanda del ricorrente.

Senonchè, occorre considerare (come già ritenuto da questa Corte con la sentenza 11 novembre 2009, n. 23891, e con la sentenza 22 gennaio 2010, n. 1101) che nulla impedisce alla pubblica amministrazione di predisporre i mezzi necessari per offrire direttamente soddisfazione a chi abbia sofferto un danno a cagione dell’eccessiva durata di un giudizio in cui sia stato coinvolto. La mancata contestazione della pretesa dell’attore, se può in concreto rendere meno dispendioso l’esercizio processuale del diritto di costui, non per questo giustifica che i costi di tale esercizio debbano restare a suo carico. Nè varrebbe, in un simile caso, invocare l’applicazione, in luogo del mero principio di soccombenza, del criterio d’imputazione delle spese processuali a chi al processo ha dato causa. E’ pur sempre da una colpa organizzativa dell’Amministrazione che dipende la necessità per il privato di ricorrere al giudice, al fine di conseguire l’indennizzo spettategli per l’eccessiva durata del processo.

D’altra parte, come emerge dalla narrativa del decreto impugnato, il D.C. ha agito per la liquidazione dell’equa riparazione nell’importo "ritenuto di giustizia", sicchè discorrere di accoglimento solo parziale della domanda costituisce una motivazione non corrispondente alla effettiva realtà del petitum azionato, e finisce con l’intaccare il diritto della parte riconosciuta nel merito vittoriosa.

Il provvedimento impugnato deve, perciò, essere cassato limitatamente alla statuizione riguardante le spese processuali.

Non occorrendo a tal riguardo ulteriori accertamenti, questa Corte può provvedere direttamente, liquidando le spese del giudizio del giudizio di merito, da porre a carico dell’Amministrazione convenuta, in Euro 1.140 (di cui Euro 490 per onorari ed Euro 600 per diritti).

Le spese del giudizio di legittimità vanno poste a carico dell’Amministrazione nella misura liquidata in dispositivo.
P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa, il decreto impugnato in relazione al capo sulle spese e, decidendo nel merito, condanna.

l’Amministrazione a corrispondere alla parte ricorrente le spese del giudizio: che determina per il giudizio di merito nella somma di Euro 50 per esborsi, Euro 600 per diritti ed Euro 490 per onorari, oltre spese generali ed accessori di legge; e che determina per il giudizio di legittimità in Euro 525, di cui Euro 425 per onorari, oltre spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Sesta Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 18 maggio 2012.

Depositato in Cancelleria il 10 luglio 2012

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *