Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 05-12-2012) 20-02-2013, n. 8083

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con sentenza in data 20.10.2011, la Corte di appello di Napoli confermava la sentenza emessa in data 23.11.2011 dal Tribunale di Napoli, sezione distaccata di Marano, che aveva condannato M. D.E. per i reati di cui: a) art. 81 c.p., art. 629 c.p., commi 1 e 3, artt. 56 e 629 cod. pen.; artt. 56 e 629 cod. pen.; c) artt. 582 e 585 in relaz. all’art. 576 c.p., art. 61 c.p., n. 2.

2. Avverso tale decisione propone ricorso per cassazione il difensore e procuratore speciale dell’imputato, il quale ne chiede l’annullamento deducendo: 1) ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), l’inosservanza di norma processuali stabilite a pena d’inammissibilità, nonchè, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), la mancanza e/o carenza di motivazione della sentenza, per genericità e contraddittorietà. In particolare lamenta l’avvenuta utilizzazione delle denunzie delle persone offese ex art. 503 c.p.p., comma 3, atti che, invece, erano stati acquisiti al limitato fine della procedibilità dei reati in caso di derubricazione, nonchè l’assenza di condotte violente e di prevaricazione poste in essere dall’imputato ai danni dei genitori; 2) ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), la carenza e/o contraddittorietà della motivazione riguardo "l’esclusione o sussistenza dell’aggravante contestata" (quella di cui all’art. 629 cod. pen., comma 3), avendo la Corte d’appello escluso l’aggravante solo in virtù del calcolo della pena effettuato dal primo giudice, non tenendosi conto che la sussistenza dell’aggravante avrebbe determinato lo spostamento della competenza in favore del tribunale in composizione collegiale; 3) ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), la mancata e/o manifesta illogicità della motivazione in ordine al mancato accoglimento della richiesta di derubricazione del delitto di estorsione nel reato di minaccia, ingiuria e danneggiamento, nonchè non punibilità ex art. 649 cod. pen. e non doversi procedere per remissione di querela.
Motivi della decisione

3. Il ricorso è infondato.

3.1. Quanto alla dedotta inutilizzabilità della querela ai fini della decisione, questa Corte ha già chiarito che in materia di esame delle parti private, può essere acquisita al fascicolo del dibattimento, se contenuta in quello del pubblico ministero ed utilizzata per le contestazioni, la denuncia presentata dalla parte offesa (Sez. 2, Sentenza n. 14318 del 27/10/1999, Rv. 215087, Caputi;

Sez. 2, Sentenza n. 6727 del 28/03/1995, Rv. 201774, Terrosi). In particolare, si è sottolineato che la stessa giurisprudenza costituzionale – nell’esaminare la disciplina delle contestazioni nell’esame testimoniale, approntata dall’art. 500 cod. proc. pen. con riferimento "alle dichiarazioni precedentemente rese dal testimone e contenute nel fascicolo del Pubblico Ministero" – ha escluso che tale norma impedisca di poter contestare al denunciante-persona offesa le diverse circostanze da lui dedotte in denuncia (Corte Cost., 28 novembre 1994, n. 407). Che la denuncia sia introduttiva della notizia di reato è naturalmente fuori discussione. Ma non si vede, ha aggiunto questa Corte, la ragione perchè ciò sia in grado di impedire che la denuncia orale documentata attraverso verbale della polizia giudiziaria (come nel caso in esame) possa divenire oggetto di giudizio comparativo con la successiva dichiarazione dibattimentale del denunciante – una prova dichiarativa -, attesi la sua natura e i suoi contenuti del pari schiettamente dichiarativi.

Del resto, va anche evidenziato, e di ciò la Corte territoriale dà" compiutamente atto nella motivazione della decisione impugnata, che il padre dell’imputato ha finito per ammettere, nel corso dell’esame, la veridicità delle dichiarazioni contenute in querela ed allo stesso specificamente contestate, a nulla valendo che lo stesso abbia escluso di ravvisarvi una estorsione, competendo soltanto all’autorità giudiziaria e non al teste la qualificazione giuridica dei fatti.

Nè appare ravvisabile un qualsiasi limite di natura logico- argomentativa nella ricostruzione operata dalla Corte territoriale degli altri elementi che hanno condotto all’affermazione dell’attendibilità delle circostanze come narrate dalle persone offese in sede di denuncia. Si tratta in verità di conferme che si rinvengono in altri elementi, quali i referti medici delle vittime ed il verbale di arresto dell’imputato, valutate in un contesto processuale in cui i tentativi di ridimensionare la responsabilità dell’imputato sono risultati palesi. In tale contesto, l’inverosimiglianza e la contraddizione della tesi difensiva introdotta al processo dalla madre dell’imputato, obiettivamente smentita dal contenuto dei referti medici e dalle stesse affermazioni del marito (questi confermando la denunzia sporta ha riferito che il figlio aveva spintonato la madre facendola cadere in terra proprio per impedirle di chiamare i carabinieri), finisce per avvalorare che le minacce e le violenze, riconducibili con ogni probabilità all’uso di sostanze stupefacenti da parte dell’imputato, erano finalizzate a soddisfare continue ed indebite pretese di denaro di tal che si pongono come elementi costitutivi dei delitti di estorsione consumata e tentata contestati.

3.2. Del pari infondato è il motivo relativo alla dedotta incompetenza per materia del giudice adito, sul rilievo dell’asserita contestazione dell’aggravante del delitto di estorsione. Al riguardo, va invero precisato che lo stesso ricorrente nell’atto di appello aveva ricondotto l’indicazione nell’imputazione del "art. 629 cod. pen., comma 3" (peraltro errata componendosi detta norma di soli due commi) ad un mero errore, evidenziando come l’affermazione della penale responsabilità dell’imputato doveva intendersi relativa all’art. 629 cod. pen., comma 1 proprio in ragione del fatto che non era contestata alcuna aggravante. In ogni caso, il ricorrente non avrebbe uno specifico interesse sul punto, considerato che tale asserita circostanza non risulta essere stata affatto calcolata nella determinazione della pena dai giudici di merito. Inoltre, non risulta che la relativa eccezione di incompetenza in favore del tribunale in composizione collegiale sia stata tempestivamente sollevata, ai sensi dell’art. 33-quinques cod. proc. pen., dinanzi al tribunale in composizione monocratica.

3.3. Manifestamente infondato è, infine, l’ultimo motivo di ricorso relativo all’omessa motivazione da parte della Corte territoriale in ordine al mancato accoglimento della richiesta di derubricazione del reato di estorsione in minaccia, ingiuria e danneggiamento con conseguente estinzione dei reati per remissione di querela e/o applicazione della causa di non punibilità di cui all’art. 649 cod. pen.. Quanto all’invocata applicazione della causa di non punibilità, va subito evidenziato che non ne ricorrono affatto i presupposti trattandosi di episodi di estorsione e tentata estorsione commessi con violenza che risultano espressamente esclusi dall’ambito applicativo di tale condizione. Quanto, poi, alla richiesta derubricazione, ne risulta ostativa la qualificazione dei fatti nel senso contestato, che rendeva superfluo, da parte della Corte d’appello, qualsiasi ulteriore richiamo motivazionale sul punto.

4. Va, pertanto, rigettato il ricorso; ne consegue, per il disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali relative al presente grado di giudizio.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 5 dicembre 2012.

Depositato in Cancelleria il 20 febbraio 2013

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