Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 21-11-2012) 20-02-2013, n. 8079

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. P.F. ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza, in data 20 giugno 2012, della Corte d’appello di Roma, con cui, a conferma della sentenza del GUP del Tribunale di Roma, in data 9 febbraio 2012, è stato condannato per il reato di tentata rapina alla pena di anni uno e mesi quattro di reclusione e Euro 400,00 di multa.

A sostegno dell’impugnazione il ricorrente deduce:

a) Violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e); Mancanza di motivazione ed erronea applicazione della legge penale.

Il ricorrente lamenta la erroneità della motivazione con la quale è stata riconosciuta la sua responsabilità e negata la connessione dell’attenuante della desistenza attiva; lamenta inoltre la mancata applicazione dell’istituto della continuazione tra il reato del presente procedimento e la condanna per rapina riportata dal P. con sentenza irrevocabile del Tribunale di Roma per i fatti avvenuti il (OMISSIS), quindi solo due giorni dopo l’episodio di cui è processo.
Motivi della decisione

1. Osserva la corte che nel ricorso si prospettano esclusivamente valutazioni di elementi di fatto, divergenti da quelle cui è pervenuto il giudice d’appello con motivazioni congrue ed esaustive, previo specifico esame degli argomenti difensivi attualmente riproposti.

Sotto questo profilo il ricorso è inammissibile per violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, perchè propone censure attinenti al merito della decisione impugnata, congruamente giustificata.

Infatti, nel momento del controllo di legittimità, la Corte di cassazione non deve stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente la migliore possibile ricostruzione dei fatti nè deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se questa giustificazione sia compatibile con il senso comune e con "i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento", secondo una formula giurisprudenziale ricorrente (Cass. Sez. 4 sent. n. 47891 del 28.09.2004 dep. 10.12.2004 rv 230568; Cass. Sez. 5 sent. n. 1004 del 30.11.1999 dep. 31.1.2000 rv 215745; Cass., Sez. 2 sent. n. 2436 del 21.12.1993 dep. 25.2.1994, rv 196955).

2. Inoltre il ricorso è inammissibile anche per violazione dell’art. 591, lett. c) in relazione all’art. 581 c.p.p., lett. c), perchè le doglianze (sono le stesse affrontate dalla Corte di appello) sono prive del necessario contenuto di critica specifica al provvedimento impugnato, le cui valutazioni, ancorate a precisi dati fattuali trascurati nell’atto di impugnazione, si palesano peraltro immuni da vizi logici o giuridici. Infatti, la Corte territoriale ha con esaustiva, logica e non contraddittoria motivazione, evidenziato tutti i motivi dai quali desume la piena responsabilità dell’imputato per il reato a lui ascritto.

In proposito questa Corte ha più volte affermato il principio, condiviso dal Collegio, che è inammissibile il ricorso per cassazione quando manchi l’indicazione della correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’atto di impugnazione, che non può ignorare le affermazioni del provvedimento censurato, senza cadere nel vizio di aspecificità, che conduce, ex art. 591 c.p.p., comma 1, lett. c) all’inammissibilità del ricorso (Si veda fra le tante: Sez. 1, sent.

n. 39598 del 30.9.2004 – dep. 11.10.2004 – rv 230634).

Le valutazioni di merito sono insindacabili nel giudizio di legittimità, quando il metodo di valutazione delle prove sia conforme ai principi giurisprudenziali e l’argomentare scevro da vizi logici, come nel caso di specie, (Cass. pen. sez. un., 24 novembre 1999, Spina, 214794), in particolare in ordine alla impossibilità di configurare, nell’azione del prevenuto il carattere della desistenza, sia con riferimento possibilità di configurare l’esistenza di un medesimo disegno criminoso, rispetto al furto commesso due giorni dopo, peraltro caratterizzato da dettagli di struttura diversificati in maniera importante rispetto al primo episodio.

3. In base a tali considerazioni va dichiarata inammissibile l’impugnazione.

Ne consegue, per il disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonchè al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che, considerati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in Euro 1000.
P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000 in favore della Cassa delle ammende.

Così deciso in Roma, il 21 novembre 2012.

Depositato in Cancelleria il 20 febbraio 2013

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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