Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 25-10-2012) 20-02-2013, n. 8350

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con sentenza del 09/01/2012, la Corte d’appello di Palermo, in riforma della sentenza del Tribunale di Palermo, sezione distaccata di Partinico, del 29/12/2010, ha condannato L.G.E. alla pena di mesi quattro di reclusione e al risarcimento dei danni in favore della costituita parte civile.

2. La Corte territoriale ha ritenuto la L. responsabile del reato di cui agli artt. 56 e 610 cod. pen., per avere posto in essere atti idonei diretti in modo non equivoco a costringere S. C. a non testimoniare in una controversia civile pendente tra la medesima L. e il fratello, L.A.. A fondamento della decisione la Corte ha posto sia le dichiarazioni del C. sia il contenuto della conversazione telefonica intercorsa tra quest’ultimo e la L.: l’imputata, dopo avere lasciato intendere al C. che era a conoscenza non solo delle sue vicende processuali, per truffa alla Comunità Europea, ma anche di altri imprecisati "retroscena", ha manifestato l’intenzione di informarne l’autorità giudiziaria, allo scopo di cagionargli un pregiudizio.

3. Nell’interesse della L. è stato proposto ricorso per cassazione.

3.1. Con il primo motivo, formulato ai sensi dell’art. 606 cod. proc. pen., comma 1, lett. e) si denuncia mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione (artt. 56 e 610 cod. pen.), anche in relazione agli artt. 192 e 546 cod. proc. pen., lett. e). In particolare, si lamenta l’assenza di motivazione in ordine al requisito della univocità degli atti e la mancanza di una penetrante valutazione di attendibilità del C.. Inoltre, la Corte non aveva affrontato la questione della stessa qualificabilità della frase di cui all’imputazione in termini di minaccia, alla luce del contesto in cui era maturata, dal momento che essa mirava non ad impedire al potenziale testimone di svolgere il proprio ufficio, ma piuttosto a sollecitare un corretto suo adempimento.

3.2. Con il secondo motivo, formulato ai sensi dell’art. 606 cod. proc. pen., comma 1, lett. e) si denuncia mancanza di motivazione in ordine all’elemento soggettivo del reato, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione (artt. 56 e 610 cod. pen.), alla luce del timore, avvertito dalla L., che il C. potesse deporre il falso.

3.3. Con il terzo motivo, formulato ai sensi dell’art. 606 cod. proc. pen., comma 1, lett. b) si denuncia inosservanza o erronea applicazione della legge penale (artt. 538, 539, 598 cod. proc. pen.), per avere la Corte territoriale proceduto ad una valutazione equitativa del danno, malgrado che negli atti non fosse possibile rinvenire il benchè minimo parametro di riferimento per la sua configurazione e quantificazione.

4. La L. ha depositato memoria integrativa.
Motivi della decisione

1. Il ricorso è fondato.

Attraverso la motivazione della Corte territoriale non è possibile intendere su quale elemento obiettivo riposi il convincimento che le espressioni pronunciate dalla ricorrente nei confronti del C. fossero dirette a costringere quest’ultimo a non testimoniare. E la doverosità di un impegno argomentativo in tale senso era tanto più stringente in quanto la sentenza di primo grado aveva assolto la L. proprio perchè non era emersa, nè attraverso l’ascolto della conversazione, nè attraverso la lettura della trascrizione una minaccia diretta ad alterare la libertà morale del teste. Secondo l’orientamento di questa Corte, infatti, in tema di motivazione della sentenza di condanna pronunciata in appello in riforma di sentenza assolutoria di primo grado, il giudice ha l’obbligo di confutare in modo specifico e completo le argomentazioni della decisione di assoluzione (Sez. 6, n. 22120 del 29/04/2009, Tatone, Rv. 243946).

2. La sentenza va, pertanto, annullate con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Palermo per nuovo esame.
P.Q.M.

annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Palermo per nuovo esame.

Così deciso in Roma, il 25 ottobre 2012.

Depositato in Cancelleria il 20 febbraio 2013

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