Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 10-07-2012, n. 11550 Licenziamento per riduzione del personale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza pubblicato, il 27 novembre 2009 la Corte d’Appello di Roma ha confermato la sentenza del Tribunale di Velletri del 27 gennaio 2006 che ha rigettato la domanda di G.F. volta ad ottenere la declaratori dell’illegittimità del licenziamento collettivo intimatogli dalla Hospital Appia s.r.l. con la conseguente declaratoria della continuità giuridica del rapporto o, comunque, con le conseguenze di cui alla L. n. 300 del 1970, art. 18. La Corte territoriale ha motivato tale decisione considerando la correttezza della procedura di cui alla L. n. 223 del 1991, mentre non è consentito un controllo successivo in sede giurisdizionale delle scelte imprenditoriali il cui controllo è invece demandato in sede sindacale in via preventiva. La Corte romana ha, in particolare, considerato che il licenziamento in questione è stato determinato dalla soppressione del reparto cucina a cui era adibita la G.. Inoltre la stessa Corte d’Appello ha considerato che in sede sindacale era stata già valutata l’impossibilità di scelte alternative, mentre la scelta del personale da licenziare può essere legittimamente ristretta a quello in servizio presso il reparto soppresso senza necessariamente valutare tutto il personale dell’azienda. E’ stato inoltre considerato che la G. legittimamente era in servizio presso il reparto cucina da oltre n anno in quanto la sua qualifica consentiva tale assegnazione essendo inquadrata nella categoria A, che espressamente prevede le mansioni di pulizia, indifferentemente espletabili presso ogni reparto. In ordine alla scelta del personale da licenziare legittimamente era stato scelto tutto il personale in servizio presso il reparto soppresso. Le comunicazioni agli uffici pubblici doveva considerarsi tempestiva facendo fede la data di spedizione. Anche l’obbligo di repechage è inesistente, stante la legittimità della scelta del personale da licenziare limitata a quello in servizio presso il reparto soppresso. Infine la Corte romana ha escluso la sussistenza dell’ipotesi della cessione di azienda in quanto il servizio mensa era stato soppresso e gestito da altra società in modo del tutto indipendente.

Avverso questa sentenza propone ricorso per cassazione la G. articolato su undici motivi.

Resiste con controricorso la San Raffaele s.p.a. incorporante per fusione la San Raffaele s.a.s. di G.P.S. s.r.l. già Tosinvest Italia di G.P.S. Gestione Partecipazione Sanitarie s.r.l..

Entrambe le parti hanno presentato memoria ex art. 378 cod. proc. civ..
Motivi della decisione

Con il primo motivo si lamenta violazione dei criteri di scelta di cui alla L. n. 223 del 1991, art. 5, comma 1, correlato con l’art. 2103 cod. civ.; violazione dei principi di ragionevolezza, obiettività, correttezza e buona fede contrattuale di cui agli artt. 1175 e 1375 cod. civ. e di solidarietà sociale di cui all’art. 2 Cost.; violazione del CCNL di settore, che prevede il riconoscimento di mansioni di pertinenza di cui all’art. 51, nonchè del relativo divieto di variazioni di cui all’art. 15, con riferimento all’area di riferimento entro cui deve essere operata la comparazione fra i lavoratori da assoggettare a licenziamento.

Con secondo motivo si deduce violazione o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., comma 1 e art. 2797 c.c., comma 1 in relazione all’elencazione dei nomi dei lavoratori che si sarebbero alternati al reparto cucine e che il giudice di merito avrebbe considerato insussistente; omessa o insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia prospettato, sempre con riferimento alla illegittima restrizione della platea dei lavoratori da porre a confronto nella selezione della procedura impugnata sulla infondata conclusione circa la mancata indicazione dei lavoratori da porre a confronto. In particolare si deduce l’incompletezza dell’informazione preventiva, la violazione dei cosiddetti "accordi a fotografia", il danno per la dequalificazione con riferimento alle mansioni ed al livello di inquadramento della ricorrente, la falsità della qualifica di "addetto alla cucina", la mancata valutazione di un’effettiva ricerca di soluzioni alternative al licenziamento, la mancata prova dell’inoltro delle comunicazioni iniziali, la violazione del diritto alla precedenza, l’illegittimità della "griglia comparativa" adottata.

Con il terzo motivo si lamenta violazione della L. n. 223 del 1991, art. 4, commi 3, 5 e 9 o errata interpretazione per un profilo procedurale con riferimento all’incompletezza dell’informazione preventiva.

Con il quarto motivo si lamenta violazione o falsa applicazione della L. n. 223 del 1991, artt. 4, 5 e 24 e omessa motivazione su un punto decisivo con riferimento alla violazione dei cosiddetti "accordi a fotografia".

Con il quinto motivo si assume violazione degli artt. 2103 e 2087 cod. civ. e art. 51 del CCNL di settore relativo all’inquadramento del personale nel sistema di classificazione, per omessa o insufficiente motivazione della sentenza impugnata con riferimento alle mansioni ed al livello di inquadramento della ricorrente in riferimento al lamentato danno per la dequalificazione.

Con il sesto motivo si lamenta violazione della L. n. 223 del 1991, art. 4, commi 3 e 9, e violazione dei principi di correttezza e buona fede contrattuale di cui agli artt. 1175 e 1375 cod. civ.. e di solidarietà sociale di cui all’art. 2 Cost., anche con riferimento all’art. 51 del CCNL di settore, carenza di motivazione sul punto, con riferimento alla falsità della qualifica di "addetto alla cucina".

Con il settimo motivo si deduce violazione o falsa applicazione della L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 3 e insufficiente motivazione con riferimento alla mancata valutazione di un’effettiva ricerca di soluzioni alternative al licenziamento.

Con ottavo motivo si lamenta violazione della L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 4, e mancata o erronea valutazione delle risultanze probatorie documentali con riferimento alla mancata prova dell’inoltro delle comunicazioni iniziali.

Con nono motivo si deduce violazione della L. n. 223 del 1991, art. 8, comma 1 e della L. n. 264 del 1949, art. 15 e vizio di omessa pronuncia su un punto decisivo della vertenza con riferimento alla violazione del diritto di precedenza.

Con decimo motivo si lamenta violazione della L. n. 223 del 1991, art. 5, e mancata valutazione, omessa pronuncia su istanze probatorie con riferimento alla cosiddetta "griglia comparativa".

Con l’undicesimo motivo si deduce violazione degli artt. 1966, 1419, 1362, 2103 e 2113 cod. civ., e omessa pronuncia sull’ipotesi del collegamento negoziale in frode alla legge.

Va preliminarmente disattesa l’eccezione di inammissibilità del ricorso per tardività. Va infatti considerato che, come già ripetutamente affermato da questa Corte, in materia di cosiddetto termine lungo di impugnazione, l’art. 327 cod. proc. civ., come novellato dalla L. n. 69 del 2009, art. 46 mediante riduzione del termine da un anno a sei mesi, si applica, ai sensi dell’art. 58 della medesima legge, ai giudizi instaurati, e non alle impugnazioni proposte, a decorrere dal 4 luglio 2009, essendo quindi ancora valido il termine annuale qualora l’atto introduttivo del giudizio di primo grado sia anteriore a quella data (da ultimo Cass. 4 maggio 2012 n. 6784).

Il primo motivo è infondato in quanto la conformità delle mansioni espletate dalla ricorrente all’inquadramento contrattuale investe un accertamento di fatto precluso al giudizio di legittimità. La Corte territoriale ha, d’altra parte ampiamente e logicamente motivato riguardo alla corretta adibizione della ricorrente nel reparto cucina.

Riguardo al secondo motivo, articolato su più punti, ma comunque incentrato sulla scelta del personale da licenziare limitato a quello in servizio presso il reparto soppresso, va richiamata la giurisprudenza di questa Corte secondo cui, in caso di licenziamento collettivo per riduzione del personale, l’applicazione dei criteri di scelta dei lavoratori da collocare in mobilità può essere ristretta in ambito più limitato rispetto al "complesso aziendale" cui fa riferimento la L. n. 223 del 1991, art. 5, ma ciò può avvenire non in base ad una determinazione unilaterale del datore di lavoro bensì esclusivamente se la predeterminazione del campo di selezione (reparto, stabilimento ecc. e/o singole lavorazioni o settori produttivi) sia giustificata dalle esigenze tecnico-produttive e organizzative che hanno dato luogo alla riduzione del personale (Cass. 26 settembre 2000 n. 12711, Cass. 24 gennaio 2002 n. 809, Cass. 9 settembre 2003 n. 13182, Cass. 22 aprile 2005 n. 8474, Cass. 8 marzo 2006 n. 4970) Le esigenze tecnico produttive a cui la giurisprudenza richiamata subordina la legittimità della scelta del personale limitata al reparto oggetto della riduzione, sono state ritenute sussistenti essendo comprovate e, soprattutto, concordate con le organizzazioni sindacali, ed il vaglio successivo del giudice può essere limitato al solo controllo del rispetto degli obblighi previsti dalla legge che disciplina i licenziamenti collettivi.

Il terzo motivo è pure infondato in quanto viene solo dedotta un’incompletezza dell’informativa necessaria per l’avvio della procedura di mobilità. D’altra parte il motivo è incoerente con la lamentela relativa alla scelta del personale licenziato che ovviamente presuppone la conoscenza del criterio adottato e del profilo professionale del personale interessato alla procedura.

Il quarto motivo è infondato in quanto sostanzialmente coincide con la censura relativa alla scelta del personale licenziato limitata a quello in servizio presso il reparto soppresso. E’ evidente che, una volta ritenuta la legittimità della scelta limitata al reparto interessato alla riduzione, ne consegue la predeterminazione dei singoli lavoratori interessati.

Il quinto ed il sesto motivo attengono alla qualifica professionale dei lavoratori interessati alla procedura, per cui la loro infondatezza deriva da quanto sopra considerato in merito alla legittimità della scelta del personale addetto al reparto soppresso.

Il settimo motivo attinente all’asserita mancata valutazione di alternative al licenziamento investe un giudizio di fatto non consentito in sede di legittimità.

L’ottavo motivo si riferisce ad una valutazione sulle risultanze probatorie altrettanto incensurabile in questa sede.

Il nono motivo relativo alla presunta violazione del diritto di precedenza si riferisce pure ad un accertamento di fatto, e risulta inoltre generico in assenza di un preciso riferimento alle dedotte violazioni.

Il decimo motivo riferito alla "griglia comparativa" ripete sostanzialmente le censure relative alla scelta del personale licenziato sulla cui legittimità si è detto.

L’undicesimo motivo che insinua l’ipotesi di un negozio in frode alla legge, non riguarda neppure un vizio di legittimità ma costituisce una prospettazione dei fatti di causa inammissibile in questa sede.

Le spese di giudizio, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.

La Corte di Cassazione rigetta il ricorso;

Condanna la ricorrente al pagamento delle spese di giudizio liquidate in Euro 50,00 oltre Euro 2.500,00 per onorari, oltre I.V.A. e C.P.A..

Così deciso in Roma, il 31 maggio 2012.

Depositato in Cancelleria il 10 luglio 2012

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