Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 25-10-2012) 19-02-2013, n. 8031

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Il Pubblico Ministero presso il Tribunale di Bassano del Grappa, con provvedimenti del 6 e del 22 dicembre 2011, rigettava la richiesta di restituzione di materiale informatico (hardware), già sottoposto a sequestro probatorio, avanzata da A.M..

2. Contro il provvedimento suddetto proponeva opposizione l’ A., ex art. 263 cod. proc. pen., e il Giudice delle indagini preliminari, con ordinanza del 9-3-2012, rigettava l’opposizione, in considerazione del fatto che i beni in sequestro erano stati utilizzati per commettere reati di ingiuria e minaccia e che il mantenimento del vincolo era funzionale "all’accertamento della verità".

3. Contro l’ordinanza suddetta ha proposto personalmente ricorso per cassazione l’interessato chiedendone l’annullamento, deducendo che i beni in sequestro non sono più necessari ai fini probatori, in quanto sui beni stessi è già stata espletata consulenza peritale e le indagini sono concluse. Inoltre, perchè degli stessi non è obbligatoria la confisca e perchè degli stessi non è mai stato disposto il sequestro preventivo.

3. Il Procuratore generale della repubblica presso la Corte di Cassazione ha depositato propria memoria, con cui ha chiesto la dichiarazione di inammissibilità del ricorso.
Motivi della decisione

Il ricorso è infondato, per due ordini di motivi.

In primo luogo, perchè gli strumenti informatici in sequestro conservano tracce dell’attività svolta per commettere i reati, per cui su di essi è possibile effettuare perizia, a dibattimento, per acquisire la prova del reato e la sua riferibilità all’imputato. Nè osta a questa eventualità la circostanza che sul materiale in sequestro abbia già espletato consulenza il Pubblico Ministero, giacchè le parti conservano la facoltà richiedere, a dibattimento, un autonomo accertamento peritale (la cui necessità potrebbe, peraltro, essere ravvisata, d’ufficio, dal giudice). Trattasi di oggetti, quindi, che, nel discrezionale apprezzamento del giudice di merito, sono necessari per l’accertamento dei fatti, ai sensi dell’art. 253 cod. proc. pen..

In secondo luogo, perchè trattasi di cose che sono state utilizzate per commettere i reati e di cui è consentita, quindi, la confisca, ai sensi dell’art. 240 cod. pen..

Il ricorso va pertanto rigettato, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente ai pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 25 ottobre 2012.

Depositato in Cancelleria il 19 febbraio 2013

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