Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 10-07-2012, n. 11543 Lavoro subordinato Rapporto di lavoro

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La sentenza impugnata, depositata dalla Corte d’appello di Catanzaro in data il 26 novembre 2009, ha accolto le domande di S. S., autista dipendente della Impresa autolinee XXX – XXX s.r.l. di annullamento del licenziamento da questa intimatogli, per non avere aderito, in violazione della L. n. 300 del 1970, art. 7, alla sua richiesta di essere ascoltato con l’assistenza di un rappresentante sindacale per difendersi dagli addebiti contestatigli;
con le conseguenze tutte di cui all’art. 18 della legge citata, come sostituito dalla L. n. 108 del 1990, art. 1.
In proposito la Corte territoriale ha ritenuto l’applicabilità diretta al caso in esame della disciplina di cui alla L. n. 300 del 1970, art. 7, commi 2 e 3, escludendo, in via alternativa, le norme collettive applicabili nel settore.
L’impresa Autolinee XXX (XXX.) s.r.l. chiede ora la cassazione di tale sentenza con ricorso notificato il 3 giugno 2010, affidato a tre motivi.
S.S. resiste alle domande con rituale controricorso.
La società ricorrente ha depositato una memoria, ribadendo le proprie tesi difensive.

Motivi della decisione

1 – Col primo motivo di ricorso, la società deduce la violazione dell’art. 15 preleggi, al R.D. n. 148 del 1931, art. 53, all. A e L. n. 300 del 1970, art. 7, per avere la Corte territoriale, erroneamente interpretando le norme di legge indicate, ritenuto applicabile al licenziamento disciplinare di un dipendente di impresa di trasporto in concessione la L. n. 300 del 1970, art. 7, anzichè la disciplina speciale prevista per tale tipo di rapporto dal R.D. 1931.
2 – Col secondo motivo di ricorso, la sentenza della Corte d’appello di Catanzaro viene censurata per violazione della L. n. 270 del 1988, art. 7, art. 1 e art. 14, all. A al C.C.N.L. 27 novembre 2000 degli autoferrotranviari in relazione all’art. 12 disp. gen. e all’art. 1362 cod. civ., e segg..
In proposito, la società deduce l’erroneità dell’affermazione della Corte territoriale secondo cui: a) la L. n. 270 del 1988 (che dispone la delegificazione del rapporto di lavoro dei dipendenti dalle aziende esercenti servizi di trasporto in concessione) sarebbe applicabile anche alla materia delle sanzioni disciplinari; b) una deroga in tale materia, applicabile al caso dell’autista S., sarebbe stata operata dall’art. 14 dell’all. A dell’accordo nazionale 27 novembre 2000, il quale viceversa riguarderebbe unicamente gli addetti ai servizi ausiliari di mobilità, tra i quali non rientrava il S.; c) tale norma farebbe espresso richiamo all’integrale applicazione dell’art. 7 S.L., mentre, secondo la ricorrente, essa si limita a richiamare unicamente le procedure di conciliazione ivi previste.
3 – Col terzo motivo, la difesa della società censura la sentenza impugnata per violazione della L. n. 300 del 1970, art. 7 e, comunque degli artt. 1362 e 1363 c.c., per avere ritenuto che in base a tale disciplina, il S. avrebbe dovuto essere sentito al discolpa con l’assistenza di un rappresentante sindacale, nonostante che nelle sue difese scritte il lavoratore avesse formulato una tale richiesta in maniera equivoca e nebulosa, a fini meramente dilatori.
Il ricorso è infondato.
Non è contestato tra le parti che la destituzione definitivamente comunicata al S. con la lettera del 16 settembre 2005, sia qualificabile in termini di licenziamento di natura disciplinare.
Con riguardo al relativo procedimento di irrogazione, va anzitutto disattesa la deduzione secondo la quale non sarebbe identificabile con sufficiente chiarezza una richiesta dell’incolpato di essere sentito a sua difesa con l’assistenza di un rappresentante sindacale, in ragione della nebulosità ed equivocità delle espressioni in proposito contenute nella lettera di giustificazioni scritte da parte del S..
I giudici di merito hanno infatti dato, al riguardo, per pacifica tra le parti la circostanza relativa all’esistenza di una tale richiesta e hanno accertato che essa non venne accolta. Orbene, non risulta dal ricorso per cassazione che la società abbia viceversa formulato già nel giudizio di merito avanti alla Corte territoriale l’obiezione ora svolta avanti a questa Corte, comportante un accertamento di fatto che non può essere compiuto per la prima volta in sede di legittimità.
Da ciò consegue l’inammissibilità del terzo motivo di ricorso.
Nel merito si rileva che, secondo il R.D. n. 148 del 1931, art. 53, comma 2, all. A, "nel caso in cui l’agente sia accusato di mancanze per le quali sia prevista la retrocessione o la destituzione, i suddetti funzionari (che hanno eseguito le indagini e le costatazioni necessarie per l’accertamento dei fatti) devono contestare all’agente i fatti di cui è imputato, invitandolo a giustificarsi".
In mancanza di limitazioni esplicite, quanto alle forme in cui devono essere espresse tali giustificazioni, la norma citata deve essere interpretata coerentemente con quella che è allo stato la disciplina universalmente applicabile a tutti i rapporti di lavoro alle dipendenze sia di privati che di pubbliche amministrazioni, vale a dire l’art. 7, in particolare commi 2 e 3 della L. n. 300 del 1970, cui si è uniformato il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55 e poi l’art. 55-bis del medesimo legislativo post novella di cui al D.Lgs. n. 150 del 2009.
Le norme da ultimo citate prevedono infatti tutte la possibilità per l’incolpato di mancanze disciplinari di difendersi, anche facendosi assistere da persona (procuratore o rappresentante sindacale che sia) che assicuri una sua adeguata difesa in sede di giustificazioni.
Tali disposizioni sono state inoltre costantemente interpretate da questa Corte nel senso che il lavoratore incolpato ha diritto, a richiesta, di essere sentito oralmente a propria difesa con l’eventuale assistenza di un rappresentante sindacale, anche nel caso in cui abbia comunicato le proprie giustificazioni scritte, ancorchè queste appaiano già di per sè ampie ed esaustive (cfr., per tutte, Cass. sentt. nn. 21899/10 e 6845/10).
Al riguardo, va infine rilevato che la Corte costituzionale ha assunto a "parametro di indefettibile regola di formazione delle misure disciplinari" della L. n. 300 del 1970, art. 7, commi 2 e 3 (Corte cost. sent. n. 204/1982), ritenuti espressione di principi di civiltà giuridica, la cui efficacia espansiva nell’Ordinamento deriva altresì da un’innegabile esigenza di parità di trattamento (cfr. Corte Cost. sent. n. 427/1989).
L’interpretazione costituzionalmente orientata della disposizione citata di cui all’All. A al R.D. nel 1931 comporta pertanto l’espansione di quest’ultima (nel quadro della libertà di forme possibili di difesa cui allude) in direzione dell’attribuzione all’incolpato del diritto di integrare oralmente le proprie giustificazioni scritte, con l’assistenza di un rappresentante dell’associazione sindacale cui aderisce o conferisce mandato.
La violazione di tale norma imperativa determina le conseguenze che correttamente e senza contestazione da parte della società ne ha tratto la sentenza impugnata.
Anche il primo motivo di ricorso va pertanto respinto, sia pure con una motivazione diversa da quella del giudice di merito, ma discendente dalla diretta interpretazione di una norma di legge da parte di questa Corte.
In proposito va affermato il seguente principio di diritto:
"L’art. 53, comma 2 del regolamento All. A al R.D. 8 gennaio 1931, n. 148, sullo stato giuridico degli autoferrotranvieri, il quale stabilisce, in materia di procedimento disciplinare, che i funzionari competenti "devono contestare all’agente i fatti di cui è imputato, invitandolo a giustificarsi" va interpretato nel senso che costituisce diritto dell’agente medesimo, il quale abbia già formulato proprie difese scritte, di chiedere di giustificarsi oralmente, con l’assistenza di un rappresentante dell’associazione sindacale cui aderisce o conferisce mandato".
Resta assorbita la necessità di esame del secondo motivo di ricorso, che investe una motivazione formulata dai giudici dell’appello, a sostegno della decisione, in maniera alternativa rispetto a quella fondata sull’applicazione della legge.
Concludendo, in base alle considerazioni svolte, il ricorso va respinto.
L’alternanza di soluzioni nei gradi del giudizio di merito e la considerazione delle ragioni poste da questa Corte a fondamento della decisione (diverse da quelle della sentenza impugnata) consigliano di compensare integralmente tra le parti le spese di questo giudizio.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso, compensando integralmente tra le parti le spese di questo giudizio di cassazione.
Così deciso in Roma, il 23 maggio 2012.
Depositato in Cancelleria il 10 luglio 2012

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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