Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 24-09-2012) 15-02-2013, n. 7534

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con sentenza in data 8-3-2011 la Corte di Assise di Appello di Catania confermava l’affermazione di responsabilità di P. K.Y.R. per l’omicidio preterintenzionale del padre F.C., pronunciata dalla Corte di Assise di Catania con sentenza del 7-5-2010, concedendo l’attenuante della provocazione e riducendo quindi la pena ad anni sei di reclusione.

2. Il fatto avveniva a seguito di una lite tra padre e figlio articolatasi in due fasi, nella prima delle quali l’imputato era stato ferito al capo dal padre con una chiave inglese, nella seconda era tornato nella camera da letto in cui il padre si trovava e, nel corso di una colluttazione, lo aveva colpito con un coltello recidendogli l’arteria e la vena poplitea con conseguente decesso.

2.1 La corte catanese non riconosceva la legittima difesa sul rilievo, da un lato, della non attualità del pericolo di un’offesa ingiusta, dall’altro della evitabilità del pericolo. Infatti, anche a credere alla versione del prevenuto secondo cui egli era uscito tra il primo ed il secondo momento della vicenda, rientrando nell’abitazione in quanto mortificato per il fatto di essere stato visto ferito e sanguinante dai vicini (aspetto quest’ultimo peraltro non confermato dalle testimonianze), restava tuttavia il fatto che la seconda fase, anche se la vittima era armata della chiave inglese e nella colluttazione aveva sovrastato il figlio, era stata volontariamente provocata dal R. che si era armato prevedendo ed accettando una situazione di rischio.

3. Con il ricorso proposto tramite il difensore avv. S. Chiarenza, l’imputato deduceva contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione. I giudici di secondo grado avevano infatti escluso, senza fornirne motivazione, il perdurare del pericolo nella seconda fase del litigio, nonostante che, nella prima, il figlio fosse stato colpito dal padre al capo, e in contrasto con il riconoscimento che, nella seconda, la vittima era armata di chiave inglese e si trovava in posizione tale da sovrastare il figlio. Comunque le circostanze in cui era maturato il reato, che avevano tra l’altro comportato la concessione in appello dell’attenuante della provocazione, avrebbero dovuto determinare una pena più mite.
Motivi della decisione

La questione dedotta, benchè inscenata come vizio motivazionale, involge in realtà aspetti inerenti alla ricostruzione del fatto e all’apprezzamento del materiale probatorio rimessi alla esclusiva competenza del giudice di merito, che, nel caso in esame, l’ha adeguatamente ed esaustivamente esercitata.

La sentenza impugnata ha infatti tenuto nella debita considerazione la scomposizione della vicenda in due fasi, fornendo ragionata contezza delle ragioni per le quali non poteva essere riconosciuta l’esimente della legittima difesa, dal momento che, per quanto nella prima l’imputato fosse stato colpito dal padre con una chiave inglese, il verificarsi della seconda, poco importa se intervallata o meno dall’uscita di casa del giovane, era stato volontariamente provocato dal R. che si era appositamente armato di un coltello per recarsi nella camera del padre, prevedendo ed accettando una situazione di rischio, alla quale ben avrebbe potuto evitare di sottoporsi, restando quindi irrilevante che la vittima fosse armata della chiave inglese e nella colluttazione avesse sovrastato il figlio.

Del pari immune da censure azionabili nella presente sede, l’aspetto della determinazione della pena, essendo stato l’esercizio del relativo potere discrezionale adeguatamente motivato con il richiamo alla gravità del fatto, previo peraltro il riconoscimento dell’attenuante della provocazione.

Il ricorso è quindi inammissibile e a tale declaratoria seguono le statuizioni di cui all’art. 616 cod. proc. pen., determinandosi in Euro 1000, in relazione alla natura delle questioni dedotte, la somma da corrispondere alla cassa delle ammende.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000 in favore della Cassa delle Ammende.

Così deciso in Roma, il 24 settembre 2012.

Depositato in Cancelleria il 15 febbraio 2013

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