Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 03-07-2012) 15-02-2013, n. 7582

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza in data 7 dicembre 2011, la Corte d’appello di Brescia confermava la sentenza emessa in data 13 gennaio 2009 dal Tribunale di Brescia – Sezione staccata di Grumello Del Monte nei confronti di P.L.F. e di V.G.L. giudicati responsabili del delitto di cui all’art. 590, commi 1, 3 e 4, art. 583 cod. pen., comma 1, n. 1, in relazione al D.P.R. 7 gennaio 1958, n. 164, art. 24 e D.Lgs. 14 agosto 1996 n. 494, art. 5, per aver cagionato, per colpa generica e per inosservanza della specifica normativa antinfortunistica, nei rispettivi ruoli di titolare della ditta individuale e di appaltatore principale dei lavori di costruzione di un edificio destinato a civile abitazione sito in (OMISSIS) e di coordinatore per l’esecuzione dei lavori nel citato cantiere, lesioni personali consistite in emorragia intracranica (dalle quali derivava uno stato di malattia guarito in oltre 40 giorni con la conseguente incapacità, per pari periodo, di attendere alle ordinarie occupazioni) ad A.G., quale subappaltatore dei lavori di lattoneria, precipitato al suolo, il giorno 7 marzo 2005, per una momentanea distrazione, da un’altezza di circa cinque metri attraverso un lucernaio del tetto ove si trovava per effettuare la posa di canali di gronda.

Per l’effetto, gli imputati, concesse le attenuanti generiche dichiarate equivalenti alla contestata aggravante, venivano condannati alla pena ritenuta di giustizia. Si contestava in particolare ad entrambi di aver omesso per colpa di mettere in sicurezza il lucernaio mediante l’installazione di idonei parapetti nelle parti prospicienti il vuoto e comunque di aver mancato di predisporre idonee opere provvisionali o precauzionali atte ad eliminare i pericoli di caduta. Al solo V. si addebitava altresì l’omessa verifica dell’osservanza delle misure previste nel piano di sicurezza e di coordinamento nonchè l’omessa organizzazione, a tale scopo, della cooperazione e del coordinamento tra le varie imprese presenti in cantiere.

In esito all’istruttoria espletata, ha giudicato la Corte d’Appello del tutto pacifica la dinamica dell’infortunio. Mentre l’ A. si trovava sul tetto dell’edificio in costruzione e camminava all’indietro per spostare alcuni canali di gronda da installare, era precipitato al suolo attraverso il vano di un lucernaio, privo, al pari degli altri sei presenti sul tetto, di parapetti o di protezioni diverse lungo il perimetro dell’apertura. Come evidenziato nella motivazione della sentenza impugnata, siffatta omissione (integrante trasgressione delle comuni regole di prudenza e diligenza nonchè delle specifiche prescrizioni antinfortunistiche dettate dal D.P.R. n. 164 del 1956, artt. 24 e 77, la cui osservanza avrebbe certamente evitato l’evento,valendo a scongiurare il pericolo di precipitazione dall’alto) doveva farsi pacificamente risalire ad entrambi gli imputati,titolari di posizioni di garanzia fondate da diversi titoli contrattuali costitutivi dei diversi ruoli ricoperti nel cantiere,ma entrambe convergenti alla tutela della incolumità di tutti coloro che vi prestavano la propria attività, a nulla rilevando che l’ A. fosse artigiano e lavoratore autonomo,in veste di subappaltatore di lavori di lattoneria. L’imputato V., nella sua qualità di coordinatore per l’esecuzione dei lavori, era inoltre obbligato non solo a vigilare sul rispetto del piano di sicurezza e di coordinamento, ma anche ad attivarsi per evitare i pericoli derivanti dalla contestuale presenza di più imprese nel cantiere, organizzandone la reciproca cooperazione.

Entrambi gli imputati ricorrono per cassazione, per tramite dei rispettivi difensori.

In sintesi entrambi i ricorsi enunciano censure sostanzialmente di identico contenuto, per difetto di motivazione e per violazione di legge, avendo la Corte distrettuale escluso che potesse qualificarsi abnorme – e quindi causa esclusiva dell’evento – il comportamento dell’ A. che, pur consapevole dei rischi cui era esposto trovandosi sul tetto, camminava all’indietro, verosimilmente mentre effettuava una telefonata con il cellulare, perdipiù, senza aver allacciato le cinture di sicurezza. I Giudici di seconda istanza avrebbero peraltro omesso qualsivoglia verifica in ordine all’attendibilità del teste T.M. che, pur avendo riferito, in sede di sommarie informazioni, la circostanza della concomitante telefonata che stava effettuando l’infortunato,l’aveva poi smentita in sede di esame dibattimentale.
Motivi della decisione

Entrambi i ricorsi sono manifestamente infondati ed enunciano motivi non consentiti nel giudizio di legittimità.

Con le censure riferite a pretesi vizi motivazionali della sentenza impugnata in punto alla ritenuta sussistenza del nesso eziologico, i ricorrenti intendono in realtà indurre questa Corte ad una ricostruzione e ad una "rivisitazione " del fatto, nonchè ad una diversa valutazione del materiale probatorio utilizzato dai giudici di merito. Deve premettersi che, come affermato da questa Corte, anche a Sezioni Unite (cfr. Sez. Un., n. 6402/97, imp. Dessimone ed altri, rv. 207944; Sez. Un., rie. Spina, 24/11/1999, rv. 214793), esula dai poteri della Corte di cassazione quello di una "rilettura" degli elementi di fatto, posti a sostegno della decisione, il cui apprezzamento è riservato in via esclusiva al giudice di merito, senza che possa integrare vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa – e per il ricorrente più adeguata – valutazione delle risultanze processuali. Ed in ogni caso va ribadito che,anche a seguito della riforma dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), "non risulta istituito un terzo grado di giudizio di merito tale cioè che al Giudice di legittimità possa esser sottoposto materiale probatorio già utilizzato dal Giudice di merito,affinchè la Corte di cassazione rinnovi la valutazione degli elementi di prova fornendone una lettura diversa da quella del giudice di merito" (cfr.

Sez. 6 n. 26149 del 2009). Ciò posto, osserva il Collegio che, in punto alla sussistenza del nesso di causalità (ed all’esclusione di una condotta cd. abnorme dell’infortunato, con valenza di esso interruttiva) la Corte d’appello ha evidenziato, con argomentazioni congrue, appropriate e coerenti con le risultanze emerse dall’istruttoria, che l’omessa predisposizione dei parapetti e delle opera provvisionali intorno al perimetro dei lucernai, aperti sul tetto (dovuta alla violazione colposa di precise regole antinfortunistiche,enunciate nel capo di imputazione e di elementari obblighi di diligenza, prudenza e perizia, pacificamente gravanti su entrambi gli imputati) integrava incontestabile antecedente causale dell’evento che, come risulta peraltro intuitivo, non si sarebbe verificato in presenza dell’adozione della condotta attiva pretermessa, ancorchè l’infortunato A. avesse concorso nella produzione dell’evento lesivo, con la propria condotta gravemente imprudente (testè richiamata), fosse stato costui intento o meno, all’atto di precipitare attraverso il lucernaio non protetto,in una telefonata con il proprio apparecchio cellulare, non rivestendo in realtà rilievo decisivo (diversamente da quanto obiettato da entrambi i ricorrenti) la questione relativa alla credibilità o meno della deposizione dibattimentale resa dal teste T.M.. Hanno altresì correttamente evidenziato i Giudici di seconda istanza, in conformità all’orientamento ripetutamente affermato da questa Corte, che doveva escludersi che una siffatta condotta dell’infortunato avesse interrotto il nesso eziologico, quale causa sopravvenuta di ordine eccezionale, esclusivamente determinante l’evento (art. 41 cod. pen., comma 2) inquantochè, per un verso, le disposizioni antinfortunistiche sono preordinate a "prevenire anche il comportamento imprudente, negligente o dovuto ad imperizia dello stesso lavoratore " e, per l’altro, non si trattò di comportamento abnorme, "radicalmente ed ontologicamente lontano dalle ipotizzabili e quindi prevedibili scelte nell’esecuzione del lavoro " di guisa da porsi la di fuori di ogni possibilità di controllo ad opera di coloro che erano gravati dell’adozione delle specifiche misure antinfortunistiche, essendo invece risultato che l’ A. era intento a spostare i canali di gronda presenti sul tetto che avrebbe dovuto installare in esecuzione del contratto di subappalto stipulato (cfr. Sez. 4 n. 12155 del 1999; Sez. 4 n. 3455 del 2004;

Sez. 4 n. 36339 del 2005; Sez. 4 n. 2614 del 2006). In tale ambito concettuale, incensurabili appaiono le ulteriori considerazioni svolte dalla Corte distrettuale che ha inteso escludere il preteso effetto interruttivo del nesso di causa, anche dell’omissione colpevole dell’ A. per non aver allacciato le cinture di sicurezza da lui stesso indossate, pur trovandosi a lavorare su di un tetto, a notevole altezza dal suolo. L’azione positiva omessa – ha logicamente osservato la Corte d’appello – non sarebbe stata tanto idonea ad impedire la precipitazione dell’infortunato attraverso il lucernaio (non protetto da parapetto intorno al perimetro), quanto piuttosto ad evitare la generica caduta dal tetto, invero già scongiurata dal fatto che il perimetro esterno dello stesso " risultava regolarmente protetto da una ponteggiatura e da una rete metallica ". Nè era possibile obiettivamente escludere che, agli effetti della mera movimentazione dei canali di gronda sul tetto, quale incombente necessariamente prodromico alla loro installazione,il preventivo aggancio delle cinture di sicurezza si sarebbe verosimilmente rivelato controproducente se non ostativo di guisa da apparire, anche in tale ottica, unica misura efficacemente impeditiva dell’evento quella della installazione di parapetti intorno al perimetro dei lucernai.

Alla declaratoria di inammissibilità segue, per legge, la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali nonchè (trattandosi di causa di inammissibilità riconducale alla volontà, e quindi a colpa, degli stessi: cfr. Corte Costituzionale sent. n. 186 del 7-13 giugno 2000) al versamento, a favore della cassa delle ammende, di una somma che si ritiene equo e congruo determinare in Euro 1.000,00, ciascuno.
P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno a quello della somma di Euro 1000,00 in favore della cassa delle Ammende.

Così deciso in Roma, il 3 luglio 2012.

Depositato in Cancelleria il 15 febbraio 2013
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