Cass. civ. Sez. II, Sent., 11-07-2012, n. 11741 nullità

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Svolgimento del processo

1.- La società Cooperativa XX a r.l., già Napoli Nuova, esponeva che: il Consorzio Conapro aveva affidato in appalto alla società Cooperativa Napoli Nuova i lavori di manutenzione dello stabilimento Enichem sito in (OMISSIS) nonchè ogni altro lavoro ritenuto necessario; in data 1 marzo 1984 la società Cooperativa Napoli Nuova aveva affidato detti lavori in subappalto alla s.r.l. Gerico e alla impresa D.S.G.;
dal 1-1-1985 il rapporto era poi proseguito con il solo D.S..
Ciò posto, l’istante conveniva in giudizio davanti al Tribunale di Napoli il D.S. per sentirlo condannare al rimborso degli oneri dell’appalto al quale era tenuto per il periodo 1-3-198 4/31-12- 1986.
Si costituiva il convenuto, chiedendo il rigetto della domanda;
deduceva la mancanza dell’invocato contratto di subappalto, precisando di avere svolto attività di consulente per i lavori con l’utilizzo di un ufficio del (OMISSIS).
Con sentenza dell’8 gennaio 2002 il Tribunale rigettava la domanda, escludendo che il convenuto avesse rivestito il ruolo di subappaltatore.
Con sentenza dep. il 21 aprile 2006 la Corte di appello di Napoli, in riforma della decisione impugnata dall’attrice, accoglieva la domanda. Secondo i Giudici, contrariamente a quanto ritenuto dal Tribunale, il convenuto disponeva della necessaria organizzazione imprenditoriale e finanziaria ed ebbe ad eseguire i lavori oggetto del subappalto. A stregua di quanto stabilito nella convenzione secondo cui i lavori erano congiuntamente e disgiuntamente affidati alla società Gerico e al D.S., il contratto, poi, ebbe alla scadenza a rinnovarsi Ipso iure con il solo convenuto tenuto conto che dal primo gennaio 1985 e per alcuni mesi il medesimo aveva rispettato tutti gli impegni assunti.
2.- Avverso tale decisione propone ricorso per cassazione il D. S. sulla base di cinque motivi illustrati da memoria.
Resiste con controricorso l’intimata.
Il difensore del ricorrente ha depositato note di udienza in replica alle conclusioni rassegnate dal Procuratore generale,

Motivi della decisione

1.1.- Il primo motivo lamenta "violazione e falsa applicazione dell’art. 1655 c.c., e segg., nonchè dell’art. 1362 c.c., e segg., artt. 1418 e 1414 e di ogni altra norma e principio in materia di interpretazione e qualificazione del contratto e, in particolare, di quello di appalto nonchè di nullità del contratto per carenza di causa o per simulazione. omessa ed insufficiente motivazione circa punti decisivi della controversia.
Censura la decisione gravata che aveva qualificato come subappalto il contratto intercorso fra le parti, senza tenere conto che, a prescindere dal riferimento all’appalto, era stato usato il termine "gestione"; tanto la Gerico quanto il D.S. non erano intervenuti non avendo alcuna organizzazione e non assumendo alcun rischio diretto, come emergeva chiaramente dall’art. 7 del contratto, secondo cui la mano d’opera sarebbe stata fornita dalla Cooperativa Napoli Nuova e che anche tutte le fatture di acquisto sarebbero state intestate alla Cooperativa; l’art. 4 stabiliva che i presunti appaltatori si obbligavano a partecipare a tutti gli oneri derivanti dall’appalto che fossero stati a carico della Cooperativa Napoli Nuova, mentre quanto ai corrispettivi si conveniva che i pagamenti eseguiti dal Conapro sarebbero stati incassati dalla stessa Cooperativa Napoli Nuova la quale avrebbe poi trattenuto una quota del 7,50% quali spese generali ed utili, di cui il 2,50% sarebbe stato restituito al Conapro (e cioè allo stesso affidatario). Il rapporto emergente dalle pattuizioni formalizzate nella ridetta scrittura del 1 marzo 1984, ben lungi dall’essere ascrivibile al tipo dell’appalto, appariva nullo per mancanza di causa, atteso che i presunti appaltatori, infatti, non avevano assunto alcuna obbligazione di facere verso la Cooperativa, nè avevano assunto alcun rischio connesso ad una capacità imprenditoriale propria: in specie, era stato pattuito che la mano d’opera sarebbe stata a carico della Cooperativa Napoli Nuova, atteso che, secondo quanto risultava dal testo del contratto e dal comportamento delle parti, la struttura operante sul posto fu sempre e solo quella della Cooperativa Napoli Nuova.
Pertanto, formula, ai sensi dell’art. 366 bis cod. proc. civ., il seguente quesito di diritto: "accerti e dica l’Ecc. ma Corte adita se non sia nullo per mancanza di causa il contratto di appalto con il quale il presunto appaltatore non assuma alcun obbligo diretto di esecuzione di lavori con propri mezzi ed organizzazione, ma sia espressamente previsto che lo stesso debba operare con personale dipendente dalla committente e con fatturazione di tutti i costi di produzione direttamente a carico della committente medesima".
1.2.- Il motivo è inammissibile.
Ai sensi dell’ art. 366 bis cod. proc. civ., introdotto dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 6, ratione temporis applicabile, i motivi del ricorso per cassazione devono essere accompagnati, a pena di inammissibilità (art. 375 cod. proc. civ., n. 5) dalla formulazione di un esplicito quesito di diritto nei casi previsti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1), 2), 3), 4), e qualora il vizio sia denunciato anche ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ., n. 5, l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione.
Al riguardo va ricordato che, nel caso di violazioni denunciate ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ., nn. 1), 2), 3), 4), secondo il citato art. 366 bis, il motivo deve concludersi con la separata e specifica formulazione di un esplicito quesito di diritto, che si risolva in una chiara sintesi logico-giuridica della questione sottoposta al vaglio del giudice di legittimità, formulata in termini tali per cui dalla risposta – negativa od affermativa – che ad esso si dia, discenda in modo univoco l’accoglimento od il rigetto del gravame (SU 23732/07): non può, infatti, ritenersi sufficiente il fatto che il quesito di diritto possa implicitamente desumersi dall’esposizione del motivo di ricorso nè che esso possa consistere o ricavarsi dalla formulazione del principio di diritto che il ricorrente ritiene corretto applicarsi alla specie, perchè una siffatta interpretazione si risolverebbe nell’abrogazione tacita della norma di cui all’art. 366 bis cod. proc. civ., secondo cui è, invece, necessario che una parte specifica del ricorso sia destinata ad individuare in modo specifico e senza incertezze interpretative la questione di diritto che la Corte è chiamata a risolvere nell’esplicazione della funzione nomofilattica che la modifica di cui al D.Lgs. n. 40 del 2006, oltre all’effetto deflattivo del carico pendente, aveva inteso valorizzare,secondo quanto formulato in maniera esplicita nella Legge Delega 14 maggio 2005, n. 80, art. 1, comma 2, ed altrettanto esplicitamente ripreso nel titolo stesso del decreto delegato soprarichiamato. In tal modo il legislatore si era proposto l’obiettivo di garantire meglio l’aderenza dei motivi di ricorso (per violazione di legge o per vizi del procedimento) allo schema legale cui essi debbono corrispondere, giacchè la formulazione del quesito di diritto risponde all’esigenza di verificare la corrispondenza delle ragioni del ricorso ai canoni indefettibili del giudizio di legittimità, inteso come giudizio d’impugnazione a motivi limitati. In effetti, la ratio ispiratrice dell’art. 366 bis cod. proc. civ., era quella di assicurare pienamente la funzione, del tutto peculiare, del ricorso per cassazione, che non è solo quella di soddisfare l’interesse del ricorrente ad una corretta decisione di quella controversia ma anche di enucleare il corretto principio di diritto applicabile in casi simili. Pertanto, il quesito di diritto di cui all’art. 366 bis cod. proc. civ., deve comprendere l’indicazione sia della "regula iuris" adottata nel provvedimento impugnato, sia del diverso principio che il ricorrente assume corretto e che si sarebbe dovuto applicare in sostituzione del primo. Ne consegue che il quesito deve costituire la chiave di lettura delle ragioni esposte e porre la medesima Corte in condizione di rispondere ad esso con l’enunciazione di una regula iuris che sia, in quanto tale, suscettibile -come si è detto – di ricevere applicazione in casi ulteriori rispetto a quello sottoposto all’esame del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata (S.U. 3519/2008). Analogamente a quanto è previsto per la formulazione del quesito di diritto nei casi previsti dall’art. 360 cod. proc. civ., comma 1, nn. 1), 2), 3), 4), nell’ipotesi in cui il vizio sia denunciato ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ., n. 5, la relativa censura deve contenere, un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto), separatamente indicato in una parte del ricorso a ciò specificamente deputata e distinta dall’esposizione del motivo,che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità (S.U. 20603/07). In tal caso, l’illustrazione del motivo deve contenere la indicazione del fatto controverso con la precisazione del vizio del procedimento logico-giuridico che, incidendo nella erronea ricostruzione del fatto, sia stato determinante della decisione impugnata. Pertanto, non è sufficiente che il fatto controverso sia indicato nel motivo o possa desumersi dalla sua esposizione. La norma ha evidentemente la finalità di consentire la verifica che la denuncia sia ricondotta nell’ambito delle attribuzioni conferite dall’art. 360 cod. proc. civ., n. 5, al giudice di legittimità, che deve accertare la correttezza dell’iter logico-giuridico seguito dal giudice esclusivamente attraverso l’analisi del provvedimento impugnato, non essendo compito del giudice di legittimità quello di controllare l’esattezza o la corrispondenza della decisione attraverso l’esame e la valutazione delle risultanze processuali che non sono consentiti alla Corte, ad eccezione dei casi in cui essa è anche giudice del fatto. Si è, così, inteso precludere l’esame di ricorsi che, stravolgendo il ruolo e la funzione della Corte di Cassazione, sollecitano al giudice di legittimità un inammissibile riesame del merito della causa.
Ciò posto nella specie il quesito, nel denunciare la falsa applicazione della norma ovvero l’errata sussunzione della fattispecie nella previsione normativa, pone a base dell’errore una ricostruzione della fattispecie concreta difforme da quella accertata dalla sentenza impugnata, dando per scontato ciò che andava invece dimostrato (la inesistenza di un contratto di subappalto): in effetti, il quesito è generico perchè avrebbe dovuto dimostrare, sintetizzando le relative clausole contrattuali, che in concreto – alla stregua del contenuto delle obbligazioni rispettivamente assunte dalle parti – si era rivelata erronea la qualificazione del contratto formulata dai Giudici: la risposta al quesito, così come formulato, non consentirebbe di pervenire alla decisione del ricorso. In relazione, poi, all’eventuale vizio di motivazione, che pure è stato dedotto, è mancata la chiara e separata indicazione del fatto controverso e del vizio di motivazione.
2.1.- Il secondo motivo denuncia: "violazione e falsa applicazione sotto altro profilo delle stesse norme e principi di cui al precedente primo nonchè dell’art. 1326, e segg., e di ogni altra disposizione in materia di formazione del consenso e, in particolare di vincoli di forma e di rinnovo tacito del contratto, violazione dell’art. 2691 c.c., e di ogni altra regola e norma sulla ripartizione dell’onere della prova omessa ed insufficiente motivazione circa punti decisivi della controversia (art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5)".
Censura la sentenza impugnata laddove, nel ritenere che il contratto di subappalto si fosse rinnovato tacitamente tra la Cooperativa Napoli Nuova e il solo D.S., aveva fatto riferimento alla clausola secondo cui l’incarico era stato commesso alla Gerico ed al D.S. "congiuntamente e disgiuntamente", per cui la possibilità che il rapporto proseguisse con uno solo dei due originari subappaltatori era stata prevista sin dall’inizio. Ma tale clausola faceva riferimento all’affidamento di ulteriori lavori diversi da quelli che erano stati già commessi dal Conapro. Le parti, peraltro, non avevano previsto la rinnovazione tacita del contratto alla scadenza pattuita del 31-3-1984, avendo subordinato la prosecuzione del rapporto alla conclusione delle trattative di cui all’art. 6 della convenzione, tanto più che l’affidamento ricevuto dalla Cooperativa scadeva il 31-3-1984.
Peraltro, seppure ciò non avrebbe escluso la rinnovazione per facta concludentia, sarebbe stato onere dell’attrice provare la natura e il contenuto del rapporto intercorso successivamente alla data del 31/3/1984, essendo stata tale rinnovazione sempre contestata dal convenuto. La Corte non aveva esaminato il testo della r/r dell’8 agosto 1986 con la quale la Cooperativa faceva riferimento a un rapporto professionale e non aveva considerato il comportamento del rappresentante legale dell’attrice che non si era presentato a rendere il libero interrogatorio: ritenendo implicitamente la trasformazione dell’appalto in un contratto di durata, i Giudici non avevano accertato quale sarebbe stata la durata del contratto prorogato, senza tenere conto che "dal 31 agosto 2005" il D. S. non aveva sostenuto più alcun esborso, con ciò dimostrando la sua volontà di non consentire ulteriori proroghe del rapporto stesso.
2.2.- Il terzo motivo lamenta – "violazione e falsa applicazione sotto altro profilo delle stesse norme e principi di cui al precedente motivo secondo nonchè dell’art. 1346, e segg., e di ogni altra norma e principio in materia di oggetto del contratto e prova dello stesso e della relativa pretesa da parte dell’attore, omessa ed insufficiente motivazione circa punti decisivi ella controversia (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5)". Deduce che, essendo il contenuto del contratto di subappalto determinato per relationem con riferimento all’incarico affidato dal Conapro alla Cooperativa fino alla scadenza del 31-3-1984, sarebbe stato onere dell’attrice provare il contenuto del contratto rinnovato per il periodo successivo alla scadenza, non essendo stato dimostrato se il contratto principale si fosse o meno prorogato.
2.3.- Il quarto motivo denuncia "violazione e falsa applicazione sotto altro profilo delle stesse norme e principi di cui ai precedenti motivi nonchè dell’art. 2697 c.c. e di ogni altra norma e principio in materia di onere della prova. omessa ed insufficiente motivazione circa punti decisivi della controversia (art. 360 c.p.c., nn. 3, e 5)".
Deduce l’incongruenza logica della sentenza impugnata laddove, nell’accogliere la tesi sostenuta dalla Cooperativa, condannando il ricorrente al rimborso del 50% degli oneri relativi all’esecuzione dei lavori per il periodo 1-9-1986/31-12-1986, aveva implicitamente ritenuto provato un rapporto di società paritario fra la Cooperativa ed esso ricorrente: il che non poteva avvenire neppure per facta concludentia, che comunque non erano provati.
In ogni caso, l’eventuale qualità di socio avrebbe potuto giustificare solo l’adempimento connesso a detta qualità.
La Corte di appello aveva emesso la statuizione di condanna senza che fosse provata la riferibilità dei pagamenti eseguito dalla Cooperativa ai lavori descritti nell’appalto.
2.4.- Il secondo, il terzo e il quarto motivo, che per la stretta connessione possono essere esaminati congiuntamente, vanno accolti nei limiti di quanto si dirà infra.
In primo luogo, la sentenza – nel ritenere che la possibilità di rinnovo del contratto con uno solo dei subappaltatori trovava fondamento nella convenzione – ha fondato tale convincimento evidentemente sulle espressioni contenute nella clausola n. 3 del contratto intercorso fra le parti (il testo del contratto è stato integralmente trascritto nel ricorso in ottemperanza al principio di autosufficienza), clausola che però fa chiaramente riferimento alla ipotesi di ulteriori e diversi lavori che di volta in volta fossero stati eventualmente affidati dalla Direzione e, dunque, non riguardava i lavori di manutenzione che costituivano l’oggetto del subappalto; quindi, si è limitata in modo assolutamente generico ad affermare che il contratto di subappalto si era tacitamente rinnovato per avervi il D.S. dato esecuzione per alcuni mesi successivi alla scadenza del 31-3-1984, pur avendo poi precisato che dalla metà del 1985 il medesimo non aveva rispettato gli impegni assunti.
Tenuto conto che l’attrice aveva chiesto l’adempimento di oneri relativi a tutto il 31-12-1986, sarebbe stato evidentemente necessario: a) esaminare la condotta tenuta dal D.S. in modo da chiarire la concludenza dei comportamenti tacitamente al riguardo posti in essere dal medesimo, per desumerne la tacita rinnovazione del contratto, tacita rinnovazione che peraltro – contrariamente a quanto al riguardo sostenuto dal ricorrente – non avrebbe potuto essere esclusa solo perchè le parti avevano previsto la possibilità di concordare il rinnovo, non essendo per il contratto prevista la forma scritta ad substantiam nè avendo le parti espressamente stabilito tale forma;
b)eventualmente, all’esito dell’indagine su a), stabilire il contenuto e la durata del contratto di subappalto rinnovato, posto che le pattuizioni in esso previste prevedevano la scadenza del 31/12/1984 ed erano determinate con riferimento a quanto previsto con il contratto di appalto intercoso fra la Cooperativa Napoli Nuova e il Conapro, contratto per il quale era stata, peraltro, prevista la scadenza del 31-3-1984.
La motivazione è assolutamente carente, non avendo i Giudici compiuto alcuna indagine volta ad accertare quanto sopra rilevato sub a) e b). Per quel che concerne il pagamento del rimborso degli oneri sostenuto dalla Cooperativa, la decisione impugnata non chiarisce nè l’oggetto di tali rimborsi nè i criteri in base ai quali è pervenuta a determinarli nella misura del 50% per il periodo 1/9/1986/ 31-12-1986, dovendo qui rilevarsi che la sentenza non fa alcun riferimento al rapporto societario che si sarebbe costituito a partire dal settembre 1986 – di cui alla censura formulata con il quarto motivo – e che anzi sembrerebbe contraddetto dall’accenno alla causale ("medesimo titolo), cioè al subappalto.
3.1.- Il quinto motivo denuncia "violazione e falsa applicazione dell’art. 1318 c.c. e di ogni altra norma e principio in materia di patti sociali che prevedano la partecipazione solo a costi e perdite e non a utili, omessa ed insufficiente motivazione circa punti decisivi della controversia (art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5)".
Deduce la nullità dell’eventuale patto societario intercorso con il D.S. che avrebbe previsto la partecipazione solo alle perdite e non agli utili.
3.2.- Il motivo è inammissibile, posto che introduce una questione – la esistenza della società e la invalidità dei patti sociali – che non risultano trattati dalla sentenza impugnata, che ha esaminato la domanda sotto il profilo della causa pretendi azionata (subappalto) e non ha mai fatto accenno all’esistenza di un rapporto societario.
La sentenza va cassata in relazione ai motivi accolti, con rinvio, anche per le spese della presente fase, ad altra sezione della Corte di appello di Napoli.

P.Q.M.

Accoglie il secondo, il terzo e il quarto motivo del ricorso per quanto in motivazione dichiara inammissibili gli altri, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese della presente fase, ad altra sezione della Corte di appello di Napoli.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 22 maggio 2012.
Depositato in Cancelleria il 11 luglio 2012

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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