Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 12-06-2012) 15-02-2013, n. 7584

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

-1- D.C.O. propone ricorso per cassazione, per mezzo del difensore, avverso l’ordinanza della Corte d’Appello di Milano, del 13 dicembre 2010, che ha respinto l’istanza, dallo stesso avanzata, di riparazione per l’ingiusta detenzione sofferta, in parte agli arresti domiciliari, essendo stato raggiunto da provvedimento restrittivo perchè imputato del delitto di violenza sessuale, aggravato ex art. 609 ter cod. pen., n. 4; reato dal quale è stato in seguito assolto.

La corte d’appello ha rigettato l’istanza, avendo ritenuto che il D. C., con la sua condotta gravemente colposa, aveva contribuito a dar causa al provvedimento restrittivo.

-2- Avverso tale decisione viene, dunque, proposto ricorso per cassazione, con il quale si deduce la violazione dell’art. 314 cod. proc. pen. con riguardo all’individuazione, in capo al ricorrente, di comportamenti ritenuti ostativi al riconoscimento del diritto alla riparazione.

-3- L’Avvocatura Generale dello Stato, costituitasi in giudizio nell’interesse del Ministero dell’Economia e delle Finanze, chiede dichiararsi inammissibile ovvero rigettarsi il ricorso.
Motivi della decisione

Il ricorso è infondato.

-1- In tema di riparazione per ingiusta detenzione, con riguardo all’an debeatur, questa Corte ha affermato che il giudice di merito deve verificare se chi l’ha patita vi abbia dato causa, ovvero vi abbia concorso, con dolo o colpa grave. A tal fine egli deve prendere in esame tutti gli elementi probatori disponibili, relativi alla condotta del soggetto, sia precedente che successiva alla perdita della libertà, al fine di stabilire se tale condotta abbia determinato, ovvero anche contribuito a determinare, la formazione di un quadro indiziario che ha provocato l’adozione o la conferma del provvedimento restrittivo. Di guisa che non ha diritto all’equa riparazione per la custodia cautelare sofferta chi, con il proprio comportamento, anteriore o successivo alla privazione della libertà personale (o, in generale, a quello della legale conoscenza di un procedimento penale a suo carico), abbia dato o concorso a darvi causa per dolo o colpa grave attraverso comportamenti specifici, nei cui confronti dovrà essere accertato il rapporto, ancorato a dati certi e non congetturali, con il provvedimento restrittivo.

La medesima Corte ha ancora affermato che la valutazione di tali comportamenti deve essere eseguita non rapportandosi ai canoni di giudizio propri del processo penale, che è diretto ad accertare se la condotta dell’imputato costituisca reato, bensì a quelli propri del procedimento di equa riparazione, che è diretto ad accertare se talune condotte abbiano quantomeno concorso a determinare l’adozione del provvedimento restrittivo; valutazione che deve essere, ovviamente, accurata ed approfondita, di guisa che la decisione adottata rappresenti il risultato di un procedimento logico-giuridico chiaramente esplicitato e coerente rispetto agli elementi oggetto di esame. In tale contesto, assumono rilievo anche i comportamenti di tipo processuale, e dunque esterni ai temi d’imputazione, tenuti dall’imputato che, essendo a conoscenza del procedimento a suo carico, si comporti, nel difendersi, in maniera contraddittoria, tale da suscitare o accentuare il sospetto di una sua partecipazione al delitto, ovvero con rilevante imprudenza e grossolana incuria.

-2- Orbene, a tali principi, che questa Corte pienamente condivide, si è attenuta la corte territoriale che ha ritenuto, sulla base di quanto emerso in sede di indagini, con motivazione adeguata sotto il profilo logico e nel rispetto della normativa di riferimento, che la condotta del richiedente avesse contribuito ad ingenerare, sia pure in presenza di errore dell’autorità inquirente, la rappresentazione di una condotta illecita dalla quale è scaturita, in rapporto di causa-effetto, la detenzione ingiustamente sofferta.

In particolare, il comportamento ostativo del D.C., nei termini indicati dall’art. 314 cod. proc. pen., è stato dal giudice della riparazione legittimamente individuato nel fatto che, secondo quanto sostenuto nella stessa sentenza assolutoria, l’odierno ricorrente si era reso responsabile di ripetuti episodi di molestia sessuale su donne ricoverate nel reparto psichiatrico ove anch’egli era degente ed anche su una donna addetta alle pulizie.

Comportamenti, connotati da "dolo", che hanno avuto diretta efficacia sinergica nella applicazione della misura custodiale, avendo il Gip ritenuto che essi costituissero significativi riscontri alle accuse rivolte al D.C. dalla persona offesa.

Legittimamente, d’altra parte, il giudice della riparazione ha dato rilievo a comportamenti tenuti dall’odierno ricorrente nei confronti di soggetti diversi dalla persona offesa, posto che ciò che rileva, ai fini della verifica della sussistenza di elementi ostativi al riconoscimento del diritto all’indennizzo, è che la condotta del richiedente, qualunque essa sia e chiunque ne sia il destinatario, abbia, con valutazione ex ante, determinato, o contribuito a determinare, l’adozione del provvedimento restrittivo.

– 3 – Il ricorso deve essere, quindi, rigettato ed il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali. Sussistono ragioni per disporre la compensazione, tra le parti, delle spese del presente giudizio.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Compensa le spese tra le parti.

Così deciso in Roma, il 12 giugno 2012.

Depositato in Cancelleria il 15 febbraio 2013

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