Cass. civ. Sez. II, Sent., 11-07-2012, n. 11734 Opposizione

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Svolgimento del processo

Con decreto ingiuntivo del 21/7/1990 il Presidente del Tribunale di Lecce ingiungeva alla XXX S.p.A. di pagare alla XXX s.a.s. la somma di L. 254.689.372 oltre interessi e spese, a titolo di provvigioni; avverso tale decreto proponeva opposizione la XXX S.p.A. e la XXX s.a.s. si costituiva per chiedere il rigetto dell’opposizione.
Con citazione del 7/2/1992 la XXX s.a.s. conveniva in giudizio la XXX S.p.A. e, sul presupposto di colpevoli inadempienze della preponente, ne chiedeva la condanna al pagamento di tutte le indennità previste dall’accordo economico collettivo nazionale e cioè l’indennità di preavviso, l’indennità di clientela e l’indennità di risoluzione che essa aveva riscosso solo in parte dal Fondo Indennità risoluzione dell’Enasarco, oltre alle provvigioni non pagate da Novembre 1988 fino al Maggio 1989.
XXX S.p.A. sì costituiva e contestava in toto le attoree domande chiedendo, in via riconvenzionale la risoluzione del contratto per inadempimento della XXX s.a.s..
La due cause erano riunite.
Con sentenza del 14/9/2001 il Tribunale di Lecce, quanto all’opposizione a decreto ingiuntivo, accoglieva la domanda di pagamento delle provvigioni oltre interessi al tasso ufficiale di sconto, ma rigettava le ulteriori domande della XXX relative al risarcimento danno conseguente alla risoluzione per inadempimento della preponente, escludendo il dedotto inadempimento e quelle relative al pagamento delle indennità dovute per i contratti di agenzia a tempo indeterminato escludendo che il rapporto fosse a tempo indeterminato.
XXX proponeva appello al quale resisteva XXX S.p.A..
La Corte di appello di Lecce con sentenza 11/4/2005 rigettava l’appello condannando l’appellante, in quanto soccombente, al pagamento delle spese del grado;
La Corte rilevava:
che il motivo di appello diretto ad affermare l’esistenza di un rapporto di agenzia a tempo indeterminato, invece escluso dal primo giudice, era infondato perchè:
a) la trasformazione del contratto a tempo determinato in contratto a tempo indeterminato non era ricollegabile alla mera continuazione del rapporto e non si poteva applicare, ratione temporis, il riformato art. 1750 c.c.;
b) i contratti di agenzia stipulati tra le parti erano assolutamente autonomi e distinti, ciascuno della durata di un anno e non era mai stata prevista la rinnovazione tacita, anzi esclusa espressamente dalla formulazione della clausola relativa alla loro durata che non prevedeva il rinnovo automatico, ma solo la possibilità di rinnovo, mentre la previsione della facoltà di recesso previo preavviso di sei mesi non era collegata ad un rinnovo tacito in mancanza di preavviso;
c) non era provata la volontà di dissimulare un rapporto a tempo indeterminato;
d) le singole pattuizioni contrattuali non si riproducevano sempre eguali nei vari contratti, ma talvolta erano modificate;
che pertanto non erano dovute le indennità di clientela, preavviso, risoluzione rapporto previste dall’accordo economico collettivo solo per i rapporti a tempo indeterminato, accordo che, peraltro neppure era richiamato nei contratti e neppure applicabile per l’attività di agente svolta all’estero, come nella specie;
che il motivo di appello relativo alla residua indennità di risoluzione rapporto che non era stata accantonata al Fondo indennità risoluzione presso l’ENASARCO sulle provvigioni non riconosciute e non pagate dalla preponente, era inammissibile in quanto domanda nuova; infatti, solo precisando le conclusioni l’attrice aveva chiesto l’indennità sulle provvigioni mai fatturate sulle quali XXX non aveva operato gli accantonamenti, mentre in precedenza aveva chiesto l’indennità di risoluzione prevista dall’AEC in caso di risoluzione non imputabile all’agente; in ogni caso, secondo la Corte territoriale, le somme non accantonate non potevano essere corrisposte direttamente all’agente al quale sarebbe spettata solo un’azione risarcitoria per il pregiudizio alla sua posizione assicurativa;
– che il motivo di appello relativo alla decorrenza degli interessi al TUS dalla domanda giudiziale invece che dalle anteriori e più vantaggiose scadenze (90 giorno successivo alla scadenza del trimestre di riferimento per le singole provvigioni) previste dall’AEC era infondato perchè tale più favorevole decorrenza era prevista solo dall’accordo collettivo di categoria non applicabile alla fattispecie in quanto non applicabile direttamente ai contratti a tempo determinato, non richiamato nei contratti per cui è causa e, infine, anche perchè gli accordi collettivi di categoria spiegano la loro efficacia, di regola, solo all’interno del territorio nazionale e non sono applicabili alle prestazioni eseguite all’estero; il giudice di primo, grado, quindi correttamente aveva fatto decorrere gli interessi dalla domanda, mentre, quanto alla misura degli interessi, calcolati al tasso ufficiale di sconto, la statuizione non poteva essere modificata perchè era mancato appello incidentale della preponente;
che il motivo di appello relativo al mancato riconoscimento della rivalutazione monetaria sul credito era infondato perchè la rivalutazione non poteva derivare dalla mera presunzione della destinazione delle somme dovute a impieghi produttivi, ma occorreva la dimostrazione, non fornita, della difficoltà di svolgere un’attività di proficuo impiego per la mancata disponibilità del denaro.
Propongono ricorso affidato a cinque motivi i seguenti soggetti:
– la s.a.s. XXX che si dichiara sciolta senza liquidazione con scrittura privata autenticata del 21/12/2004 con assegnazione delle sopravvenienze attiva ai soci L.L., L.S. e Lu.Or.;
– i predetti soci assegnatari L.L., L.S. e Lu.Or..
Resiste con controricorso XXX S.p.A..

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo così testualmente rubricato "errore di diritto nella qualificazione giuridica del contratto di agenzia a tempo determinato" i ricorrenti deducono che il rapporto di agenzia si era protratto dal 1978 al 1989 in forza di contratti dai contenuti sostanzialmente identici e sostanzialmente riferibili agli stessi soggetti, con clausola di rinnovazione tacita; pertanto la Corte territoriale avrebbe dovuto considerare questa circostanza come espressione della volontà di stipulare un contratto a tempo determinato dissimulato dalla pluralità di contratti a tempo determinato.
1.1. Il motivo è inammissibile: essendo dedotta la violazione di norme di diritto, non sono indicate (nè in rubrica, nè nell’illustrazione del motivo) le norme di diritto sulle quali il motivo è fondato, come invece prescritto a pena di inammissibilità dall’art. 366 c.p.c., n. 4.
Ove si volesse ravvisare la violazione delle norme sull’interpretazione dei contratti (art. 1362 c.c., e segg.) e la mancata indagine sulla comune intenzione delle parti (art. 1362 c.c., comma 1) il motivo sarebbe comunque infondato in quanto la Corte di Appello ha tenuto conto della comune intenzione delle parti individuando 4 elementi (v. supra, nello svolgimento delle processo alle lettere a, b, e, d)significativi della volontà di stipulare contratti a tempo determinato.
2. Con il secondo motivo, così testualmente rubricato "errore di diritto nella valutazione della domanda relativa all’indennità di risoluzione del rapporto" i ricorrenti lamentano il mancato accoglimento della domanda di pagamento dell’indennità di risoluzione del rapporto in quanto il giudice di appello avrebbe ingiustamente qualificato la domanda di pagamento dell’indennità di risoluzione del rapporto non accantonata presso il FIRR, formulata in sede di precisazione delle conclusioni, come domanda nuova, mentre il credito per gli accantonamenti non effettuati sarebbe stato accertato solo in corso di causa, con la CTU che aveva determinato gli importi delle provvigioni non pagate sulle quali dovevano essere accantonate delle somme che avrebbero dovute essere versate al FIRR e che non essendo versate, dovevano essere pagate direttamente all’agente.
2.1 Il motivo è inammissibile: essendo dedotta la violazione di norme di diritto, non sono indicate (nè in rubrica, nè nell’illustrazione del motivo) le norme di diritto sulle quali il motivo è fondato, come invece prescritto a pena di inammissibilità dall’art. 366 c.p.c., n. 4.
Ove si volesse ravvisare, nel motivo, una censura sull’interpretazione della domanda formulata in sede di precisazione delle conclusioni come domanda nuova e, quindi, la violazione di una norma processuale per il mancato esame della domanda nel merito, il motivo sarebbe manifestamente infondato in quanto è sicuramente diversa la causa petendi di una domanda diretta ad ottenere dalla preponente l’indennità di risoluzione rapporto dovuta per un accordo collettivo, dalla domanda di restituzione di somme accantonate e non versate al FIRR che, quindi, alla fine del rapporto devono essere corrisposte direttamente all’agente (operando la ritenuta d’acconto).
3. Con il terzo motivo, così testualmente rubricato "errore di diritto nella determinazione della decorrenza degli interessi sulle provvigioni oggetto di condanna" i ricorrenti deducono che in primo grado era stata riconosciuta, quanto agli interessi sulle provvigioni non pagate, l’applicabilità dell’art. 7 dell’AEC vigente nel 1988, che prevede gli interessi al tasso ufficiale di sconto dal 90 giorno successivo alla scadenza del trimestre di riferimento delle singole provvigioni; tuttavia, quanto alla decorrenza, l’accordo collettivo non era stato rispettato perchè gli interessi erano stati fatti decorrere dalla data della domanda giudiziale; la contestazione di controparte sulla non applicabilità dell’AEC era tardiva e la decisione era contraddittoria perchè, quanto alle somme oggetto di opposizione a decreto ingiuntivo era stata riconosciuta la diversa decorrenza stabilita dall’accordo collettivo.
3.1 Il motivo è infondato in quanto il giudice di appello ha motivatamente rilevato l’inapplicabilità, al rapporto di agenzia de quo, dell’accordo collettivo di categoria, applicabile solo ai contratti a tempo determinato e non richiamato nei contratti per cui è causa, nè risulta che in grado di appello sia stata contestata la novità della deduzione difensiva sollevata dalla preponente e relativa all’inapplicabilità dell’accordo; non sussiste alcuna contraddittorietà nella decisione di appello quanto al riconoscimento del tasso di interesse di cui all’accordo collettivo e la contestazione della decorrenza dell’interesse prevista dallo stesso accordo perchè la Corte di appello ha specificato che non poteva modificare il tasso di interesse applicato in primo grado per la mancanza di un motivo di gravame sul punto, mentre poteva esaminare il motivo relativo alla decorrenza.
4. Nel quarto motivo i ricorrenti non indicano nè quale motivo di ricorso (tra quelli indicati all’art. 360 c.p.c.), intendono proporre, nè quali sarebbero le norme violate, nè per quali motivi in concreto chiedono la cassazione della sentenza, ma si limitano a rilevare che la sentenza appellata, quanto alla spettanza della rivalutazione monetaria sulle somme dovute per provvigioni, aveva ritenuto non provato il maggior danno, mentre, tenuto conto che l’agente era un imprenditore, "tali denari, se pagati al tempo dovuto, avrebbero presumibilmente avuto un impiego più che fruttifero nell’impresa di agenzia".
Appare, dunque, evidente l’inammissibilità del motivo sia perchè non sono indicate (nè in rubrica, nè nell’illustrazione del motivo) le norme di diritto sulle quali il motivo è fondato, come invece prescritto a pena di inammissibilità dall’art. 366 c.p.c., n. 4, sia perchè, ove si volesse ravvisare la denuncia di un vizio di motivazione, non è stato indicato in cosa la motivazione sarebbe insufficiente, omessa o contraddittoria, ma si è manifestato un semplice dissenso rispetto alla decisione della Corte territoriale.
5. Con il quinto motivo i ricorrenti deducono, testualmente "elusione della domanda di appello in punto spese processuali" e lamentano che la Corte di appello ha omesso ogni statuizione sul motivo di appello relativo all’erronea applicazione delle norme sulle spese processuali; deduce che la compensazione per metà delle spese di primo grado sarebbe illegittima in quanto violerebbe il disposto dell’art. 92 c.p.c., tenuto conto che le domande della XXX s.a.s.
erano state in prevalenza accolte e che la domanda riconvenzionale della XXX era stata respinta.
5.1 Il motivo è infondato in quanto la sentenza di appello rigettando integralmente l’impugnazione ha rigettato anche la censura sulla parziale compensazione delle spese e, nel merito, il rigetto è ampiamente giustificato dalla parziale soccombenza della stessa appellante che, infatti, proprio in quanto soccombente aveva proposto appello, poi rigettato, come si desume dal tenore complessivo della sentenza.
6. Il conclusione il ricorso deve essere rigettato con la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti a pagare alla controricorrente XXX S.p.A. le spese di questo giudizio di cassazione che liquida in Euro 5.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali e accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 8 maggio 2012.
Depositato in Cancelleria il 11 luglio 2012

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