Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 11-02-2013) 18-02-2013, n. 7913

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con sentenza in data 6 febbraio 2012 il Tribunale di Massa, in composizione monocratica, ha assolto C.G. dal reato previsto dall’art. 660 cod. pen., perchè il fatto non costituisce reato.

Al C. era stato contestato di avere, col mezzo del telefono cellulare, per petulanza o altro biasimevole motivo, arrecato molestia e disturbo a Ca.El., indirizzandole continue telefonate nel periodo temporale compreso tra il (OMISSIS).

Ad avviso del Tribunale, era plausibile quanto dichiarato dal C., il quale non aveva negato di aver chiamato con il suo telefono cellulare l’utenza mobile nella disponibilità della Ca., come emerso anche dall’acquisito tabulato della TIM attestante nove chiamate ravvicinate, due telefonate ed una sola chiamata, rispettivamente, nei giorni (OMISSIS), e, tuttavia, aveva attribuito tali contatti ad un errore nella trascrizione del numero telefonico di un’altra persona, indicata in F.V. di (OMISSIS), con la quale aveva avuto una relazione sentimentale, errore di cui si era avveduto solo dopo le plurime telefonate alla Ca., rimaste senza risposta, desistendo pertanto da ulteriori tentativi.

Tale tesi difensiva, secondo il Tribunale, era avvalorata dalla concentrazione delle telefonate in soli tre giorni, dall’ (OMISSIS), molto ravvicinate tra loro solo nel primo giorno e, quindi, più rare fino a cessare del tutto, e dalla durata di esse probabilmente protratta dall’abbandono dell’apparecchio da parte della Ca., infastidita di ricevere chiamate da un’utenza sconosciuta.

Profilandosi, dunque, il dubbio che il C. avesse ritenuto in buona fede che l’utenza nella disponibilità della Ca. fosse utilizzata da altra persona da lui conosciuta e avesse insistito nelle chiamate solo perchè non si era rappresentato immediatamente le ragioni del mancato contatto con la persona cercata, si imponeva l’assoluzione dell’imputato, a norma dell’art. 530 c.p.p., comma 2, per difetto dell’elemento psicologico del reato ascrittogli ovvero perchè il fatto non costituisce reato.

2. Avverso la suddetta sentenza ha proposto ricorso a questa Corte il Procuratore generale della Repubblica presso la Corte di appello di Genova, il quale, con unico motivo, deduce il vizio della motivazione anche nel profilo del travisamento della prova e la violazione dell’art. 192 cod. proc. pen. e degli artt. 82 e 660 cod. pen., segnalando con riguardo a quest’ultime norme, l’esistenza di un contrasto nella giurisprudenza di legittimità.

2.1. La sentenza impugnata violerebbe l’art. 192 cod. proc. pen. perchè il dubbio ragionevole che legittima la decisione assolutoria deve fondarsi sulle prove raccolte e non sulle mere allegazioni dell’imputato rimaste, nel caso in esame, senza alcun riscontro, non avendo il C. dimostrato, pur essendovi tenuto, il dichiarato errore nel l’aver scambiato il numero telefonico della F. con quello della Ca., e non avendo il suo presunto rapporto con la F. formato oggetto di alcuna istruzione e, neppure, di deduzione probatoria, donde l’illegittimità della pronuncia e la carenza motivazionale su un elemento di sicura rilevanza, con complessiva illogicità della decisione.

2.2. La sentenza impugnata avrebbe, inoltre, violato l’art. 82 cod. pen., in tema di aberrano ictus, con riguardo all’art. 660 cod. pen..

E, al riguardo, il ricorrente contesta un orientamento della giurisprudenza di legittimità, rimasto peraltro isolato, secondo il quale la disciplina dell’aberratio ictus non sarebbe applicabile alla fattispecie criminosa prevista dall’art. 660 cod. pen. (sentenza n. 36225 del 2007 relativa al ripetuto invio di messaggi di contenuto omosessuale al telefono cellulare di persona diversa da quella cui l’autore dei messaggi intendeva indirizzarli).

La natura dolosa della contravvenzione prevista dall’art. 660 cod. pen. renderebbe pienamente compatibile con essa la disposizione di cui all’art. 82 cod. pen., poichè rispetto alla persona offesa per errore sussiste comunque la volontà lesiva dell’agente non vanificata dallo scambio di persona, così come l’offesa del bene- interesse tutelato dalla norma penale, senza che si configuri il rischio di una responsabilità oggettiva come erroneamente ritenuto nel suddetto precedente giurisprudenziale,rimasto peraltro minoritario.
Motivi della decisione

1. Il ricorso deduce espressamente, oltre alla inosservanza dell’art. 82 in relazione all’art. 660 cod. pen., a norma dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), anche il vizio della motivazione sotto il profilo del travisamento della prova e della motivazione illogica e mancante, ai sensi dello stesso art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), come da esposizione che precede.

Ne discende, a norma dell’art. 569 c.p.p., comma 3, che non ammette il ricorso immediato per cassazione nei casi previsti dall’art. 606, comma 1, lett. d) ed e), la conversione del ricorso in appello.

2. Gli atti vanno, pertanto, trasmessi alla competente Corte di appello di Genova per il giudizio sull’impugnazione proposta dal pubblico ministero.
P.Q.M.

Converte il ricorso in appello e dispone la trasmissione degli atti alla Corte di appello di Genova per il giudizio di secondo grado.

Così deciso in Roma, il 11 febbraio 2013.

Depositato in Cancelleria il 18 febbraio 2013

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *