Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 04-02-2013) 18-02-2013, n. 7939

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con sentenza in data 31 ottobre 2010 il Tribunale di Genova ha applicato, su richiesta delle parti ex art. 444 cod. proc. pen., la pena di mesi cinque e giorni dieci di reclusione a K.N. per il reato di cui al D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 14, comma 5 ter, (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, abbreviato in T.U. imm.).

Al prevenuto era stato contestato di essersi trattenuto, senza giustificato motivo, nel territorio dello Stato dove fu sorpreso, in (OMISSIS), in violazione dell’ordine di allontanamento impartitogli, ai sensi del cit. D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 14, comma 5 bis, dal Questore di Genova, notificatogli il 20 gennaio 2010.

2. Avverso la suddetta sentenza ha proposto ricorso a questa Corte l’imputato personalmente, il quale, con unico motivo, deduce la nullità della sentenza per erronea applicazione di norme sostanziali e per difetto di motivazione.
Motivi della decisione

1. La sentenza impugnata va annullata ai sensi dell’art. 2 cod. pen..

Le fattispecie di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 14, comma 5 ter e comma 5 quater, che puniscono la condotta di ingiustificata inosservanza, rispettivamente, del primo e del reiterato ordine di allontanamento del questore, ancorchè poste in essere prima della scadenza del termine del 24 dicembre 2010, previsto per il recepimento della direttiva 2008/115/CE del Parlamento europeo e del Consiglio dei 16 dicembre 2008, devono considerarsi non più applicabili nell’ordinamento interno a seguito della pronuncia della Corte di giustizia U.E. 28.4.2011 (nell’ambito del processo El Dridi, C-61/11PPU), che ha affermato l’incompatibilità della norma incriminatrice suddetta con la disciplina comunitaria, determinando effetti sostanzialmente assimilabili alla "abolitio criminis", con la conseguente necessità di dichiarare, nei giudizi di cognizione, che il fatto non è più previsto dalla legge come reato, e fare ricorso in sede di esecuzione – per via di interpretazione estensiva- alla previsione dell’art. 673 cod. proc. pen. (c.f.r. le conformi sentenze di questa Sez. 1, in data 28/04/2011, n. 22105 e in data 29/04/2011, n. 20130).

2. Il D.L. 23 giugno 2011, n. 89, convertito con modificazioni in L. 2 agosto 2011, n. 129 – recante "Disposizioni urgenti (…) per il recepimento della direttiva 2008/115/CE sul rimpatrio dei cittadini di Paesi terzi irregolari", ha novato le fattispecie, sostanzialmente confermando l’intervenuta abolitio criminis. La nuova formulazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 14, comma 5 ter e comma 5 quater, introdotta con l’intervento normativo suindicato, non realizza infatti una continuità normativa con le precedenti disposizioni, non soltanto per lo iato temporale intercorrente con l’effetto della direttiva, ma anche per la diversità strutturale dei presupposti e la differente tipologia delle condotte necessarie ad integrare gli illeciti delineati e delle corrispondenti sanzioni. Sul punto è sufficiente ricordare che, oggi, alla intimazione di allontanamento si può pervenire solo all’esito infruttuoso dei meccanismi agevolatoli della partenza volontaria ed allo spirare del periodo di trattenimento presso un centro a ciò deputato (Centro di identificazione ed espulsione, abbreviato in CIE). Il decreto legge citato ha istituito, dunque, nuove incriminazioni applicabili solo ai fatti verificatisi dopo l’entrata in vigore della novella.

L’intervenuta abolitio criminis impone di risolvere il problema che si pone nella presente fattispecie, connotata dalla particolarità della inammissibilità del ricorso (avendosi riguardo a sentenza di applicazione della pena richiesta dalla stesso imputato, con motivazione che, ancorchè succinta, sarebbe in astratto adeguata ai parametri richiesti per tale genere di decisioni), nel senso che l’incompatibilità normativa è destinata a prevalere anche sulla causa di inammissibilità del ricorso, in quanto alla impossibilità di rilevare cause di non punibilità in costanza di ricorso inammissibile, resistono le ipotesi di successione di leggi, riconducibili all’art. 2 cod. pen.. La nozione di condanna, ricavabile da tale norma in combinato con l’art. 673 cod. proc. pen., deve essere ricondotta al giudicato formale e ciò comporta che, fin tanto che esso non si è formato, spetta al giudice della cognizione prendere atto, in particolare, della intervenuta abolitio criminis e annullare la condanna per fatto divenuto privo di rilievo penale (conformi: Sez. 5, n. 39767 del 27/09/2002, dep. 26/11/2002, Buscemi, Rv. 225702, relativa proprio ad una sentenza di applicazione della pena su richiesta; Sez. U, n. 25887 del 26/03/2003, dep. 16/06/2003, Giordano, Rv. 224606, con riguardo ad un più complesso caso di successione di leggi con effetto parzialmente abrogativo del reato oggetto di condanna).

3. Segue l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata perchè il fatto non è più previsto dalla legge come reato.
P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perchè il fatto non è previsto dalla legge come reato.

Così deciso in Roma, il 4 febbraio 2013.

Depositato in Cancelleria il 18 febbraio 2013

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