Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 22-01-2013) 18-02-2013, n. 7931

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con ordinanza resa il 12 luglio 2012 il Tribunale del riesame di Napoli respingeva l’istanza di riesame proposta da D. A. avverso l’ordinanza del G.I.P. dello stesso Tribunale, che in data 4 giugno 2012 gli aveva applicato la misura coercitiva della custodia in carcere perchè gravemente indiziato del delitto di cui all’art. 416 bis cod. pen. per avere, unitamente ad altri soggetti, fatto parte di una associazione per delinquere di stampo camorristico, denominata clan Pianese sino al decesso di P. N. ed in seguito clan D’Alterio-Pianese, fatto commesso in (OMISSIS) con condotta permanente nel (OMISSIS) (capo A).

1.1 Il Tribunale, premesso che l’esistenza e l’operatività nella zona settentrionale di Napoli di un’organizzazione camorristica, denominata clan Pianese ed in seguito clan D’Alterio-Pianese, era dimostrata da precedenti provvedimenti giudiziali irrevocabili, ravvisava il quadro di gravità indiziaria a carico del D. sulla scorta della chiamata in correità provenienti dal collaboratore di giustizia C.G., già affiliato allo stesso clan camorristico, che l’aveva indicato come soggetto dedito all’attività usuraria ed al cambio di assegni per conto del clan, legato da vincoli di affinità a P.N.R., col quale era solito accompagnarsi in automobile, e degli esiti delle operazioni d’intercettazione di messaggi e conversazioni, dai quale era stato ricostruito il suo coinvolgimento nelle ricerche di S.A., esponente del clan rivale D.R. ed in seguito ucciso, al fine di individuare il nascondiglio del capo di detta fazione, D.R.P..

1.2 In ordine alle esigenze cautelari, riteneva che la permanenza sino al momento attuale del sodalizio giustificasse la presunzione di cui all’art. 275 cod. proc. pen., comma 3.

2. Avverso tale ordinanza propone ricorso per cassazione l’indagato a mezzo dei suoi difensori, che deducono violazione di legge e vizio di motivazione in relazione sia al quadro indiziario, che alle esigenze cautelari.

2.1 Assumono che il Tribunale non aveva affrontato il tema dell’intrinseca attendibilità del collaboratore di giustizia C., che l’ordinanza genetica aveva trattato mediante rinvio a valutazioni condotte in altri procedimenti in assenza di propri autonomi rilievi, mentre il Tribunale aveva omesso di affrontare specifiche contestazioni difensive sul fatto che il predetto C. dopo ventidue interrogatori avesse accusato il D. soltanto in quello dell’8/9/2009 senza riconoscerlo in fotografia, nè averlo coinvolto nella commissione di condotte di usura e cambio di assegni, per cui le sue propalazioni dovevano ritenersi tardive, non spontanee, non reiterate e generiche e non confermate nemmeno dalle intercettazioni, dalle quali emergono episodi del tutto differenti rispetto a quanto raccontato dal C., che però hanno ricevuto una spiegazione logica e verosimile nelle dichiarazioni spontanee dello stesso indagato circa il prestito saltuario del proprio cellulare al P.che ne era sprovvisto.

Inoltre, in merito alle esigenze cautelari si sostiene che la giustificazione della presunzione relativa imposta dall’art. 275 cod. proc. pen. in forza della permanenza all’attualità del sodalizio camorristico non tiene conto che nella stessa imputazione il clan Pianese risulta sciolto e quello D’Alterio-Pianese fortemente depotenziato per l’arresto di tutti i capi ed organizzatori, per cui nei suoi confronti in concreto non era configurabile alcuna pericolosità sociale per l’irripetibilità della condotta, il ruolo marginale rivestito, l’assenza di precedenti e di carichi pendenti.
Motivi della decisione

Il ricorso è fondato e merita accoglimento.

1. In primo luogo rileva questa Corte che le doglianze riguardanti il giudizio di attendibilità intrinseca del collaboratore di giustizia C.G., autore di una chiamata in correità a carico del ricorrente, risultano formulate per la prima volta col ricorso per cassazione, dal momento che in sede di riesame la difesa aveva, dapprima formulato soltanto la relativa richiesta senza corredarla di alcun motivo, e nel corso dell’udienza celebrata davanti al Tribunale di Napoli l’avv.to Russo aveva contestato la sussistenza dei gravi indizi sotto il solo profilo della non convergenza tra le dichiarazioni del C. e gli altri elementi indiziari raccolti.

Nè vi ha proceduto l’indagato, pur presente personalmente all’udienza, ed autore di dichiarazioni spontanee, con le quali aveva affermato di avere sovente prestato il proprio cellulare a P. N. e prospettato una causale lecita per le richieste rivolte ad un soggetto col quale aveva scambiato comunicazioni telefoniche.

2. Non può quindi contestarsi in sede di legittimità pretese carenze motivazionali rispetto rilievi difensivi non prospettati al Collegio del riesame, il quale ha del resto ritenuto di condividere le argomentazioni dell’ordinanza genetica circa il positivo esito della verifica di attendibilità del collaboratore di giustizia C., già resa in altri procedimenti e confermata nel presente in forza dell’analisi diretta del suo contributo conoscitivo e dei suoi comportamenti.

3. Piuttosto va rilevato che la struttura ed il percorso argomentativo dell’ordinanza impugnata presentano carenze e vizi logici quanto alla valutazione del requisito della gravità indiziaria.

3.1 Il Tribunale ha assegnato rilevanza decisiva alle dichiarazioni del collaboratore di giustizia C.G., il quale, dopo avere riconosciuto in fotografia D.A., lo ha indicato come il cognato di P.N.R. in quanto fidanzato con la sorella di F., quest’ultima fidanzata col P., ed appartenente al clan Pianese-D’Alterio, nel cui ambito si era occupato di usura e del cambio degli assegni, oltre che di custodire il denaro provento delle estorsioni, da destinare poi al pagamento degli stipendi degli associati.

3.2 A fronte di tale narrato, il Tribunale ha citato parzialmente le conversazioni intercettate, nemmeno riprodotte nella loro totalità rispetto a quanto riportato nell’ordinanza genetica, e ne ha offerto un’interpretazione lacunosa ed a tratti incomprensibile, in quanto:

ha trascritto il testo di un "sms" partito dall’utenza cellulare intestata al ricorrente ove si specificava un modello di vettura Fiat Panda 4×4 di colore grigio, messaggio in risposta ad una richiesta avanzata da Ca.Do. in altra comunicazione, non citata, senza curarsi di specificare da quali elementi i riferimenti, sottintesi e criptici, riguarderebbero la persona di S. A., e quindi le ragioni del collegamento tra la sua individuazione e la sua soppressione che sarebbe avvenuta a sei mesi di distanza. Ha quindi ripreso un successivo dialogo telefonico tra il Ca. ed il cugino B. con la richiesta del primo affinchè il secondo si recasse ad un appuntamento per ricevere un"’imbasciata", che ha ricollegato alle istruzioni di seguire a distanza quel soggetto di cui aveva parlato col D..

3.3 Da tali premesse ha ricavato la conclusione che costui si fosse trovato in auto col P., elemento apicale del clan, ed avesse dato istruzioni ad altri componenti dello stesso gruppo criminoso per pedinare un esponente del clan rivale al fine di individuare il nascondiglio del di lui capo D.R.P.. Come già contestato dalla difesa e dal ricorrente personalmente sin dalla fase del riesame, la lettura delle tre comunicazioni intercettate è tutt’altro che univoca e logica, presenta delle conclusioni in chiave accusatoria circa la collaborazione del D. nel compimento di attività criminose che è congetturale ed affatto consequenziale con le premesse poste, ma soprattutto non corrisponde sotto alcun profilo con quanto riferito dal C., non potendosi rinvenire, per come esposto nell’ordinanza impugnata, la stabile appartenenza del D. al clan Pianese, la sua messa a disposizione in modo continuativo e consapevole per l’attuazione del programma criminoso del gruppo camorristico e nemmeno l’espletamento delle mansioni specificate dal collaboratore di giustizia. Infatti, anche tenuto conto del vaglio conducibile nel giudizio d’impugnazione cautelare, l’ordinanza assegna valore sintomatico dell’appartenenza al sodalizio camorristico a comportamenti, deducibili dalle intercettazioni, ma suscettibili di essere egualmente interpretati come estemporanei e limitati a quell’occasione e giustificati dai rapporti personali intrattenuti col P..

Di fronte a suddette emergenze, risulta ingiustificata e priva di coerenza logica la conclusione, raggiunta dal Tribunale della convergenza tra le dichiarazioni del C. e quei brani criptici, citati parzialmente e commentati in modo apodittico, delle comunicazioni intercettate, sicchè l’ordinanza non da conto dell’esistenza di indizi a carico dell’indagato di tale spessore da integrare il presupposto di cui all’art. 273 cod. proc. pen..

3.4 Giova ricordare che la giurisprudenza di questa Corte ha affermato (Cass. S.U. n. 36267 del 30/5/2006, PG. in proc. Spennato, rv. 234598; sez. 1, n. 11058 del 2/3/2010, Abbruzzese, rv. 246790;

sez. 1, n. 19517 dell’1/4/2010, Iannicelli, rv. 247206 sez. 5, n. 18097 del 13/4/2010, P.M. in proc. Di Bona, rv. 247147), che ai fini dell’adozione di una misura cautelare personale, le dichiarazioni rese dal coindagato o coimputato possono costituire grave indizio di colpevolezza ai sensi dell’art. 273 cod. proc. pen., commi 1 e 1-bis, soltanto a condizione che, oltre ad essere intrinsecamente attendibili, siano riscontrate da elementi esterni individualizzanti, ovvero da elementi di qualsiasi natura, anche logica, i quali, sebbene sforniti di autonoma capacità dimostrativa, riguardino la persona del chiamato e, confermando la chiamata in correità, siano dotati di attitudine dimostrativa dell’elevata probabilità di reità in ordine al fatto di reato ipotizzato dall’accusa. A tal fine non è richiesta una perfetta corrispondenza di contenuto tra le informazioni del chiamante in correità e gli elementi che devono fungere da riscontro, in quanto il "thema decidendum" è quello della responsabilità in ordine alla specifica condotta criminosa che, nel caso di un delitto associativo, consiste nella stabile e volontaria partecipazione del soggetto alla struttura organizzata del sodalizio con condivisione degli scopi perseguiti. Pertanto, non rileva che le dichiarazioni dei collaboratori non siano coincidenti con l’elemento di riscontro quanto alle stesse circostanze o alle singole attività attribuite all’accusato, perchè non sono queste a dover essere dimostrate, ma il fatto della partecipazione al sodalizio, che i singoli comportamenti tenuti possono valere a provare come elementi sintomatici (Cass. sez. 1 n. 22853 del 9/5/2006, Liang, rv. 234890;

sez. 1, n. 31695 del 23/6/2010, Calabresi ed altri, rv. 248013).

In ragione delle considerazioni svolte, deve pronunciarsi l’annullamento dell’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Napoli che dovrà attenersi ai superiori principi di diritto, conducendo una rigorosa verifica a riscontro delle dichiarazioni del collaboratore di giustizia C.G..
P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Napoli. Dispone trasmettersi, a cura della cancelleria, copia del provvedimento al Direttore dell’istituto penitenziario, ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1-ter.

Così deciso in Roma, il 22 gennaio 2013.

Depositato in Cancelleria il 18 febbraio 2013

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