Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 22-01-2013) 18-02-2013, n. 7928

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ordinanza 6/7/12 la Corte di Appello di Milano dichiarava inammissibile l’appello proposto nell’interesse di S. M. avverso la sentenza 30/1/09 del Tribunale di Corno. Ciò per l’assoluta genericità dei motivi di impugnazione, riguardanti la misura eccessiva della pena in relazione alle pur concesse attenuanti generiche. Gli atti erano comunque trasmessi al giudice dell’esecuzione per l’eventuale declaratoria ex art. 673 c.p.p. in ordine a due dei reati giudicati (D.Lgs. n. 286 del 1998, ex art. 14, comma 5 ter e art. 6).

Ricorreva per cassazione la difesa, deducendo violazione di legge per vizio di motivazione in ordine all’art. 581 c.p.p., comma 1, lett. c:

i motivi di appello erano espressamente e legittimamente fondati sulle disagiate condizioni sociali dell’imputata ed il giudice di appello, disattendendoli de plano (a fini evidentemente deflattivi, neutralizzando il decorso del tempo), aveva anticipato il giudizio, che avrebbe potuto e dovuto essere formulato solo previo contraddittorio. Chiedeva l’annullamento dell’ordinanza impugnata.

Nel suo parere scritto il PG presso la S.C., ritenendo che le quelle del ricorrente si risolvessero in censure di fatto, chiedeva dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
Motivi della decisione

Il ricorso, manifestamente infondato, è inammissibile. La norma citata dell’art. 581 c.p.p., comma 1, lett. c prevede espressamente che i motivi di impugnazione debbano essere specifici sia nelle ragioni di diritto che in quelle di fatto. Nel caso in esame ciò non è stato, un mero richiamo alle disagiate condizioni economiche dell’imputata non potendosi definire un motivo specifico (al fine di ulteriormente mitigare il trattamento sanzionatorio) e legittima, pertanto, l’applicazione da parte del giudice dell’impugnazione dell’art. 591 c.p.p., comma 2 che consente anche d’ufficio la dichiarazione di inammissibilità. Essa comunque ha di fatto riguardato il solo reato di cui al capo B (false dichiarazioni continuate a un pubblico ufficiale sull’identità o le qualità personali), per gli altri due (capi A e C), relativi alla legge sull’immigrazione clandestina (violazione dello straniero dell’ordine di rimpatrio e mancata esibizione di documenti di identificazione), gli atti essendo stati correttamente trasmessi al giudice dell’esecuzione per l’eventuale declaratoria di revoca della condanna per abolitio criminis (a ragione della giurisprudenza in materia da ultimo affermatasi nel nostro ordinamento).

Alla dichiarazione di inammissibilità segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una proporzionata sanzione pecuniaria (art. 616 c.p.p.).
P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 500 alla Cassa delle ammende.

Così deciso in Roma, il 22 gennaio 2013.

Depositato in Cancelleria il 18 febbraio 2013

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *