Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 11-01-2013) 08-02-2013, n. 6334

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Con ordinanza del 29 agosto 2012, il Tribunale del riesame di Milano ha respinto, ex art. 310 cod. proc. pen., l’appello proposto da M.P. avverso il provvedimento del 21 luglio 2012, con il quale il Tribunale di Milano ha rigettato la sua istanza, intesa ad ottenere la revoca o la sostituzione con altra meno afflittiva della misura cautelare della custodia in carcere, applicatagli dal G.I.P. di Milano il 5 luglio 2010, siccome gravemente indiziato per tre reati, concernenti cessione, detenzione e porto di armi da sparo, di cui due aggravati L. n. 203 del 1991, ex art. 7 per aver commesso il fatto al fine di favorire il sodalizio mafioso noto come ndrangheta, nell’ambito del procedimento penale denominato "Infinito".

2. Il Tribunale ha dato atto che, con il proposto appello, il M. non aveva contestato la gravità del quadro indiziario emerso nei suoi confronti; ha rilevato che le intercettazioni disposte nei confronti dell’appellante avevano confermato la disponibilità da parte sua di due pistole, di cui una nuova offerta in vendita a C.D. per Euro 1.800,00; un’altra dal ricorrente prestata a tale S.G. ed al medesimo chiesta in restituzione; ed il S. aveva aderito alla richiesta di restituzione, ritenendo tuttavia di dover acquisire l’assenso di B.C., noto esponente mafioso e capo della locale di Milano, assenso poi intervenuto, con restituzione dell’arma all’appellante; e, con riferimento a detta arma, era evidente che sussisteva la finalità di agevolare l’associazione mafiosa nota come ndrangheta, atteso che l’arma era palesemente in dotazione di tale ultimo sodalizio, tanto che, per la sua restituzione, era stata richiesta l’autorizzazione del B., uno dei capi del sodalizio anzidetto. Trattavasi quindi di fatti molto gravi, che denotavano uno stabile inserimento del M., peraltro pregiudicato per reati contro il patrimonio, nonchè per reato connotato da violenza in danno della sua ex fidanzata, in ambienti dediti al commercio di armi e relativo munizionamento, tali da provate come egli avesse ben assimilato le dinamiche relazionali proprie della sottocultura ndranghetista, con la quale viveva a stretto contatto, si che, nonostante la risalenza nel tempo dei fatti (2008) ed il periodo di detenzione sofferto, era da ritenere sussistente il concreto pericolo di reiterazione di gravi reati della stessa specie. Ha poi ritenuto l’irrilevanza, con riferimento al caso in esame, della recente ordinanza con la quale le SS.UU. della Corte di Cassazione avevano sollevato la questione di legittimità costituzionale dell’art. 275 cod. proc. pen., comma 3, in relazione ai reati aggravati L. n. 203 del 1991, ex art. 7, in quanto, anche a prescindere dalla presunzione di legge contenuta nel citato art. 275 cod. proc. pen., comma 3, la misura cautelare inframuraria doveva essere mantenuta in considerazione dell’assoluta gravità dei fatti, dei tratti allarmanti della personalità dell’appellante, nonchè dei legami tuttora stabili e consolidati da lui tenuti con gravissimi contesti criminali.

3. Avverso detto provvedimento del Tribunale del riesame di Milano propone ricorso per cassazione M.P. per il tramite del suo difensore, che ha dedotto motivazione carente ed illogica, stante l’assoluta infondatezza delle affermazioni, secondo cui esso ricorrente sarebbe stato soggetto abituato a maneggiare armi e munizioni, in quanto mai egli aveva avuto a che fare con le armi, essendo stato egli in una sola occasione rimasto vittima di accoltellamento; il provvedimento impugnato non aveva poi tenuto conto di quanto disposto dalle SS.UU. della Corte di Cassazione con ordinanza del 19 luglio 2012, di rimettere alla Corte Costituzionale la questione della legittimità costituzionale dell’art. 275 cod. proc. pen., comma 3, nella parte in cui aveva previsto la presunzione assoluta di esigenze cautelari tali da esigere la custodia in carcere, in relazione ai reati aggravati ai sensi della L. n. 203 del 1991, art. 7.

Non era poi adeguata la motivazione addotta dal provvedimento impugnato per ritenere, a prescindere dalla presunzione di cui all’art. 275 cod. proc. pen., comma 3, la sussistenza di gravi elementi tali da giustificare il mantenimento della sua custodia cautelare in carcere, non essendo sufficiente avere fatto riferimento solo all’estrema gravità dei fatti ed alla sua personalità, trattandosi di fatti risalenti nel tempo e tenuto conto della carcerazione preventiva già sofferta.

1. Il ricorso proposto da M.P. è infondato.

2. Esso è stato proposto dal ricorrente, ai sensi degli artt. 310 e 311 cod. proc. pen., avverso il provvedimento con il quale il Tribunale del riesame di Milano ha respinto l’appello da lui proposto avverso l’ordinanza del Tribunale di Milano del 21 luglio 2012, di rigetto della sua richiesta di revoca o sostituzione della custodia cautelare in carcere, disposta nei suoi confronti dal G.I.P. di Milano con ordinanza del 5 luglio 2010, siccome gravemente indiziato per tre reati, concernenti cessione, detenzione e porto di armi da sparo, di cui due aggravati L. n. 203 del 1991, ex art. 7, per aver commesso il fatto al fine di favorire il sodalizio mafioso noto come ndrangheta, operante nell’ambito della città di Milano.

3. Il provvedimento impugnato ha invero adeguatamente motivato in ordine alla sussistenza del concreto pericolo di reiterazione dei reati ascrittigli. E’ noto che, sul punto, la giurisprudenza di legittimità esige che la sussistenza di detto pericolo sia fondata non su elementi meramente congetturali ed astratti, ma su dati di fatto oggettivi ed indicativi delle inclinazioni comportamentali e della personalità del ricorrente, tali da consentire di affermare che il medesimo possa facilmente, verificandosene l’occasione, commettere reati similari (cfr. Cass. Sez. 6 n. 38763 dell’8/3/2012, Miccoli, Rv. 253372). Al riguardo il Tribunale ha rilevato come fosse ben sussistente nella specie il pericolo di reiterazione dei reati commessi, avendo rilevato che si trattava di fatti molto gravi, che denotavano uno stabile inserimento del M., peraltro pregiudicato per reati contro il patrimonio, nonchè per reato connotato da violenza in danno della sua ex fidanzata, in ambienti dediti alla fornitura di armi e relativo munizionamento, tali da provare che egli avesse ben assimilato le dinamiche relazionali proprie della sottocultura ndranghetistica, con la quale viveva a stretto contatto, si che, nonostante la risalenza nel tempo dei fatti (2008) ed il periodo di detenzione sofferto, era da ritenere sussistente il concreto pericolo di reiterazione di gravi reati della stessa specie.

4. Il provvedimento impugnato ha poi dimostrato di essere ben consapevole che, con riferimento ai reati, aggravati, come nella specie in esame, ai sensi della L. n. 203 del 1991, art. 7 questa Corte (cfr. Cass. SS.UU. ordinanza n. 34473 del 19 luglio 2012, Rv.

253186) ha rimesso alla Corte Costituzionale la questione di legittimità costituzionale dell’art. 275 cod. proc. pen., comma 3, nella parte in cui la presunzione assoluta di adeguatezza della custodia cautelare in carcere viene prevista anche con riferimento ai delitti aggravati D.L. n. 152 del 1991, ex art. 7.

Non si ritiene invero che il presente ricorso potrà in qualche modo essere influenzato da quanto andrà a decidere sul punto la Corte Costituzionale, avendo l’ordinanza impugnata motivato in modo esaustivo se pur sintetico in ordine alla sussistenza di concrete ed attuali esigenze cautelari anche a prescindere dalla presunzione di cui sopra, avendo fatto riferimento all’assoluta gravità dei fatti, ai tratti allarmanti della personalità del ricorrente, nonchè ai legami tuttora stabili e consolidati dal medesimo tenuti con ambienti connotati da gravissimo tasso criminale (le armi da lui detenute erano finalizzate al loro uso da parte di sodalizi mafiosi).

5. Da quanto sopra consegue il rigetto del ricorso in esame, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

7. Si provveda all’adempimento di cui all’art. 94 disp. att. cod. proc. pen..
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Dispone che la Cancelleria provveda agli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. cod. proc. pen., comma 1 ter.

Così deciso in Roma, il 11 gennaio 2013.

Depositato in Cancelleria il 8 febbraio 2013

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