Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 11-01-2013) 08-02-2013, n. 6333 Scarcerazione per decorrenza termini

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con ordinanza del 20 luglio 2012, il Tribunale del riesame di Milano ha respinto l’appello proposto da D.B.M., in stato di custodia cautelare in carcere, avverso l’ordinanza della Corte d’appello di Milano in data 13 giugno 2012, di rigetto della sua richiesta, intesa ad ottenere la declaratoria di perdita di efficacia della misura cautelare in atto per decorrenza dei termini di fase, ai sensi dell’art. 297 cod. proc. pen.comma 3 2. D.B.M. era stata dapprima arrestato nella flagranza del reato di detenzione a fini di spaccio di ingente quantità di cocaina in data 15 marzo 2006; e per detti fatti era stato condannato, con sentenza divenuta definitiva il 18 aprile 2006, alla pena di anni 5 di reclusione.

Nei confronti del medesimo era stata poi emessa una successiva ordinanza di custodia cautelare in carcere il 24 settembre 2009 da parte del G.I.P. del Tribunale di Milano per i reati di partecipazione ad associazione criminosa intesa al traffico di stupefacenti e di detenzione a fini di spaccio di stupefacenti.

3.La Corte d’appello di Milano aveva già respinto con precedente ordinanza del 13 giugno 2012 l’istanza formulata dal D.B., intesa ad ottenere la declaratoria di perdita di efficacia per retrodatazione della misura cautelare del 24 settembre 2009, avendo ritenuto, come peraltro già statuito con due precedenti decisioni, di cui una del 26 marzo 2012 ed un’altra del 27 aprile 2012, la seconda delle quali altresì confermata dal Tribunale del riesame con ordinanza del 14 maggio 2012, che al 15 marzo 2006, data di emissione della prima misura cautelare in carcere, non sussistevano ancora gli elementi per poter contestare al D.B. il reato associativo, in quanto il quadro probatorio riferito a tale ultimo reato si era completato solo in epoca successiva e cioè solo 21 agosto 2006.

4. Il Tribunale del riesame di Milano ha da un lato rilevato che sulla questione si era ormai formato il cd. giudicato cautelare, in quanto la questione era stata già in precedenza sottoposta al suo esame e respinta con ordinanza del 14 maggio 2012 e gli argomenti addotti nella presente sede erano identici a quelli già esaminati;

dall’altro ha comunque ritenuto, conformemente a quanto già disposto con la precedente ordinanza del 14 maggio 2012, che non sussistessero i presupposti per far luogo alla chiesta retrodatazione al 15 marzo 2006 dell’ordinanza custodiale in carcere emessa nei suoi confronti il 24 settembre 2009 per il reato di partecipazione ad associazione a delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti, in quanto gli elementi a suo carico per tale delitto erano emersi in epoca successiva alla prima ordinanza custodiate del 15 marzo 2006; invero il sequestro di kg. 720 di hashish era avvenuto nell’aprile del 2006;

il sequestro di armi e droga e l’arresto del coimputato G. G. erano avvenuti nell’agosto del 2006; le intercettazioni telefoniche, dalle quali era stata desunta la sussistenza del reato associativo erano avvenute dopo l’arresto dell’odierno ricorrente e cioè il 26 maggio 2006 ed il 26 aprile 2006; non sussisteva pertanto la lamentata violazione dell’art. 297 cod. proc. pen., comma 3.

5. Avverso detta ordinanza propone ricorso per cassazione D.B. M. per il tramite del suo difensore, che ha dedotto violazione di legge e motivazione illogica e contraddittoria, in quanto non sussisteva nella specie il dedotto giudicato cautelare, atteso che il Tribunale del riesame, con la precedente ordinanza del 14 maggio 2012, aveva solo rilevato l’impossibilità di accogliere l’appello, state l’omessa allegazione da parte sua di elementi indispensabili per esaminare nel merito il suo gravame; inoltre il Tribunale del riesame, con il provvedimento impugnato neppure aveva esaminato nel merito le allegazioni da lui prodotte, dalle quali avrebbe potuto viceversa evincersi come la completezza dei gravi indizi di colpevolezza in ordine al reato associativo di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, sussisteva già prima del suo primo arresto intervenuto il 15 marzo 2006, in quanto fin dal dicembre 2005 era stata iscritta notizia di reato nei suoi confronti per il reato anzidetto e tale ultimo arresto era avvenuto a seguito di servizi di appostamento effettuati dai carabinieri per detti reato associativo.
Motivi della decisione

1. Il ricorso proposto da D.B.M. avverso l’ordinanza del Tribunale di Milano in data 20 luglio 2012 è infondato.

2. Il Collegio intende prescindere dall’eccezione di giudicato cautelare, pur formulata dall’ordinanza impugnata, per avere il ricorrente già formulato in precedenza identico appello, respinto dal Tribunale con ordinanza del 14 maggio 2012.

Ritiene pertanto di dover esaminare se, nella specie, abbia effettivamente avuto luogo la lamentata violazione della norma di cui all’art. 297 cod. proc. pen., comma 3, alla stregua della quale se nei confronti di un medesimo soggetto vengono emesse più ordinanze che dispongono la medesima misura per uno stesso fatto, benchè diversamente circostanziato o qualificato, ovvero per fatti diversi commessi anteriormente all’emissione della prima ordinanza, in relazione ai quali siano ravvisabili ipotesi di connessione di cui all’art. 12, comma 1, lett. b) e c) (concorso formale di reati e reati commessi per eseguire gli altri), i termini decorrono dal giorno in cui è stata eseguita o notificata la prima ordinanza e devono essere commisurati all’imputazione più grave.

3.Il ricorrente ha riferito che, nei suoi confronti, era stata dapprima emessa ordinanza di custodia cautelate in data 15 marzo 2006 per il reato di detenzione a fini di spaccio di un ingente quantitativo di cocaina e che, per detto reato, era stato condannato, con sentenza divenuta definitiva il 13 aprile 2006, alla pena di anni 5 di reclusione.

Il ricorrente ha altresì riferito che, nei suoi confronti, era stata emessa una successiva ordinanza di custodia cautelare in carcere in data 24 settembre 2009, eseguita il 13 ottobre 2009, nell’ambito di un diverso procedimento penale per i reati di detenzione a fini di spaccio di stupefacenti e di partecipazione ad associazione criminosa intesa al traffico di stupefacenti.

4. La giurisprudenza di questo Corte ha più volte esaminato l’effettiva portata della norma di cui all’art. 297 c.p.p., comma 3, pervenendo a risultati notevolmente consolidati soprattutto attraverso due pronunce rese dalle SS.UU., di cui una emessa nel 2005 ed un’altra nel 2006 (Cass. SS.UU. 22.3.2005 n. 21957, Rv.231058;

Cass. SS.UU. 19.12.2006 n. 14535, Rv. 235909).

Tali due pronunce hanno definito nei termini che seguono l’operatività del divieto di contestazioni a catena, di cui all’art. 297 c.p.p., comma 3:

– la retrodatazione opera automaticamente in caso di ordinanze cautelari emesse nello stesso procedimento per lo stesso fatto, pur diversamente circostanziato o qualificato;

– la retrodatazione per ordinanze cautelari emesse in procedimenti diversi per fatti legati da connessione qualificata opera solo per i fatti desumibili dagli atti anteriori al rinvio a giudizio nel procedimento nel quale è stata emessa la prima ordinanza cautelare;

– la retrodatazione delle ordinanze cautelari emesse nello stesso procedimento per fatti non legati da connessione qualificata opera solo se, al momento dell’emissione della prima ordinanza, esistevano elementi idonei a giustificare le misure adottate con la seconda ordinanza;

– la retrodatazione non opera mai in caso di ordinanze cautelari emesse in procedimenti diversi per fatti non legati da connessione qualificata.

Nel periodo intercorrente tra le due sentenze anzidette, la Corte Costituzionale è intervenuta nella materia con la sentenza n. 408 del 3.11.2005, con la quale, richiamata la prima delle due sentenze delle sezioni unite della Cassazione (quella recante n. 21957 del 22.3.05), ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 297 c.p.p., comma 3 nella parte in cui non prevede la retrodatazione dell’ordinanza di custodia cautelare per fatti diversi non connessi, quando risulta che gli elementi per emettere la nuova ordinanza erano già desumibili dagli atti al momento dell’emissione della precedente ordinanza coercitiva. E’ quindi intervenuta la seconda sentenza di questa Corte a SS. UU. (quella n. 14535 del 19.12.06), la quale ha fatto il punto della situazione, a seguito dell’intervento della Corte Costituzionale, di cui sopra.

La sentenza delle sezioni unite da ultimo citata, dopo aver rilevato che la formula adottata dalla Corte Costituzionale non era di per sè indicativa se si riferisse solo a fatti oggetto dello stesso procedimento, od anche a fatti oggetto di procedimenti diversi, esaminando sia il dispositivo che la motivazione della sentenza della Corte Costituzionale, è pervenuta alla conclusione che la sentenza della Corte Costituzionale non riguardava anche fatti non legati da connessione qualificata ma oggetto di procedimenti diversi.

Le SS.UU. di questa Suprema Corte pertanto, con la citata sentenza n. 14535 del 19.12.06, adeguandosi a quanto dichiarato dalla Corte Costituzionale con la citata sentenza n. 408 del 3.11.05, hanno formulato il principio di diritto secondo il quale non può mai ritenersi violato il divieto della contestazione a catena in relazione a fatti di reato non connessi oggetto di procedimenti diversi, a meno che non si tratti di due procedimenti in corso davanti alla stessa autorità giudiziaria, la cui separazione abbia costituito solo il frutto di una scelta del P.M., in quanto il medesimo ben avrebbe potuto adottare i relativi provvedimenti coercitivi in un unico contesto temporale.

Supplicando tali principi giurisprudenziali al caso in esame, va confermata l’ordinanza di rigetto emessa dal Tribunale di Milano, impugnata nella presente sede.

Il Tribunale ha invero correttamente aderito a quanto ritenuto dalla Corte d’appello col provvedimento oggetto dell’appello riesame, e cioè: -che, nella specie in esame, nessun collegamento giuridicamente rilevante era dato riscontrare fra le imputazioni che avevano dato luogo alle due ordinanze custodiali in esame, trattandosi di imputazioni del tutto eterogenee e differenti fra di loro, in ordine alle quali nessun tipo di connessione appariva rilevabile; -che gli indizi riferiti ai reati che avevano dato luogo alla seconda ordinanza custodiale, erano divenuti gravi e rilevanti, tali quindi a giustificare la grave misura coercitiva della custodia in carcere, solo in epoca successiva all’emissione della prima ordinanza di custodia cautelare.

6. Il ricorrente non ha contestato con argomenti fattuali e precisi quanto ritenuto dalla Corte d’appello di Milano e fatto proprio dal Tribunale di Milano con l’ordinanza impugnata nella presente sede, circa la non ravvisabilità dei presupposti per far luogo alla chiesta retrodatazione al 15 marzo 2006 dell’ordinanza custodiale in carcere emessa nei suoi confronti il 24 settembre 2009 per il reato di partecipazione ad associazione a delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti, avendo il Tribunale ritenuto che gli elementi a carico del ricorrente per tale delitto erano emersi solo in epoca successiva alla prima ordinanza custodiale datata 15 marzo 2006.

Il Tribunale ha invero rilevato che il sequestro di kg. 720 di hashish era avvenuto nell’aprile del 2006; che il sequestro di armi e droga e l’arresto del coimputato G.G. erano avvenuti nell’agosto del 2006; che le principali intercettazioni telefoniche, dalle quali era stata desunta la sussistenza del reato associativo erano avvenute dopo l’arresto dell’odierno ricorrente e cioè il 26 maggio 2006 ed il 26 aprile 2006.

Non è pertanto ravvisabile nella specie la lamentata violazione dell’art. 297 cod. proc. pen., comma 3, tanto non potendosi desumere dalla circostanza il ricorrente sia stato iscritto nel registro degli indagati per il reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, fin dal dicembre 2005, atteso che detta iscrizione non comporta necessariamente la sussistenza a carico dell’iscritto di elementi tali da supportare una eventuale accusa in un giudizio; appare poi del tutto generico quanto riferito dal ricorrente, secondo il quale la prima ordinanza custodiale nei suoi confronti sarebbe avvenuta a seguito di servizi di appostamento effettuati dai carabinieri per il reato associativo, occorrendo viceversa fare esclusivo riferimento al reato in concreto contestato al ricorrente.

7. Il ricorso proposto da D.B.M. va quindi respinto, con sua condanna, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese processuali.

8. Si provveda a norma dell’art. 94 disp. att. cod. proc. pen., comma 1 ter.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. cod. proc. pen., comma 1 ter.

Così deciso in Roma, il 11 gennaio 2013.

Depositato in Cancelleria il 8 febbraio 2013

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