Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 11-01-2013) 08-02-2013, n. 6330

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con ordinanza in data 20.4.2012 il Tribunale di Bari, costituito ex art. 309 cod. proc. pen., confermava il provvedimento con il quale, in data 5.4.2012, il Gip della stessa sede aveva applicato la misura cautelare della custodia in carcere nei confronti di E. M. in relazione a tre episodi di estorsione continuata in concorso, aggravata anche D.L. n. 152 del 1991, ex art. 7, commessi rispettivamente in danno di G.L. (capo a), di G. C. (capo b) e di N.M. (capo d), tra dicembre 2009 e febbraio 2011.

Richiamando l’ordinanza impugnata, il tribunale dava atto dell’avvenuta ricostruzione delle vicende della criminalità organizzata garganica come accertate in alcuni procedimenti conclusi con sentenze irrevocabili ed, in particolare, delle contrapposte fazioni che vedevano da un lato la famiglia L.B., affiancata dai L. e dai M., e dall’altro il gruppo Primosa, sostenuto dalle famiglie A. e B.. In tale quadro risultava significativa la latitanza di L.B.F., di P.G. e dell’indagato che aveva supportato sia moralmente che materialmente la latitanza del L.B. dopo l’arresto del quale si concludeva anche la latitanza del M. (ottobre 2011).

Rilevava, quindi, che il compendio indiziario relativo alla partecipazione alla vicenda estorsiva di cui al capo a) si desumeva dal contenuto delle conversazioni intercettate il cui significato risulta confermato dalle circostanze riferite dalla persona offesa, G.L..

Avuto riguardo alla vicenda estorsiva di cui al capo b) in danno del C., titolare di un’impresa edile, dalle risultanze investigative si desumeva che il M. era l’ideatore ed il destinatario della tangente che veniva consegnata dal suo uomo di fiducia P.M.; che T.G. fungeva da intermediario tra la vittima ed il gruppo facente capo al M. e S.G. era l’autore dell’intimidazione.

Anche con riferimento alla vicenda estorsiva in danno di N. M., procuratore dell’azienda R.E.M.I., contestata al capo d), il tribunale riteneva acquisiti gravi indizi di colpevolezza in ordine alla partecipazione dell’indagato, con il ruolo di ideatore e destinatario della tangente consegnatagli dal suo uomo di fiducia, P.M., tratto essenzialmente dalle dichiarazioni rese dalla vittima e dal contenuto delle conversazioni captate.

Ad avviso del tribunale, sussistevano, altresì, i presupposti per la configurabilità dell’aggravante di cui al D.L. n. 152 del 1991, art. 7, sia sotto il profilo del metodo mafioso rinvenibile nella condotta dell’indagato e degli altri partecipi, sia con riferimento alla agevolazione dell’associazione mafiosa in oggetto.

2. Avverso la predetta ordinanza ricorre il M., a mezzo del difensore di fiducia, denunciando la violazione di legge ed il vizio della motivazione, ritenuta meramente apparente, avuto riguardo alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza in ordine alle fattispecie estorsive contestate.

Censura, in primo luogo, il richiamo operato dal tribunale del riesame alla motivazione dell’ordinanza genetica cui consegue l’omessa autonoma valutazione critica del giudice del riesame.

Quindi, il ricorrente assume che l’ordinanza impugnata manca della valutazione di tutti gli elementi costitutivi necessari per configurare il delitto di estorsione oggetto delle contestazioni che richiede, comunque, una minaccia, ancorchè implicita, finalizzata a procurare un profitto con altrui danno ed un collegamento causale tra il conseguimento di un vantaggio ed il pregiudizio della vittima.

Nella fattispecie di cui al capo a) le condotte attribuibili al ricorrente non sono idonee a configurare il delitto di estorsione alla luce di quanto dichiarato dalla persona offesa, G.L..

Infatti, questi ha specificato che quando si rivolse al M. per avere il suo benestare all’apertura dell’esercizio commerciale non gli fu richiesta alcuna somma di danaro ed ha ricondotto ad una propria iniziativa, al di là di qualsiasi pressione, la sporadica elargizione di somme di danaro in favore del predetto, o meglio di suoi familiari, il cui ammontare e le cui modalità di consegna dipendevano da fattori contingenti determinati dalla effettiva disponibilità del G. il quale, quindi, ha consegnato il danaro in piena autonomia decisionale. Nè tale ricostruzione dei fatti risulta contraddetta dal contenuto dalle conversazioni captate richiamate nell’ordinanza impugnata.

In specie, nella conversazione del 10/1/2011 emerge esclusivamente che gli interlocutori erano impegnati ad esprimere il proprio disappunto per le interferenze poste in essere dal ricorrente in aree di interesse del P.; analogamente, il brevissimo passaggio della conversazione del 26/4/2011 dimostra soltanto che G. P., a seguito dell’intervento del M., avrebbe desistito dall’attività estorsiva avviata in danno del G.. Pertanto, le argomentazioni del tribunale in ordine alla sussistenza degli indizi a carico del ricorrente in ordine al reato contestato al capo a) appaiono del tutto in contrasto con le circostanze acquisite agli atti.

Con riferimento alla contestazione di cui al capo b) denuncia la mera apparenza della motivazione del tribunale in ordine alle censure difensive articolate in sede di riesame che ripropone. Rileva, quindi, che la persona offesa, C.G., nel ricostruire la vicenda non ha mai fatto alcun riferimento al ricorrente, nè alla luce delle sue dichiarazioni è possibile individuare nel ricorrente uno dei due soggetti incappucciati che si erano presentati alla vittima per chiedere il danaro. Così come dal dialogo captato l’11/3/2011 non è dato individuare il ricorrente tra i soggetti che si erano presentati alla vittima; gli interlocutori, infatti, tentano di comprendere la provenienza della richiesta di danaro avanzata al C. sospettando, peraltro, di soggetti estranei al P. ed al ricorrente e nutrendo dubbi sul fatto che la somma di danaro potesse essere destinata al predetto. Pertanto, da tale conversazione non soltanto non si traggono elementi utili ai fini della identificazione dei soggetti che avrebbero contattato la persona offesa, ma, al contrario, si desume che chiunque sia stato non lo aveva fatto in nome e per conto del ricorrente.

Anche nella successiva conversazione del 26/4/2011 la vicenda in esame viene trattata solo indirettamente, attraverso i riferimenti operati dai due interlocutori i quali avanzano soltanto ipotesi personali, in gran parte incomprensibili, nel quadro di un dialogo che verteva su problematiche diverse.

Pertanto, la sussistenza del compendio indiziario a carico del ricorrente in relazione al fatto contestato al capo b) resta affidato a due conversazioni intervenute tra altre persone nelle quali si fa riferimento a soggetti che si sarebbero accreditati come referenti o intermediari del M., tanto da ingenerare il sospetto tra gli stessi interlocutori che costoro spendessero il nome del predetto, all’epoca latitante, per un proprio tornaconto personale.

Ad avviso del ricorrente, poi, della fattispecie contestata al capo d) non vi è alcuna traccia nelle acquisizioni investigative poste a fondamento della misura cautelare e la motivazione del tribunale sembrerebbe riferita alla vicenda estorsiva contestata al capo c), in danno anch’essa di N.M., che non vede indagato il ricorrente. Nulla emerge dalla conversazione intercettata l’11/3/2011 nella quale, del tutto incidentalmente gli interlocutori fanno riferimento ad una somma di danaro che tale M. avrebbe corrisposto in favore di P. e R.. Analogamente, in nessun passaggio della conversazione del 26/4/2011 si prospettano elementi riconducibili al ricorrente laddove, anzi, emergono circostanze di segno opposto perchè il G. riferendo alla sua interlocutrice che il N. avrebbe ricevuto richieste di danaro dal P. e dal ricorrente, chiarisce che costoro si sarebbero rimessi allo stesso N. in ordine all’ammontare della somma, il che esclude la configurabilità della fattispecie estorsiva, non essendovi alcuna traccia di coartazione nei confronti della presunta vittima che aveva aderito in maniera del tutto spontanea la richiesta di aiuto.

Infine, il ricorrente deduce la violazione di legge ed il vizio della motivazione con riferimento alla ritenuta configurabilità dell’aggravante di cui al D.L. n. 152 del 1991, art. 7. Mancano nella specie i presupposti della forza intimidatrice del sodalizio criminale al quale il ricorrente sarebbe contiguo ed il potere di pressione di un gruppo o riconducibile ad una associazione di stampo mafioso.

Anche a voler ritenere che si tratti di attività di intimidazione fondata sulla evocazione della caratura criminale del M., essa non è idonea ad ascrivere detta intimidazione nell’alveo dei canoni del metodo mafioso e ad evocare la relativa efficacia di coazione psicologica. Depongono in tal senso le specifiche modalità circostanziali delle condotte, desumibili soprattutto dal tenore delle conversazioni intercettate, laddove si comprende agevolmente che si tratta di un’attività con spartizione artigianale dei compiti con il coinvolgimento non di associati ma di familiari o amici.

D’altro canto, le somme di danaro ottenute sarebbero state al più funzionali a favorire la latitanza del solo ricorrente e non l’attività della compagine criminale di riferimento.
Motivi della decisione

Il ricorso, ad avviso del Collegio, deve essere dichiarato inammissibile.

E’ palesemente infondata la doglianza in ordine alla mancanza di autonoma valutazione critica da parte del giudice del riesame che ha rinviato alla motivazione dell’ordinanza genetica.

Invero, il tribunale ha fatto richiamo a parte della motivazione della ordinanza genetica procedendo, comunque ad un’ampia e compita valutazione. A autonoma del predetto provvedimento anche alla luce delle deduzioni difensive.

Si tratta, quindi, di un richiamo per relationem con evidente funzione integrativa della motivazione che non vanifica il mezzo di impugnazione attraverso un generale e generico rinvio al provvedimento impugnato (Sez. U, n. 919 del 26/11/2003 – dep. 19/01/2004, Gatto, Rv. 226488).

Il tribunale, infatti, ha dato conto che il compendio indiziario relativo alla partecipazione alla vicenda estorsiva di cui al capo a) si desume dal contenuto delle conversazioni intercettate (del 10.1.2011 e del 26.4.2011 di cui ha ripercorso ampi passi) il cui significato risulta confermato dalle circostanze riferite dalla persona offesa, G.L., titolare di un esercizio commerciale di bar in Monte Sant’Angelo, identificato proprio attraverso le indicazioni tratte dalla conversazione del 10.1.2011. Il predetto aveva dichiarato che prima dell’apertura del bar, nel novembre 2009, si era rivolto al M. per chiedere il "benestare" che aveva ricevuto senza alcun compenso; pochi mesi dopo aveva ricevuto la richiesta di danaro per continuare a svolgere l’attività tranquillamente da P.T. e M.M. e, pertanto, aveva versato le somme a quest’ultimo chiedendogli di riferire al P. che per il futuro dovevano accordarsi con il M. che aveva dato il suo consenso all’attività. Successivamente, aveva incontrato il P. che gli aveva comunicato che vi era stata una intesa con M.E. al quale per il futuro doveva essere versato il danaro, cosa che il G. aveva fatto con cadenza regolare sino a dicembre 2011. Ha sottolineato, quindi, il tribunale come il quadro indiziario delineato fosse in contrasto con la ricostruzione alternativa fornita dalla difesa.

Avuto riguardo alla vicenda estorsiva di cui al capo b) in danno del C., titolare di un’impresa edile, dalle risultanze investigative è stato desunto che il M. era l’ideatore ed il destinatario della tangente che veniva consegnata dal suo uomo di fiducia, P.M.; che T.G. fungeva da intermediario tra la vittima ed il gruppo facente capo al M. e S.G. era l’autore dell’intimidazione. Tanto è stato tratto dalle circostanze riferite dalla persona offesa e dal contenuto delle conversazioni intercettate tra il cognato del C., C.G., e P.C. in data 11.3.2011 e 26.4.2011, delle quali il tribunale ha ripercorso ampi passi.

In particolare, ha evidenziato come dal tenore della conversazione dell’11.3.2011, tra C.G. e P.C., emergesse con chiarezza che i due interlocutori – particolarmente qualificati per la loro vicinanza sia alla vittima che ai latitanti – formulassero ipotesi sulla vicenda estorsiva in esame alla luce dei significativi elementi di conoscenza in loro possesso; dalla conversazione del 26.4.2011 risultava, poi, perfettamente comprensibile che la tangente versata dal cognato del G. era arrivata, per il tramite di P.M., ad M.E. (detto R.) con il benestare di P.G. e si fa riferimento alla circostanza che il G. era stato invitato ad incontrarsi con il M. per discutere della destinazione della tangente del cognato. Del tutto infondata, quindi, è stata ritenuta dal giudice dell’impugnazione la tesi difensiva secondo la quale gli interlocutori delle conversazioni captate avevano formulato soltanto l’ipotesi del coinvolgimento dell’indagato.

Anche con riferimento alla vicenda estorsiva in danno di N. M., procuratore dell’azienda R.E.M.I., contestata al capo d), il tribunale ha ritenuto acquisito un compendio indiziario connotato della necessaria gravità in ordine alla partecipazione del ricorrente, con il ruolo di ideatore e destinatario della tangente consegnatagli dal suo uomo di fiducia, P.M., tratto essenzialmente dalle dichiarazioni rese dalla vittima – che aveva riferito di avere incontrato presso la casa del G. il latitante P.G. che aveva chiesto un contributo – e dal contenuto delle conversazioni captate l’11.3.2011 ed il 26.4.2011 tra C.G., dipendente del N., e P.C. in cui si viene fatto espresso riferimento alla vicenda estorsiva, alla circostanza che il N. aveva versato la tangente (diversamente da quanto dallo stesso riferito agli investigatori) e che parte di essa era andata al M. (p. 22-25).

Orbene, considerato che la valutazione compiuta dal tribunale verte sul grado di inferenza degli indizi e, quindi, sull’attitudine più o meno dimostrativa degli stessi in termini di qualificata probabilità di colpevolezza anche se non di certezza rispetto al tema di indagine concernente la partecipazione ai reati di estorsione aggravata contestati al ricorrente, lo sviluppo argomentativo della motivazione è fondato su una coerente analisi degli elementi indizianti e sulla loro coordinazione in un organico quadro interpretativo, alla luce del quale appare dotata di adeguata plausibilità logica e giuridica l’attribuzione a detti elementi del requisito della gravità.

Pertanto, sono manifestamente infondate le censure del ricorrente in ordine alla valutazione della sussistenza degli elementi costitutivi del reato di estorsione.

Come è noto, del resto, il vaglio di legittimità demandato a questa Corte non può non arrestarsi alla verifica del rispetto delle regole della logica e della conformità ai canoni legali che presiedono all’apprezzamento dei gravi indizi di colpevolezza, prescritti dall’art. 273 cod. proc. pen. per l’emissione dei provvedimenti restrittivi della libertà personale, senza poter attingere l’intrinseca consistenza delle valutazioni riservate al giudice di merito. Il ricorso, invece, muove censure in gran parte di merito volte, sostanzialmente, alla rilettura delle circostanze di fatto poste a fondamento della ordinanza impugnata ed, in particolare, di quelle emerse dalle conversazioni intercettate, preclusa al giudice di legittimità.

Anche avuto riguardo alla configurabilità dell’aggravante di cui al D.L. n. 152 del 1991, art. 7, le censure del ricorrente risultano manifestamente infondate.

Invero, il tribunale ha fatto corretta applicazione dei principi più volte ribaditi da questa Corte affermando nella specie la configurabilità dell’aggravante di cui al D.L. n. 152 del 1991, art. 7, sia sotto il profilo del metodo mafioso, rinvenibile nella condotta dell’indagato e degli altri partecipi per come desumibile da circostanze di fatto specificamente indicate, sia con riferimento alla agevolazione dell’associazione mafiosa in oggetto, tenuto conto che il M. era legato al sodalizio L.B., nonchè, di quanto emerso dal contenuto della conversazione intercettata il 26.4.2011 tra P.C. e C.G..

Alla declaratoria di inammissibilità segue per legge, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma ritenuta congrua di Euro 1.000,00 (mille) in favore della cassa delle ammende.

La cancelleria dovrà provvedere all’adempimento prescritto dall’art. 94 disp. att. cod. proc. pen., comma 1 ter.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di mille Euro alla cassa delle ammende.

Dispone trasmettersi a cura della cancelleria copia del provvedimento al direttore dell’istituto penitenziario ai sensi dell’art. 94 disp. att. cod. proc. pen., comma 1 ter.

Così deciso in Roma, il 11 gennaio 2013.

Depositato in Cancelleria il 8 febbraio 2013

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