Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 11-07-2012, n. 11677

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con sentenza dell’8 febbraio 2012, la Corte d’Appello di Roma respingeva il gravame svolto da L.F. contro la sentenza di primo grado che aveva rigettato la domanda volta al riconoscimento del diritto ai benefici previdenziali di cui alla L. n. 257 del 1992, art. 13.

2. La Corte territoriale, condividendo le conclusioni cui è pervenuto il consulente officiato in giudizio, non contrastate efficacemente dalle osservazioni critiche dell’assistito, ha ritenuto che L.F., nel periodo lavorativo svolto all’interno dell’edificio IMI di via (OMISSIS), non fosse stato esposto a concentrazioni medie di amianto pari o superiori a 100 fibre per litro d’aria.

3. Avverso l’anzidetta sentenza della Corte territoriale, L. F. ha proposto ricorso per cassazione fondato su tre motivi.

L’INPS ha resistito con controricorso, illustrato con memoria ex art. 378 c.p.c..
Motivi della decisione

4. Con il primo motivo di ricorso è denunciata omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio, con particolare riferimento al disposto di cui agli artt. 116 e 132 c.p.c.. Il ricorrente si duole che la corte territoriale, con motivazione eccessivamente sintetica, non abbia spiegato l’infondatezza dei rilievi critici sollevati avverso l’elaborato peritale, nè abbia disposto un supplemento di indagine peritale per verificare il rapporto causale e/o concausale con l’attività lavorativa dei numerosissimi casi di neoplasie riscontrate tra i dipendenti IMI esposti per più dieci anni all’amianto. Censura, inoltre, l’accertamento tecnico recepito dalla statuizione, per non essere stata confacentemente delineata l’esposizione morbigena del L. al rischio asbesto correlato, nè i valori di fibre presenti nell’ambiente di lavoro.

5. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione di norme di diritto (L. n. 257 del 1992, art. 13, comma 8; D.Lgs. n. 277 del 1991 e successive modifiche ed integrazioni) in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, ed al riguardo osserva che erroneamente la sentenza impugnata aveva ritenuto la concessione del beneficio condizionata non solo ad un’esposizione ultradecennale ma anche al superamento di una specifica soglia di rischio, laddove la L. n. 257 del 1992, non contenendo alcun riferimento al D.Lgs. n. 277 del 1991, aveva attribuito il diritto alla supervalutazione contributiva a tutti i lavoratori già esposti, come dimostrava pure la previsione del D.L. n. 269 del 1993, conv. nella L. n. 326 del 2003, benchè inapplicabile ratione temporis per aver il ricorrente conseguito la pensione di anzianità dal 1.4.1993, che tale concorrente requisito aveva ex novo espressamente introdotto, e a prescindere dall’insorgenza della malattia oncologica.

6. Con il terzo motivo viene denunciata, infine, violazione e falsa applicazione degli artt. 2699 e 2700 c.c., osservando che la corte di merito, con erronea valutazione, aveva omesso di porre a fondamento del proprio convincimento il verbale dell’USL del 18.7.1987, che aveva disposto la decontaminazione dell’edificio, sebbene si trattasse di atto pubblico, assistito da presunzione di legittimità ed avente l’efficacia probatoria prevista dall’art. 2700 c.c..

7. Il primo motivo è infondato.

8. La Corte territoriale, pur con motivazione estremamente sintetica, ha esaminato e valutato le osservazioni critiche rivolte alla c.t.u., ritenendole peraltro inidonee, per la loro genericità, ad efficacemente contrastarne le conclusioni.

9. Nè il ricorrente, in riferimento ai denunciati "palesi" vizi dell’elaborato peritale, ha provveduto a trascrivere in ricorso le parti oggetto di censura, come imponeva il principio di autosufficienza del ricorso, in tal modo non consentendo a questa Corte di legittimità di verificare se, rispetto alle argomentazioni e valutazioni del consulente officiato nel corso del giudizio, gli stessi fossero di rilievo tale da imporre, come richiesto dall’appellante, un supplemento di indagine tecnica.

10. Anche il secondo motivo è infondato.

11. Il motivo, infatti, contrasta con consolidati precedenti di questa Suprema Corte e, in particolare, con l’arresto secondo cui il disposto della L. n. 257 del 1992, art. 13, comma 8, deve essere interpretato nel senso che il beneficio pensionistico ivi previsto spetta unicamente ai lavoratori che, in relazione alle lavorazioni cui sono stati addetti e alle condizioni dei relativi ambienti di lavoro, abbiano subito per più di dieci anni (periodo in cui vanno valutate le pause fisiologiche, quali riposi, ferie e festività) un’esposizione a polveri di amianto superiori ai limiti previsti dal D.Lgs. n. 277 del 1991, artt. 24 e 31 (v., ex multis, ad es. Cass. 17988/2010; Cass. 12866/2007; Cass. 27451/2006; Cass. 16119/2005).

12. Questa linea interpretativa (che si collega con l’orientamento del Giudice delle leggi che ha ripetutamente rilevato, con le sentenze nn. 5/2000 e 434/2002, che la norma in esame ha una portata precettiva delimitata dalla previsione del periodo temporale minimo di esposizione a rischio e dalla riferibilità a limiti quantitativi inerenti alle potenzialità morbigene dell’amianto contenuti nel D.Lgs. n. 277 del 1991, e successive modifiche) si riconnette all’esigenza di individuare una soglia di esposizione al rischio che valga a dare concretezza alla nozione di esposizione all’amianto presa in considerazione dalla disposizione di legge, che non contiene, nella mera formulazione letterale, quegli elementi di delimitazione del rischio, quali sono, invece, rappresentati, nella previsione del comma 6, dal particolare tipo di lavorazione (nelle cave o nelle miniere di amianto), o in quella del comma 7, dall’insorgenza di una malattia professionale correlata all’esposizione stessa.

13. In tal contesto si è, quindi, precisato, con orientamento che può ritenersi ormai acquisito, che del riferimento complessivo al D.Lgs. n. 277 del 1991, artt. 24 e 31, è rilevante in concreto il dato emergente dalla prima norma, la quale indica (o meglio, indicava, stante l’abrogazione di tutto il capo 3 del D.Lgs. n. 277 del 1991, comprendente sia l’art. 24 che l’art. 31, da parte del D.Lgs. 25 luglio 2006, n. 257, art. 5, che ha dato attuazione alla direttiva comunitaria 2003/18/CE del 27 marzo 2003, inserendo la novellata disciplina nel D.Lgs. n. 626 del 1994) il valore di 0,1 fibre di amianto per centimetro cubo, in rapporto ad un periodo lavorativo di otto ore, quale soglia il cui superamento implica la valutazione della relativa posizione di lavoro come esposta ad un rischio qualificato e concreto, richiedente l’adozione di apposite misure di prevenzione e monitoraggio (quali l’obbligo di notifica all’organo di vigilanza, l’informazione periodica al lavoratore circa i rischi, la delimitazione dei luoghi esposti al rischio, con restrizione di accesso ai medesimi e messa a disposizione in favore dei lavoratori dei mezzi individuali di protezione, la misurazione periodica dei livelli di esposizione, l’apprestamento di particolari misure in ordine agli indumenti di lavoro) (v. ad es. Cass. 16256/2003; Cass. 16119/2005; Cass. 400/2007; Cass. 18495/2007; Cass. 29660/2008; Cass. 849/2009; Cass. 4650/2009; Cass. 17916/2010;

Cass.21089/2010).

14. Merita soggiungere che il D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 59-deties, introdotto dal D.Lgs. n. 257 del 2006, art. 2, ha ormai fissato (in attuazione della già rammentata direttiva comunitaria) nel valore di 0,1 fibre per centimetro cubo il limite massimo di esposizione ad amianto.

15. E che la stessa soglia è stata recepita, con utilizzazione di una diversa unità di misura, dal D.L. n. 269 del 2003, art. 47 (conv., con modificazioni, nella L. n. 326 del 2003 e la cui portata è stata ulteriormente precisata dalla L. n. 350 del 2003, art. 3, comma 132), che, se ha modificato ratione temporis la portata e la misura del beneficio contributivo accordato, ha, comunque, confermato la necessità, anche con riferimento al periodo pregresso, di una soglia di esposizione quantitativamente precisata (cfr. Cass. 21257/2004; Cass. 400/2007).

16. Alla luce di tali precedenti, il ricorso non offre elementi per non dare continuità all’orientamento già espresso dalla Corte.

n. Nel rigetto dei precedenti motivi resta assorbito l’esame dell’ultimo mezzo di impugnazione, comunque non conforme alla regola dell’autosufficienza non avendo la parte ricorrente riprodotto il contenuto del documento su cui si fonda la doglianza.

18. Il ricorso va, pertanto, rigettato.

19. Nulla sulle spese, in applicazione dell’art. 152 disp. att. c.p.c., nel testo (anteriore alla novella di cui al D.L. n. 269 del 2003, art. 42, comma 2, conv. nella L. n. 326 del 2003, entrato in vigore il 2.10.2003) vigente ratione temporis.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; nulla spese.

Così deciso in Roma, il 10 maggio 2012.

Depositato in Cancelleria il 11 luglio 2012

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