Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 11-07-2012, n. 11665 Contratto a termine

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza del 14 febbraio 2006 la Corte d’Appello di Roma, in riforma della sentenza del Tribunale di Roma del 29 maggio 2002, ha dichiarato la nullità del termine apposto al contratto di lavoro intercorso tra la Poste Italiane s.p.a. e L.P.S. con decorrenza 1 giugno 1999 e la conseguente sussistenza di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato con detta decorrenza, ed ha condannato le Poste Italiane al pagamento in favore della L.P. del risarcimento del danno commisurato alle retribuzioni maturate dalla data di costituzione in mora nei limiti del triennio decorrente dalla cessazione del rapporto. Con la stessa sentenza è stato invece riconosciuto valido il termine apposto al precedente contratto stipulato fra le parti per il periodo 17 marzo 1998 – 30 aprile 1998 per esigenze eccezionali conseguenti alla fase di ristrutturazione in corso.

La Corte territoriale ha considerato che il contratto in questione è stato stipulato dopo lo spirare del termine massimo di vigenza della contrattazione collettiva che autorizzava le ipotesi ulteriori di apposizione del termine ai contratti con le Poste Italiane ai sensi della L. n. 56 del 1987, art. 23. In ordine al risarcimento del danno la Corre ha considerato l’onere di doverosa cooperazione che la parte creditrice deve prestare nell’esercizio del proprio diritto, per cui ha limitato tale risarcimento al triennio successivo al termine del rapporto.

Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione la soc. Poste Italiane articolandolo su due motivi.

Resiste con controricorso la L.P. che svolge ricorso incidentale, affidato ad un unico motivo, chiedendo dichiararsi la nullità della proroga disposta al primo dei rapporti fra le parti e la conseguente costituzione inter partes di un unico rapporto a tempo indeterminato dalla data della sua attuazione o da quello ritenuto di giustizia.

La L.P. ha presentato memoria.
Motivi della decisione

I ricorsi vanno riuniti essendo proposti avverso la medesima sentenza.

Con il primo motivo si deduce violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione agli artt. 1362 e segg. cod. civ. e art. 425 cod. proc. civ. e insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine alla efficacia dell’accordo del 25 settembre 1997 integrativo dell’art. 8 del CCNL del 1994. In particolare si assume che detto accordo non conterrebbe alcuna limitazione temporale; che gli accordi ed i verbali intervenuti tra le parti successivamente al 25 settembre 1997 e sino al 18 gennaio 2001, non avevano natura negoziale ma meramente ricognitiva del fenomeno della ristrutturazione e riorganizzazione aziendale in atto e della necessità di stipulare ulteriori contratti a termine; che i termini individuati negli accordi successivi a quello del 25 settembre 1997 non si riferiscono alla scadenza dell’autorizzazione a stipulare contratti a termine ma alla durata delle assunzioni, una volta accertata la persistenza delle esigenze riorganizzative di cui all’accordo; che la posizione giuridica azionata nel giudizio potrebbe definirsi quale diritto quesito e quindi indisponibile da parte degli agenti contrattuali anche prima dell’accertamento giudiziale della sua esistenza.

Con il secondo motivo si lamenta violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione agli artt. 1217 e 1233 cod. civ.. In particolare si deduce che è stato disposto il pagamento delle retribuzioni a decorrere dalla data della messa in mora anzichè dell’effettiva ripresa della attività lavorativa, e non è stato svolto alcun accertamento riguardo all’aliunde perceptum.

Con il ricorso incidentale si lamenta violazione e falsa applicazione della L. n. 56 del 1987, artt. 2 e 3 sul tema della proroga apposta al primo dei contratti inter partes. In particolare si deduce che anche per la proroga in questione sarebbe necessaria la sussistenza di esigenze contingenti ed imprevedibili diverse da quelle che hanno giustificato l’originario contratto, circostanza non verificatasi nella fattispecie in esame.

Il primo motivo del ricorso principale è infondato. Osserva il Collegio che la Corte di merito ha attribuito rilievo decisivo alla considerazione che il contratto in esame è stato stipulato, per esigenze eccezionali ai sensi dell’art. 8 del CCNL del 1994, come integrato dall’accordo aziendale 25 settembre 1997, in data successiva al 30 aprile 1998 (e anteriormente alla operatività del CCNL del 2001), in epoca cioè in cui "era venuta meno la contrattazione "utorizzatoria". Tale considerazione, in base all’indirizzo ormai consolidato in materia dettato da questa Corte (con riferimento al sistema vigente anteriormente al CCNL del 2001 ed al D.Lgs. n. 368 del 2001), è sufficiente a sostenere l’impugnata decisione, in relazione alla nullità del termine apposto al contratto de quo. Al riguardo, sulla scia di Cass. S.U. 2 marzo 2006 n. 4588, è stato precisato che "l’attribuzione alla contrattazione collettiva, L. n. 56 del 1987, ex art. 23, del potere di definire nuovi casi di assunzione a termine rispetto a quelli previsti dalla L. n. 230 del 1962, discende dall’intento del legislatore di considerare l’esame congiunto delle parti sociali sulle necessità del mercato del lavoro idonea garanzia per i lavoratori ed efficace salvaguardia per i loro diritti (con l’unico limite della predeterminazione della percentuale di lavoratori da assumere a termine rispetto a quelli impiegati a tempo indeterminato) e prescinde, pertanto, dalla necessità di individuare ipotesi specifiche di collegamento fra contratti ed esigenze aziendali o di riferirsi a condizioni oggettive di lavoro o soggettive dei lavoratori ovvero di fissare contrattualmente limiti temporali all’autorizzazione data al datore di lavoro di procedere ad assunzioni a tempo determinato" (v. Cass. 4 agosto 2008 n. 21063, Cass. 20 aprile 2006 n. 9245, Cass. 7 marzo 2005 n. 4862, Cass. 26 luglio 2004 n. 14011). "Ne risulta, quindi, una sorta di "delega in bianco" a favore dei contratti collettivi e dei sindacati che ne sono destinatari, non essendo questi vincolati alla individuazione di ipotesi comunque omologhe a quelle previste dalla legge, ma dovendo operare sul medesimo piano della disciplina generale in materia ed inserendosi nel sistema da questa delineato" (v., fra le altre, Cass. 4 agosto 2008 n. 21062, Cass. 23 agosto 2006 n. 18378). In tale quadro, ove però, come nel caso di specie, un limite temporale sia stato previsto dalle parti collettive (anche con accordi integrativi del contratto collettivo) la sua inosservanza determina la nullità della clausola di apposizione del termine (v. fra le altre Cass. 23 agosto 2006 n. 18383, Cass. 14 aprile 2005 n. 7745, Cass. 14 febbraio 2004 n. 2866). In particolare, quindi, come questa Corte ha costantemente affermato e come va anche qui ribadito, "in materia di assunzioni a termine di dipendenti postali, con l’accordo sindacale del 25 settembre 1997, integrativo dell’art. 8 del CCNL 26 novembre 1994, e con il successivo accordo attuativo, sottoscritto in data 16 gennaio 1998, le parti hanno convenuto di riconoscere la sussistenza della situazione straordinaria, relativa alla trasformazione giuridica dell’ente ed alla conseguente ristrutturazione aziendale e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso di attuazione, fino alla data del 30 aprile 1998. Ne consegue che deve escludersi la legittimità delle assunzioni a termine cadute dopo il 30 aprile 1998, per carenza del presupposto normativo derogatorio, con l’ulteriore conseguenza della trasformazione degli stessi contratti a tempo indeterminato, in forza dell’art. 1 della legge 18 aprile 1962 n. 230" (v., fra le altre, Cass. 1 ottobre 2007 n. 20608; Cass. 28 gennaio 2008 n. 28450; Cass. 4 agosto 2008 n. 21062; Cass. 27 marzo 2008 n. 7979, Cass. 18378/2006 cit.). Tanto basta per respingere i motivi di ricorso in esame relativi tutti al limite temporale a cui sono subordinate le assunzioni a termini delle Poste Italiane, così confermandosi la declaratoria di nullità del termine apposto al contratto de quo.

Il secondo motivo è inammissibile La prima censura risulta del tutto generica e priva di autosufficienza in quanto si incentra nella doglianza circa la mancanza di una verifica da parte della Corte territoriale sul punto, ma non indica se e in che modo il punto stesso (per nulla trattato nell’impugnata sentenza) fosse stato oggetto di specifico motivo di appello da parte della società (cfr.

Cass. 15 febbraio 2003 n. 2331, Cass. 10 luglio 2001 n. 9336).

Peraltro la ricorrente neppure riporta il contenuto della comunicazione (dell’istanza per il tentativo obbligatorio di conciliazione, cfr. Cass. Cass. 28 luglio 2005 n. 15900, Cass. 30 agosto 2006 n. 18710) che secondo il suo assunto non avrebbe integrato la messa in mora.

Parimenti, poi, del tutto generica e priva di autosufficienza è la censura relativa all’aliunde perceptum. Anche al riguardo la ricorrente non specifica come e in quali termini abbia allegato davanti ai giudici di merito un aliunde perceptum (in relazione al quale è pur sempre necessaria una rituale acquisizione della allegazione e della prova, pur non necessariamente proveniente dal datore di lavoro in quanto oggetto di eccezione in senso lato (cfr.

Cass. 16 maggio 2005 n. 10155, Cass. 20 giugno 2006 n. 14131, Cass. 10 agosto 2007 n. 17606, Cass. S.U. 3 febbraio 1998 n. 1099).

E’ invece fondato il ricorso incidentale. La corte territoriale si è limitata a verificare che la proroga del contratto di lavoro a termine in questione fosse nei limiti temporali di applicabilità della L. n. 56 del 1987 e dei conseguenti accordi, senza verificare se, nel caso concreto, sussistessero i presupposti di fatto che consentissero il ricorso al contratto a termine stesso.

La sentenza impugnata deve dunque essere cassata con rinvio alla Corte d’Appello di Roma in diversa composizione che provvedere alla verifica della sussistenza delle condizioni a cui la L. n. 56 del 1987, art. 23 subordina la validità dei contratti a termine.

Lo stesso giudice di rinvio provvederà al regolamento delle spese del presente giudizio.
P.Q.M.

La Corte di Cassazione riunisce i ricorsi; rigetta il ricorso principale; accoglie il ricorso incidentale e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’Appello di Roma in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 26 aprile 2012.

Depositato in Cancelleria il 11 luglio 2012

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