Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 11-07-2012, n. 11664 Contratto a termine

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza del 17 febbraio 2006 la Corte d’Appello di Roma ha confermato la sentenza del Tribunale di Roma del 19 febbraio 2004 che ha dichiarato la nullità del termine apportato al contratto di lavoro stipulato tra C.M. e Poste Italiane s.p.a. con decorrenza 2 agosto 1999 ed ha condannato la società convenuta al pagamento in favore del lavoratore delle retribuzioni dal 9 giugno 2003.

La Corte territoriale ha motivato tale sentenza considerando che Poste Italiane non ha provato la sussistenza delle circostanza che giustificherebbero il ricorso al contratto a termine ai sensi dell’ari. 3 della legge n. 230 del 1962, prova comunque necessaria anche dopo l’entrata in vigore del decreto legislativo n. 368 del 6 settembre 2001. In ordine al quantum la Corte territoriale ha considerato il difetto di qualsiasi censura in merito.

Poste Italiane propone ricorso avverso tale sentenza articolandolo su due motivi.

Il C. resta intimato.
Motivi della decisione

Con il primo motivo si lamenta violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione alla L. n. 230 del 1962, alla L. n. 56 del 1987, art. 23 ed agli artt. 1362 e seguenti cod. civ.. In particolare si deduce che la norma citata conferirebbe ampio margine alle parti contraenti riguardo alle ipotesi in cui è possibile il ricorso ai contratti a termine, mentre non sarebbe legittima l’interpretazione restrittiva adottata dalla Corte territoriale che ha limitato dette ipotesi al termine di durata del contrato collettivo che le prevede.

Con il secondo motivo si lamenta violazione e falsa applicazione di norme di diritto con riferimento agli artt. 1217 e 1233 cod. civ. in relazione alla disposta condanna al pagamento delle retribuzioni decorrenti dalla data di messa in mora. In particolare si deduce che non sarebbe stato valutato l’aliunde perceptum dedotto dalla società datrice di lavoro che, nell’impossibilità di fornire la prova su tale circostanza, ha comunque richiesto un accertamento non considerato con la dovuta diligenza.

Il primo motivo è improcedibile. Questa Corte ha ripetutamente affermato che è improcedibile il ricorso per Cassazione con cui la parte censuri la sentenza impugnata lamentando l’erronea interpretazione del contratto collettivo fatta dal giudice del merito ove non produca nel proprio fascicolo di parte il contratto collettivo de quo, sempre che sia necessario al giudice di legittimità esaminare specificamente la norma denunciata e che non soccorrano altri univoci elementi acquisiti. Nel caso in esame la ricorrente lamenta la violazione di legge anche con riferimento a norme che rinviano a contratti collettivi il cui esame è necessario per valutare la fondatezza del gravame e, in particolare, la conformità dei contratti stessi al disposto normativo. L’esame di tali contratti, quindi, è necessario al fine di giudicare sulla denunciata illegittimità. L’improcedibilità del primo motivo rende superfluo l’esame del secondo che resta assorbito.

Nulla si dispone sulle spese soccombendo l’unica parte costituita.
P.Q.M.

La corte di Cassazione dichiara improcedibile il primo motivo e assorbito il secondo.

Nulla sulle spese.

Così deciso in Roma, il 26 aprile 2012.

Depositato in Cancelleria il 11 luglio 2012

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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