Cassazione, Sez. II, 1 dicembre 2010, n. 24381 Parcella corredata dal parere dell’Ordine, è una prova privilegiata?

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Svolgimento del processo

La C. C. s.p.a. proponeva opposizione avverso il decreto con cui il Presidente del Tribunale di Salerno le aveva ingiunto di pagare al rag. R. V. il corrispettivo di prestazioni professionali in materia societaria, contabile, fiscale e contenziosa in suo favore svolta dal 1986 al dicembre 1996.

Eccepiva la prescrizione presuntiva di cui all’art. 2956 c.c., e, per quanto concerneva le prestazioni eseguite negli anni 1994 e 1995, la pattuizione di un compenso forfettario, mentre per altre prestazioni deduceva di avere incaricato altro professionista.

L’opposto chiedeva il rigetto dell’opposizione.

Con sentenza del 9 febbraio 2002 il Tribunale rigettava l’opposizione.

Con sentenza dep. il 30 novembre 2004 la Corte di appello di Salerno rigettava l’impugnazione proposta dall’opponente.

Nel confermare il rigetto dell’eccezione di prescrizione presuntiva, i Giudici di appello rilevavano che, contrariamente a quanto sostenuto dall’appellante, l’eccezione era stata disattesa dal Tribunale, il quale aveva ritenuto l’esistenza di un rapporto continuativo e coordinato e non di unico rapporto, sul rilievo che la presunzione era incompatibile con le altre deduzioni in proposito formulate dall’opponente e il motivo al riguardo proposto con il gravame era da ritenersi generico. Per quanto concerneva la contabilità e redazione del bilancio per gli anni 1993 – 1994, la contestazione degli importi dovuti formulata per la prima volta con i motivi di gravame, era inammissibile ex art. 345 c.p.c.: al riguardo, per tali attività, era stata dedotta la pattuizione di un compenso convenzionale, di cui però il Tribunale aveva escluso che fosse stata fornita la prova con statuizione che non risultava impugnata. Parimenti era da considerarsi nuova la deduzione circa la non congruità del compenso preteso per “verifica predisposizione, redazione pratiche CIGS L. 12 agosto 1987”.

Avverso tale decisione propone ricorso per cassazione La C. C. s.p.a. sulla base di tre motivi.

Resiste con controricorso l’intimato che ha depositato memoria illustrativa.

Motivi della decisione

Con il primo motivo la ricorrente, lamentando violazione e falsa applicazione dell’art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione agli artt. 2596, 2597 e 2598 c.c., nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., n. 5), deduce che le sentenze di primo e di secondo grado avevano disatteso l’eccezione di prescrizione presuntiva, fondando la decisione sul presupposto indimostrato della unitarietà delle prestazioni che invece si erano svolte in un ampio arco temprale ed erano state fra loro eterogenee.

L’affermazione dei Giudici di appello, secondo cui il Tribunale non avrebbe ritenuto l’unitarietà della prestazione svolta e che il rigetto dell’eccezione si sarebbe basato sulle altre deduzioni, facendo riferimento all’esistenza di un rapporto continuativo e coordinato intercorso dal 1986 al 1996; in tal modo i Giudici erano incorsi in un duplice errore: avevano considerato i concetti di unicum temporale e di rapporto di clientela continuativo e coordinato come se fossero logicamente differenti e, aderendo alla motivazione di primo grado, erano entrati in contraddizione con se stessi quando avevano erroneamente affermato che il rigetto dell’eccezione di prescrizione presuntiva era stato fondato dal primo Giudice in virtù delle altre deduzioni formulate quando in realtà le uniche deduzioni addotte avevano riguardato la configurabilità dell’unicum temporale delle prestazioni svolte.

Il motivo è infondato.

La sentenza, nell’esaminare la censura al riguardo formulata dall’appellante, ha escluso che il Tribunale avesse ritenuto l’esistenza di una prestazione svolta in un unicum temporale, rilevando come il primo Giudice avesse fatto riferimento a un rapporto di clientela continuativo e coordinato intercorso dal 1986 al 1996 e che il rigetto dell’eccezione era fondato sulla incompatibilità delle altre deduzioni formulate dall’opponente con l’eccezione stessa. Al riguardo, i Giudici di appello hanno disatteso il motivo di gravame ritenendo generica e, quindi, evidentemente inammissibile la relativa doglianza, in tal modo non esaminando nel merito la questione circa la natura e la qualificazione del rapporto professionale intercorso fra le parti, il cui esame è evidentemente precluso in questa sede: sarebbe stato onere del ricorrente dedurre e dimostrare la specificità della predetta censura trascrivendo, in virtù del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, il testo del relativo motivo di gravame.

Con il secondo motivo la ricorrente, lamentando violazione e falsa applicazione dell’art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione all’art. 345 c.p.c., nonché motivazione carente o insufficiente, censura la sentenza impugnata laddove aveva ritenuto inammissibile ai sensi dell’art. 345 c.p.c., la domanda di parte opponente, relativamente alle prestazioni effettuate dal 1993 al 1995, quando vi era stata una contestazione ben precisa in primo grado ovvero la deduzione della pattuizione di un compenso forfettario.

Il motivo infondato.

La sentenza ha, in realtà, preso in considerazione l’(unica) circostanza che, secondo quanto rilevato dai Giudici, era stata dedotta dall’opponente per contestare il credito relativo all’attività di contabilità e redazione del bilancio anni 1993 e 1994 – cioè, la prova della pattuizione di un compenso forfettario – e ha escluso che l’opponente l’avesse fornita: in particolare, i Giudici hanno rilevato che non vi era stato gravame in ordine alla statuizione del giudice di primo grado che aveva accertato la mancata dimostrazione del suddetto accordo. Ed invero, nel disattendere il motivo con cui era stata denunciata la congruità del quantum preteso, la sentenza ha osservato che in proposito nessuna contestazione era stata mossa dall’appellante che per l’appunto si era limitata ad invocare l’accordo di cui si è detto: il rilievo circa l’inammissibilità, ex art. 345 c.p.c., della prospettazione formulata con i motivi di gravame era riferito alla (mancata) contestazione della congruità degli importi rispetto all’entità delle prestazioni effettuate.

Con il terzo motivo la ricorrente, lamentando violazione e falsa applicazione dell’art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione all’art. 2697 c.c., nonché carenza di motivazione, censura la sentenza che, invertendo l’onere della prova, aveva accolto la domanda proposta dall’attore fondando il proprio convincimento sulla asserita mancata contestazione da parte del debitore quando invece avrebbe dovuto accertare che l’attore non aveva assolto l’onere a lui incombente di provare i fatti costitutivi del diritto azionato, posto che: il credito azionato con il ricorso per decreto ingiuntivo si fondava esclusivamente sul parere del Collegio professionale che non può integrare la prova dell’an e del quantum debeatur del compenso nel giudizio a cognizione piena.

Il motivo va disatteso.

Occorre qui considerare che, come già sopra accennato, la sentenza ha ritenuto ormai tardiva, perché formulata per la prima volta in sede di gravame, la contestazione degli importi dovuti: tale affermazione non risulta oggetto di specifica censura che avrebbe dovuto avere ad oggetto eventualmente l’error in procedendo concernente la questione relativa alla possibilità di contestare in appello il fatto costitutivo del diritto azionato.

Alla stregua di tale premessa, la sentenza ha fondato il proprio convincimento, ai sensi dell’art. 116 c.p.c., valutando le stesse allegazioni difensive della parte che, nei contrastare la misura del credito pretesa, si era limitata a invocare la previsione convenzionale di un compenso, in tal modo dimostrando di non avere alcuna contestazione da fare valere sulla congruità della liquidazione.

Occorre qui ricordare che, in tema di opposizione a decreto ingiuntivo avente ad oggetto il pagamento di prestazioni professionali, se la parcella corredata dal parere del competente Consiglio dell’ordine di appartenenza del professionista, ha valore di prova privilegiata e carattere vincolante per il giudice soltanto ai fini dell’ingiunzione e non riveste tale valore probatorio nel successivo giudizio di opposizione (costituendo semplice dichiarazione unilaterale del professionista), in cui il creditore opposto assume la veste sostanziale di attore, incombe al medesimo l’onere probatorio ex art. 2697 c.c., ove vi sia contestazione da parte dell’opponente in ordine all’effettività ed alla consistenza delle prestazioni eseguite. Pertanto, non è fondata la censura secondo cui i Giudici non avrebbero osservato i principi in materia di onere della prova, atteso che la parte istante è dispensata dal provare i fatti allegati a sostegno della domanda che, non essendo stati contestati, devono ritenersi pacifici, dovendo qui ricordarsi che, ai sensi dell’art. 167 c.p.c., il convenuto (sostanziale) – nella specie l’opponente – ha l’onere di prendere posizione sui fatti posti dall’attore (sostanziale) – l’opposto – a base della domanda.

Il ricorso va rigettato.

Le spese della presente fase vanno poste a carico della ricorrente, risultata soccombente.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Condanna la ricorrente al pagamento in favore del resistente delle spese relative alla presente fase che liquida in Euro 5.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi ed Euro 5.000,00 per onorari di avvocato oltre spese generali ed accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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