Cassazione, Sez. III, 30 novembre 2010, n. 24262 Ingiunzioni, l’individuazione del destinatario emerge dal tenore letterale del titolo esecutivo

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Svolgimento del processo

L’Agenzia D. V. P. P. s.n.c. propose opposizione all’esecuzione promossa nei suoi confronti dalla società R. R. S. s.r.l. con atto di pignoramento presso terzi, sulla base di un’ordinanza ingiunzione ex art. 186 ter c.p.c. emessa in un giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo.

Il Tribunale di La Spezia ritenne che l’Agenzia fosse destinataria, in proprio, del titolo esecutivo e rigettò l’opposizione.

La Corte d’Appello di Genova, a seguito di appello proposto dall’Agenzia, ha invece accolto l’opposizione, rilevando che dal tenore letterale del titolo esecutivo si doveva desumere che l’ingiunzione di pagamento era rivolta nei confronti dell’Agenzia “nella qualità di agente raccomandatario marittimo degli armatori di cui alle fatture allegate al decreto ingiuntivo opposto”; sicché, secondo i principi generali dettati dall’art. 288 c.n., la condanna del raccomandatario produceva i suoi effetti nei confronti degli armatori e/o dei vettori da questo rappresentati.

Avverso la sentenza della Corte d’Appello di Genova ha proposto ricorso per cassazione la società R. R. S. s.r.l. a mezzo di due motivi. Non si è costituita l’intimata.

Motivi della decisione

Col primo motivo del ricorso è stato dedotto il vizio di omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione, nonché la violazione del disposto di cui agli artt. 112,134,186 ter e 474 c.p.c.; col secondo motivo del ricorso è stato dedotto il medesimo vizio, con riferimento ad altri fatti controversi, nonché la violazione del disposto di cui agli artt. 1411 e 1388 c.c. e dell’art. 288 c.n.

Premesso che l’interpretazione del titolo esecutivo compiuta dal giudice dell’opposizione a precetto o all’esecuzione si risolve nell’apprezzamento di un “fatto”, come tale incensurabile in sede di legittimità se esente da vizi logici o giuridici (cfr., da ultimo Cass. 6 luglio 2010 n. 15852), deve escludersi che la sentenza impugnata sia affetta dai vizi denunciati.

Infatti, col primo motivo è dedotto un vizio di motivazione perché la sentenza impugnata non avrebbe considerato che il titolo esecutivo è stato pronunciato all’interno di un giudizio già in corso tra determinati soggetti e non avrebbe tenuto conto degli atti di questo giudizio, da cui risultava che tali soggetti, erano la R. R. S. e l’Agenzia D. V. (opponente in proprio al decreto ingiuntivo emesso nei suoi confronti) in proprio, e da cui risultava, altresì, che la società R. R. S. aveva richiesto l’ordinanza ingiunzione nei confronti dell’Agenzia, in proprio, con istanza richiamata nella motivazione dell’ordinanza ex art. 186 ter c.p.c..

Per tale parte, il motivo è infondato, poiché è pur vero che il titolo esecutivo possa essere interpretato anche facendo ricorso agli atti del giudizio all’interno od all’esito del quale si è formato (cfr. Cass. 14 marzo 2003 n. 3786, nonché Cass. ord. 22 febbraio 2008 n. 4651), tuttavia ciò si rende necessario solo quando l’interpretazione letterale del titolo stesso non consenta di addivenirne ad una certa.

La Corte d’Appello di Genova ha congruamente e logicamente motivato sulla sufficienza, nel caso di specie, dell’interpretazione letterale del titolo al fine di individuare, senza alcuna incertezza, la qualità del soggetto passivo destinatario dell’ingiunzione. Atteso il chiaro tenore letterale del titolo esecutivo, l’eventuale discordanza tra i soggetti costituiti nel giudizio in cui questo si è formato ed i soggetti contemplati nel titolo stesso, così come la mancata corrispondenza soggettiva tra il destinatario della richiesta di ingiunzione ed il destinatario della condanna, avrebbero potuto tutt’al più costituire un vizio intrinseco al titolo, non rilevante in sede esecutiva: ciò è stato correttamente osservato nella sentenza impugnata, nel richiamare il consolidato principio della preclusione di ogni indagine da parte del giudice dell’opposizione all’esecuzione sul contenuto intrinseco del titolo, al fine di sindacarne la legittimità o di invalidarne l’efficacia.

Il profilo del primo motivo, concernente l’esistenza di un apparente contrasto (nella parte dispositiva dell’ordinanza ingiunzione) tra la condanna al pagamento del capitale e quella al pagamento delle spese, è in parte inammissibile (laddove volto a conseguire dalla Corte di legittimità una nuova valutazione di fatto concernente il titolo esecutivo) ed in parte infondato (laddove censura il vizio della motivazione), per avere la sentenza congruamente e logicamente motivato in ordine al denunziato contrasto argomentativo.

Parimenti infondato è il secondo motivo di ricorso. Infatti, immune da vizi è la motivazione della sentenza impugnata sul primo dei fatti dedotti attraverso questo mezzo (cioè il fatto, richiamato nella parte motiva dell’ordinanza ingiunzione, che l’Agenzia aveva ottenuto dai propri mandanti autorizzazione al pagamento, divenendo così essa stessa obbligata), avendo la Corte spiegato congruamente e logicamente la rilevanza dell’autorizzazione al pagamento delle fatture di cui al decreto ingiuntivo, come premessa funzionale proprio all’ingiunzione di pagamento rivolta all’Agenzia, quale rappresentante degli armatori/vettori dalla stessa rappresentati, e non in proprio, così corroborando la propria interpretazione del titolo esecutivo.

Col altro profilo del secondo motivo di ricorso, la ricorrente (sempre sotto specie di vizio della motivazione) sostiene che la sentenza erroneamente non avrebbe tenuto conto del fatto che la specificazione formale della qualità dell’Agenzia contenuta nell’ordinanza-ingiunzione (“agente raccomandatario marittimo degli armatori di cui alle fatture allegate al decreto ingiuntivo opposto”) si riferiva alla causa petendi della condanna, non anche alla qualità del soggetto destinatario dell’ingiunzione, visto che i rappresentati non erano determinati né determinabili.

Il fatto non è decisivo e come tale non incide sulla conclusione alla quale è pervenuto il giudice. Infatti, la condanna del rappresentante, in tale qualità, non necessita affatto dell’individuazione nominativa dei rappresentati, essendo sufficiente quella per relationem, così come contenuta nel titolo esecutivo di che trattasi, poiché questo non avrebbe dovuto essere portato ad esecuzione nei confronti di ciascuno dei rappresentati, come sembra ritenere la società ricorrente, bensì nei confronti dell’Agenzia, non in proprio, ma appunto nella qualità indicata nel titolo stesso, secondo quanto ritenuto dalla Corte territoriale.

Quanto, poi, alla censura relativa all’interpretazione del titolo esecutivo, essa si rivela inammissibile per mancata specificazione dei canoni ermeneutici legali che si assume essere stati violati.

Quanto, infine, alle norme di diritto alle quali è fatto riferimento nel motivo in trattazione, della relativa censura non è dato di cogliere la specificità in relazione alla questione posta.

Nulla sulle spese del giudizio di cassazione, attesa la mancata difesa dell’intimata.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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