Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 10-12-2012) 18-03-2013, n. 12611

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. S.L. ricorre per cassazione avverso l’ordinanza del Tribunale del riesame di Roma in data 12-9-12, che ha confermato l’ordinanza di arresti domiciliari emessa dal Tribunale di Velletri, in composizione monocratica, il 31-8-12, all’esito dell’udienza di convalida dell’arresto dell’indagato per il delitto di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, in relazione alla coltivazione di dieci piante di mariuana e alla detenzione di ulteriori 48 gr lordi sempre di marjiuana e di un grammo di hashish.

2. Il ricorrente deduce, con unico motivo, violazione del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 e art. 274 c.p.p., lett. c) e vizio di motivazione poichè il giudice a quo non ha esaminato il profilo inerente all’offensività della condotta, considerato che le piante non erano giunte a maturazione e che non vi era traccia di una finalità di spaccio dello stupefacente, che è stato peraltro analizzato soltanto con un test chimico non completamente attendibile. Erroneamente, poi, il Tribunale ha accomunato la coltivazione e la detenzione illegale, non tenendo conto della finalità di uso personale di quest’ultima condotta, attesa l’esiguità del dato ponderale.

2.1. In ordine alle esigenze cautelari, infine, occorre rilevare come il Tribunale non abbia tenuto in debita considerazione l’incensuratezza dell’indagato, quantomeno ai fini dell’applicazione di una misura gradata. Si chiede pertanto annullamento dell’ordinanza impugnata.
Motivi della decisione

3. Risulta dagli atti che il Tribunale di Velletri, all’udienza del 29-9-12, ha disposto la scarcerazione dell’imputato. E’ perciò da considerarsi venuto meno l’interesse al ricorso. Come è noto, l’interesse richiesto dall’art. 568 c.p.p., comma 4 è requisito di ammissibilità di qualsiasi impugnazione ed è correlato agli effetti primari e diretti del provvedimento impugnato. Esso sussiste solo se il gravame sia idoneo a costituire, attraverso l’eliminazione del predetto provvedimento, una situazione pratica più vantaggiosa per l’impugnante (cfr., ex plurimis, Cass. Sez. un. 13-12-95, Timpani, rv 203093; Cass. Sez 1, 17-10-2003, n 47496, Arch n. proc. Pen 2004, 217). L’interesse in disamina deve essere concreto e cioè mirare a rimuovere l’effettivo pregiudizio che la parte asserisce di aver subito con il provvedimento impugnato. Esso, pertanto, deve persistere fino al momento della decisione. Ne consegue che è inammissibile il ricorso per cassazione contro il provvedimento del tribunale che, all’esito del riesame, abbia confermato la misura cautelare applicata, qualora l’imputato, nelle more del giudizio, sia stato rimesso in libertà poichè l’eventuale accoglimento dell’impugnazione verrebbe in ogni caso a cadere su un provvedimento ormai privo di efficacia (Sez. un. 25-6-97, Chiappetta, rv 208165).

D’altronde, le Sezioni unite hanno stabilito che, in tema di ricorso avverso il provvedimento applicativo di una misura cautelare custodiale nelle more revocata, perchè possa ritenersi comunque sussistente l’interesse del ricorrente a coltivare l’impugnazione in riferimento ad una futura utilizzazione dell’eventuale pronuncia favorevole ai fini del riconoscimento della riparazione per ingiusta detenzione, è necessario che la circostanza formi oggetto di specifica e motivata deduzione, idonea ad evidenziare in termini concreti il pregiudizio che deriverebbe dal mancato conseguimento della predetta pronuncia, formulata personalmente dall’interessato.

Deduzione che, nel caso di specie, non vi è stata (Cass. Sez un. 16.12.2010, Testini, rv 249002).

4. Poichè il venir meno dell’interesse alla decisione del ricorso per cassazione è sopraggiunto alla sua proposizione, va escluso, conformemente ad un consolidato orientamento giurisprudenziale (Cass., Sez. un. 9-10-1996, Vitale, rv 206168; Cass Sez. un. 25.6.97, rv 208166), che alla declaratoria di inammissibilità seguano la condanna al pagamento delle spese processuali e quella al pagamento della sanzione pecuniaria, non essendo configurabile un’ipotesi di soccombenza.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso per sopravvenuta carenza di interesse.

Così deciso in Roma, nella udienza, il 10 dicembre 2012.

Depositato in Cancelleria il 18 marzo 2013

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