Cass. civ. Sez. II, Sent., 12-07-2012, n. 11840

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

R. B., P. M., L. M. ed E. V. convenivano in giudizio, innanzi al Tribunale di Sanremo, Me.Do., V.E., M.P. e C.R. per la divisione di un immobile comune, costituito da un vano seminterrato adibito a box auto, posto nel condominio (OMISSIS).

Tutti i convenuti aderivano alla domanda di scioglimento della comunione.

In corso di causa Me.Do. ed E.V. alienavano la loro quota a P. M. e C. R., mentre E. V. donava la propria quota a L. M.

Il Tribunale, ritenuta l’indivisibilità del bene sulla base delle consulenze tecniche svolte, assegnava l’immobile ai condividenti Br.Re., P. M. e L. M., che ne avevano chiesto l’attribuzione ai sensi dell’art. 720 c.c., disponendo con separata ordinanza per la quantificazione dell’addebito di eccedenza.

L’impugnazione proposta da M.P. e C.R., che deduceva la divisibilità del fondo, era respinta dalla Corte d’appello di Genova, con sentenza n. 1248 dell’11.12.2009.

Riteneva la Corte territoriale che l’assoluta indivisibilità del vano era stata affermata e ribadita nelle varie relazioni tecniche depositate dal c.t.u. (necessitate dalla variazione in corso di causa delle quote dei partecipanti), e che la diversa soluzione ipotizzata dagli appellanti non era realizzabile, come ritenuto dallo stesso c.t.u., per la presenza di disimpegni e passaggi frapposti e ristretti, date le aperture disponibili, sicchè, in definitiva, con riferimento alle quattro quote residue, il frazionamento in natura dell’immobile era irrealizzabile, per l’impossibilità di formare in concreto porzioni suscettibili di autonomo e libero godimento, non compromesso da servitù, pesi o limitazioni eccessive. Riteneva, inoltre, che le quote di comproprietà erano (all’esito dei mutamenti intervenuti in corso di causa) quattro, non sussistendo comunione legale sul bene tra i coniugi B. – m., date le diverse provenienze delle loro rispettive quote; e che non era possibile effettuare differenti accorpamenti di quote, arbitrari se non richiesti dalle stesse parti interessate.

Per la cassazione di tale sentenza ricorrono M.P. e C.R., formulando nove motivi d’impugnazione, illustrati da memoria.

Resistono con controricorso B.R. e m.l..

Le altre parti intimate – P. M. ed V.E. – non hanno svolto attività difensiva.
Motivi della decisione

1. – Col primo motivo d’impugnazione parte ricorrente deduce l’insufficiente e contraddittoria motivazione sulla possibilità di formare e individuare il numero dei lotti.

Sostiene che la Corte d’appello avrebbe dovuto "analizzare nel dettaglio la reale situazione fattuale e giuridica del bene oggetto di divisione, quale enunziatagli da entrambe le parti, nonchè quale risultante dall’analisi, nella loro integralità, delle c.t.u.

effettuate, ovvero non solo estrapolandone le porzioni che, senza adeguata analisi e ponderazione, venivano poste a fondamento della sentenza". Deduce, in particolare, che "se tre appaiono formalmente (dovendosi comunque considerare un unicum i coniugi B. – m.), le parti in causa di divisione, in effetti le stesse si riducono a due, risultando la signora m.P., al pari della signora V.E., null’altro che (…) un convitato di pietra al presente procedimento". Sostiene, quindi, che l’atto notaio Panico del 16.6.1988, con il quale B.R. acquistò, fra l’altro, la quota di 1/6 dell’immobile oggetto dell’odierno giudizio di divisione, è simulato nella parte in cui la moglie, m.

L., in comunione legale dei beni col marito, vi prese parte al fine di dichiarare di escludere l’acquisto dalla comunione stessa, allo scopo – evidente anche se ovviamente non dichiarato – di permettere al marito di giovarsi dei benefici fiscali previsti per la prima casa.

Tenendo conto di tutto ciò, la Corte territoriale avrebbe dovuto concludere nel senso di un’ormai acclarata sussistenza di due soli gruppi di comproprietari, ossia i coniugi M. – C., da un lato, e i coniugi B. – m., dall’altro.

(11 motivo prosegue richiamando ed illustrando le ragioni di carattere tecnico, evidenziate dal c.t.u., per cui sarebbe invece possibile la divisione del vano in due sole porzioni).

1.1. – Il motivo è in parte manifestamente infondato, in parte inammissibile.

1.1.1. – Come si ricava dall’art. 720 c.c., non è il giudice, ma sono gli stessi condividenti che hanno facoltà di coacervare le loro quote al fine di ottenere l’attribuzione congiunta dell’immobile, sicchè è del tutto arbitrario, in difetto di qualsivoglia base positiva e logica, ipotizzare che con sentenza possa imporsi una divisione per "gruppi familiari" (come suggerisce la parte ricorrente a pag. 30 del ricorso, illustrando il 2 motivo), per di più espungendo dalla divisione le parti rimaste contumaci in appello, supponendone lo scarso interesse alla divisione.

Inoltre, la questione della simulazione relativa dell’atto notaio Panico del 16.6.1988 è del tutto nuova, non essendovene traccia nella sentenza impugnata, nè avendo parte ricorrente specificato in quale atto del processo d’appello e in qual modo essa sarebbe stata sollevata.

2. – Con il secondo motivo è dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 718 c.c.. Lamentano i ricorrenti che la Corte ligure non ha tenuto conto del fatto che detta norma attribuisce preminenza alla suddivisione in natura. Pertanto, i giudici d’appello avrebbero dovuto considerare che nel primo supplemento di relazione, in data 26.2.1998, il c.t.u. aveva ritenuto possibile ricavare fino a quattro posti auto.

3. – Il motivo è inammissibile per varie ragioni.

In primo luogo, la censura difetta di specificità perchè non chiarisce con sufficiente compiutezza in qual modo si sarebbe espresso il c.t.u. nel proprio supplemento di relazione, nel ritenere possibile la formazione di quattro lotti autonomi, suscettibili di assegnazione.

Ancora, tanto la mancata adozione di soluzioni tecniche suggerite dal c.t.u., quanto il diniego di rinnovarne o integrarne gli accertamenti già svolti attiene alle valutazioni sul fatto sostanziale, le quali competono unicamente al giudice di merito e sono sindacabili in sede di legittimità soltanto sotto il profilo del vizio motivazionale, di cui al n. 5, art. 360 c.p.c., nella specie non dedotto.

Infine, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, il vizio di violazione e falsa applicazione della legge, di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, giusta il disposto di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, deve essere, a pena d’inammissibilità, dedotto mediante la specifica indicazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata che motivatamente si assumano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina, non risultando altrimenti consentito alla S.C. di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione (Cass. nn. 16132/05, 26048/05, 20145/05, 1108/06, 10043/06, 20100/06, 21245/06 e 14752/07). Nello specifico, la violazione dell’art. 718 c.c. è dedotta in maniera non rispondente al predetto principio, perchè incongruamente attribuisce il malgoverno della norma non già ad un’affermazione (esplicita o implicita) in punto di diritta, ma ad una valutazione di mero fatto (id est, la non divisibilità in natura dell’immobile) operata dal giudice di merito.

3. – Il terzo motivo denuncia, in relazione al n. 5, art. 360 c.p.c., l’insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo, costituito dal "mancato riconoscimento alla volontà divisoria dalle parti dimostrata, fin dal verbale 18.3.1986, ed in corso di causa".

La Corte d’appello non ha valutato un dato fornito dalla stessa parte attrice nella citazione di primo grado, ossia che dal verbale dell’assemblea condominiale del 18.3.1986, risultava che l’assemblea stessa aveva preso atto della richiesta del sig. B. di suddividere l’area dell’autorimessa attribuendone ai singoli comproprietari porzioni su cui esercitare diritti esclusivi, e aveva autorizzato lo stesso Brescia a realizzare nell’autorimessa, a propria cura e spese, un vano ad uso cantina.

Con tale atto, sostiene parte ricorrente, "si era provveduto, seppur in maniera senz’altro grossolana, alla separazione della quota di pertinenza della famiglia M. – B. – V. da quella di pertinenza delle altre famiglie interessate al vano stesso Me.

– V. e M. – C. (ex B. – L.)" (così, testualmente, si legge a pag. 32 del ricorso).

3.1. – Anche tale motivo si palesa inammissibile, sia in quanto nuovo, non essendo provato che la relativa questione sia stata proposta o riproposta in appello, sia perchè il fatto che ne forma oggetto, essendo del tutto privo di rilievo (i meri propositi, per quanto esternati, non vincolano il dichiarante) è per sua stessa definizione privo anche del connotato di decisorietà.

4. – Col quarto motivo si deduce l’insufficiente e contraddittoria motivazione, ex art. 360 c.p.c., n. 5, circa un fatto controverso e decisivo, rappresentato dalle schede catastali rinvenute dal c.t.u.

dopo il deposito della sentenza di primo grado, quale espressione della volontà delle parti di utilizzare il bene in conformità al suo possibile utilizzo, e non solo come in astratto considerato nel titolo originario.

La Corte territoriale ha ritenuto mai validamente formalizzata, in un atto idoneo ad attribuirle efficacia, la divisione dell’immobile in quote corrispondenti ai rispettivi diritti dei comproprietari, atteso che i subalterni ulteriori del bene (accatastato con il mapp. 2 del foglio 32 con il subalterno 12) risultano essere stati accatastati sulla base di planimetrie, a firme del geom. A., registrate con riserva, in quanto non complete nella validità degli atti e dei passaggi di proprietà.

Tale affermazione, sostiene parte ricorrente, non è condivisibile in quanto l’iscrizione con riserva si perfeziona, in assenza di opposizioni, col decorso di dieci anni, nella specie compiuto nel 2008.

Il ragionamento della Corte d’appello è, poi, del tutto contraddittorio ed insufficiente nella parte in cui attribuisce rilievo unicamente alla destinazione del bene risultante dal titolo costitutivo, quando invece avrebbe dovuto valorizzare la volontà dei comproprietari, che da oltre vent’anni utilizzano il bene anche per finalità diverse dalla rimessa auto (magazzino, soppalco, laboratorio, rimessa per motociclette ecc).

4.1. – Il motivo è infondato.

In disparte sia la circostanza che ai fini della configurabilità del vizio previsto dall’art. 360 c.p.c., n. 5, nella formulazione risultante dalla modifica apportata dal D.Lgs. n. 40 del 2006, il "fatto" controverso e decisivo deve intendersi in senso storico o normativo (cfr. Cass. n. 16655/11), e dunque non va confuso con la nozione di punto o di questione, come invece risulta nella specie;

sia l’osservazione per cui ai sensi della L. n. 679 del 1969, art. 12 sulla semplificazione delle procedure catastali, la cancellazione dell’annotazione di riserva richiede apposita domanda del possessore;

tutto ciò a tacere, è di evidenza solare che il ragionamento svolto dalla Corte d’appello – che ha escluso qualsivoglia rilevanza della situazione catastale difforme dal titolo, non essendo intervenuto alcun accordo validamente formalizzato tra le parti aventi diritto all’immobile, risponde ad ineccepibile logica giuridica e si sottrae, come tale, alla censura in esame.

5. – Il quinto motivo denuncia l’insufficiente e contraddittoria motivazione, ex art. 360 c.p.c., n. 5, circa un fatto controverso e decisivo, rappresentato dalla possibilità di accorpare le quote di più condividenti.

Contrariamente a quanto sostenuto dalla Corte territoriale – secondo la quale gli accorpamenti delle quote sono arbitrari se non chiesti dalle stesse parti interessate – lo scioglimento della comunione non è incompatibile con il perdurare di uno stato di comunione ordinaria rispetto a singoli beni, nè determina il cd. stralcio di quota o una divisione parziale, essendo ben possibile l’attribuzione a più condividenti di una quota dell’intero compendio. Opinando nel senso affermato dai giudici d’appello si giunge al risultato, del tutto incongruo, di considerare separatamente le quote dei coniugi B. e m., sol perchè oggetto di comunione ordinaria (benchè questi ultimi siano in regime di comunione legale fra loro), e quella di m.p., "zia di m.l., di età decisamente avanzata, la quale, pur avendo ormai ceduto la propria quota, senz’altro di fatto, se non anche di diritto, alla nipote, non richiedendo più in giudizio la attribuzione di una propria quota distinta, deve comunque vedersela riconosciuta (!)" (così, testualmente, a pagg. 46 e 47 del ricorso).

Il ragionamento della Corte d’appello, conclude sul punto parte ricorrente, oltre a violare l’art. 718 c.c., affermando che il bene è indivisibile in quattro porzioni, nonostante le quote non siano quattro, ma almeno tre, è incongruo perchè non spiega per quale ragione ai coniugi M. – C., portatori della quota di 1/3 pro indiviso, non sia stato riconosciuto "il loro terzo in piena proprietà" (rectius, la corrispondente porzione in natura: n.d.r.), "pretermettendo" (rectius, anteponendo) agli stessi la posizione di m.p., che essendo titolare della quota minore avrebbe, semmai, dovuto cedere di fronte alla posizione delle altre parti e ricevere l’equivalente in denaro.

5.1. – Anche tale motivo è inammissibile perchè non censura un fatto, ma una soluzione giuridica, e, quanto alla dedotta violazione dell’art. 718 c.c., la doglianza oltre ad essere meramente ripetitiva di quanto già detto al secondo motivo, lamenta la violazione come conseguenza non di un’interpretazione o applicazione errata ma di una valutazione di puro merito.

6. – Col sesto motivo è dedotta l’insufficiente e contraddittoria motivazione, ex art. 360 c.p.c., n. 5, circa un fatto controverso e decisivo, costituito dall’interpretazione restrittiva fornita al concetto di autorimessa e la mancata considerazione dell’attuale situazione giuridica e fattuale del bene oggetto di divisione, così come consolidatasi nel tempo.

Sostiene parte ricorrente che la sentenza impugnata non ha, erroneamente, ritenuto rilevante il frazionamento catastale intervenuto nel 1988, redatto dal geom. A., il quale possiede specifico valore di prova dell’effettiva volontà di tutti i comproprietari di dare al manufatto la destinazione più consona, proficua e razionale. La situazione attuale del vano, che presenta un soppalco ed è adibito a magazzino, è ormai radicata nel tempo, tanto da essere stata oggetto di provvedimenti dell’autorità pubblica intesi a subordinarne il godimento previo rilascio della certificazione antincendio.

6.1. – Il motivo è inammissibile.

Il concetto di comoda divisibilità di un immobile presupposto dall’art. 720 c.c. postula, sotto l’aspetto strutturale, che il frazionamento del bene sia attuabile mediante determinazione di quote concrete suscettibili di autonomo e libero godimento, che possano formarsi senza dover fronteggiare problemi tecnici eccessivamente costosi e, sotto l’aspetto economico-funzionale, che la divisione non incida sull’originaria destinazione del bene e non comporti un sensibile deprezzamento del valore delle singole quote rapportate proporzionalmente al valore dell’intero, tenuto conto dell’usuale destinazione e della pregressa utilizzazione del bene stesso (Cass. nn. 12498/07, 14540/04 e 1738/02).

Tale accertamento è rimesso all’insindacabile valutazione del giudice del merito e si risolve in un giudizio di fatto che si sottrae a censura in sede di legittimità se e sorretto da adeguata motivazione immune da vizi logici e giuridici (Cass. nn. 1455/74 e 604/70).

Nel caso di specie, la Corte territoriale ha accertato, aderendo a quanto rilevato dal c.t.u., che la divisione secondo le planimetrie predisposte dal geom. A. oltre a non corrispondere alla suddivisione esistente di fatto nel locale, lascia irrisolti i problemi di fruizione delle singole parti, che avrebbero una superficie funzionale minima, nonchè i problemi di accesso indiretto da una porzione all’altra. Inoltre, tali planimetrie non offrono una ripartizione realizzabile per presenza di disimpegni e passaggi frapposti ristretti.

Tale motivazione è adeguata, congrua ed esente da vizi logico- giuridici, e dunque resiste alla censura in esame, che sotto le spoglie del vizio di cui al n. 5, art. 360 c.p.c. propone, invece, una diversa valutazione di puro merito, confacente alle proprie aspettative.

7. – Con il settimo motivo si deduce l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo rappresentato dalla perdita di interesse circa l’attribuzione prò quota.

Parte ricorrente lamenta che la sentenza impugnata manchi di una comprensibile motivazione sul quinto (erroneamente indicato nella sentenza stessa come sesto) motivo di gravame. Contrariamente al decisum d’appello, gli attuali ricorrenti non hanno rinunziato ad ottenere un’attribuzione della quota in natura.

7.1. – II motivo è inammissibile sia per la sua genericità, non precisando sotto quale profilo la sentenza impugnata pecchi nel dare risposta al motivo di gravame, sia perchè investe un "punto" – e non un "fatto" – che per di più nell’economia della decisione è destituito di decisività, una volta non scalfita la decisione in punto di non comoda divisibilità dell’immobile.

8. – Con l’ottavo motivo è dedotta la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c., comma 2, ultima parte, perchè la Corte territoriale non ha valutato la contumacia di m.

P. come indizio, da unire ad altri dati, della rinuncia di quest’ultima a richiedere l’assegnazione di una porzione del bene, in quanto la posizione di lei non era più distinguibile da quella della nipote m.L..

8.1. – Il motivo è inammissibile e manifestamente infondato.

Inammissibile sia perchè introduce una questione nuova, sia in quanto basato su di una deduzione (contumacia – rinuncia alla quota – accrescimento di essa per "gruppo familiare") contraria alla più elementare logica giuridica, se solo si considera che la rinuncia alla titolarità di beni mobili è atto soggetto al requisito di forma scritta (art. 1350 c.c., n. 5).

Manifestamente infondato perchè la contumacia di una delle parti in causa rappresenta l’esercizio di un potere processuale, garantito e disciplinato da precise disposizioni del codice di procedura civile (artt. 290 e 294), e non può essere trasformata in elemento di prova circa la fondatezza delle tesi della controparte: essa, come il silenzio nella dogmatica dei rapporti giuridici sostanziali, non equivale ad alcuna manifestazione di volontà e lascia inalterata la naturale contrapposizione delle situazioni giuridiche tra attore e convenuto (Cass. n. 4470/77). Inoltre, la contumacia del convenuto, di per sè sola considerata, non assume alcun significato probatorio in favore della domanda dell’attore, ma può concorrere, insieme ad altri elementi, a formare il convincimento del giudice (Cass. n. 7739/07).

Ciò posto, la circostanza che il giudice di merito non abbia valorizzato, sotto quest’ultimo aspetto, la contumacia delle parti non costituite, non implica la denunciata violazione dell’art. 116 cpv. c.p.c., che è configurabile unicamente nel caso in cui il giudice stesso desuma argomenti di prova da elementi estranei dal punto di vista tipologico a quelli contemplati da detta norma, ovvero neghi in linea di principio la possibilità di far ricorso alle circostanze ivi indicate al fine di valutare le prove.

Per il resto, la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involge un apprezzamento di fatto riservato al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e le circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (giurisprudenza costante di questa Corte: cfr. per tutte e da ultimo, Cass. n. 17097/10).

Convincimento che, nella specie, non è stato neppure censurato sotto l’unico profilo astrattamente ammissibile dal punto di vista tecnico- giuridico, vale a dire quello dell’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione.

9. – Con il nono motivo si deduce l’insufficiente e/o contraddittoria motivazione circa l’allocazione delle spese legali, che nonostante la reiezione anche dell’appello incidentale sono state poste a carico degli appellanti.

9.1. – Il motivo è infondato.

In tema di spese processuali, solo la compensazione deve essere sorretta da motivazione, e non già l’applicazione della regola della soccombenza cui il giudice si sia uniformato (Cass. nn. 2730/12 e 1868/79). Tale principio non soffre deroga nel caso in cui, nonostante la reciproca soccombenza, le spese siano state addebitate per intero alla parte la cui soccombenza sia stata giudicata prevalente, traendosene la giustificazione dalla complessiva motivazione svolta sul merito della controversia.

10. – In conclusione il ricorso va respinto.

11. – Le spese del presente giudizio di cassazione seguono la soccombenza della parte ricorrente.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti alle spese, che liquida in Euro 2.200,00, di cui 200,00 per esborsi, oltre spese generali di studio, IVA e CPA come per legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 24 aprile 2012.

Depositato in Cancelleria il 12 luglio 2012

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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