Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo
1. Con ordinanza dell’11 settembre 2012 il Tribunale di Milano ha rigettato l’appello proposto ex art. 310 c.p.p. da K.L. avverso l’ordinanza emessa dalla Corte d’appello di Milano in data 17 luglio 2012, con la quale veniva rigettata l’istanza di revoca o sostituzione della misura cautelare della custodia in carcere con quella degli arresti domiciliari.
2. Osservava al riguardo il Tribunale di Milano: a) che K. L. era stato arrestato in flagrante detenzione di gr. 200 di sostanza stupefacente del tipo cocaina il 21 gennaio 2012, in concorso con D.E.; b) che, tratto a giudizio direttissimo, vedeva convalidato l’arresto ed applicata la misura della custodia cautelare in carcere; c) che accedeva, pertanto, al giudizio abbreviato, concluso con sentenza del Tribunale di Milano in data 31 gennaio 2012, la quale ne affermava la penale responsabilità, condannandolo alla pena di anni quattro di reclusione ed Euro 18.000,00 di multa; d) che con sentenza del 17 luglio 2012 la Corte d’appello di Milano confermava la decisione di primo grado, rigettando l’istanza, presentata nell’udienza di discussione, di modifica della misura in atto con quella degli arresti domiciliari.
3. Avverso la predetta ordinanza del Tribunale di Milano ha proposto ricorso per cassazione il difensore di K.L., deducendo i seguenti motivi di doglianza:
a) mancanza della motivazione ex art. 606 c.p.p., lett. e), nella parte in cui il Tribunale avrebbe omesso di considerare sia la presenza di elementi concreti circa la persistenza della pericolosità sociale, sia le argomentazioni difensive in ordine allo stato di salute e alle condizioni mediche dell’imputato;
b) contraddittorietà della motivazione ex art. 606 c.p.p., lett. e), nella parte in cui non ha citato elementi concreti a sostegno della ritenuta pericolosità sociale dell’indagato, ritenendo altresì inadeguata la disponibilità di un’idonea abitazione offerta dalla convivente, nonostante la documentazione al riguardo prodotta;
inoltre, l’impugnata ordinanza non avrebbe preso in considerazione i nuovi elementi posti alla base della richiesta – ossia, il lungo periodo di custodia cautelare presofferto e le gravi esigenze di salute dell’indagato – che dimostrerebbero l’idoneità dell’applicazione della diversa misura degli arresti domiciliari.
Motivi della decisione
4. Il ricorso è inammissibile in quanto manifestamente infondato.
5. Il Giudice dell’appello cautelare, avuto riguardo anche all’intervenuta pronuncia della sentenza di condanna in grado di appello, ha dato conto, in maniera logica ed adeguata, delle ragioni che giustificano l’epilogo del relativo percorso decisorio.
E’ noto che la pronuncia di una sentenza di condanna in grado di appello ad una pena non sospesa o non suscettibile di sospensione costituisce un elemento di valutazione già di per sè idoneo a rafforzare le esigenze cautelari poste alla base del provvedimento applicativo della custodia cautelare in carcere (Sez. 3^, n. 8146 del 25/01/2012, dep. 02/03/2012, Rv. 252754). Entro tale prospettiva, l’impugnata ordinanza ha fatto buon governo del quadro dei principii che regolano la materia, offrendo piena risposta alle obiezioni difensive – peraltro solo genericamente formulate – e ponendo in evidenza, con lineare sviluppo argomentativo, le ragioni del pericolo di reiterazione delle gravi condotte oggetto di addebito cautelare, nel caso di specie desunte non solo dalla particolare gravità del fatto di reato commesso dal ricorrente (traffico di consistente quantitativo di sostanza stupefacente del tipo cocaina, con un buon grado di purezza ed elevato valore commerciale), ma anche dalla presenza di specifici precedenti penali a carico, dal tentativo di fuga all’atto del controllo e dalle condizioni personali di soggetto irregolarmente presente in Italia, aduso a fare ricorso a diverse generalità, privo di lecita occupazione e di uno stabile radicamento territoriale, le cui pregresse esperienze giudiziarie nessuna efficacia dissuasiva risultano avere in concreto determinato.
Parimenti congrua deve altresì ritenersi, nell’iter motivazionale dell’impugnato provvedimento, la giustificazione dal Tribunale offerta riguardo alla esclusione di profili di incompatibilità delle condizioni cliniche del ricorrente con la detenzione di tipo carcerario, in quanto supportata da una compiuta disamina delle risultanze della documentazione sanitaria inviata dall’Istituto penitenziario.
6. A fronte di tale completo apprezzamento delle emergenze processuali, esposto attraverso un insieme di sequenze motivazionali chiare e prive di vizi logici, il ricorrente non ha individuato passaggi o punti della decisione tali da inficiare la complessiva tenuta del discorso argomentativo delineato dai Tribunale, nè ha soddisfatto l’esigenza di una critica puntuale e ragionata che deve informare l’atto di impugnazione, ma ha sostanzialmente contrapposto una lettura alternativa di quelle emergenze, facendo leva sull’apprezzamento di profili di merito già puntualmente vagliati, in sede cautelare ovvero nel giudizio celebrato dinanzi alla Corte d’appello, ed il cui esame, evidentemente, non è sottoponibile al tipo di sindacato che questa Suprema Corte è chiamata ad esercitare.
7. Per le considerazioni or ora esposte, dunque, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento alla Cassa delle ammende di una somma che si stima equo quantificare nella misura di Euro mille. La Cancelleria provvedere all’espletamento degli incombenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.
Così deciso in Roma, il 10 dicembre 2012.
Depositato in Cancelleria il 14 febbraio 2013
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