Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 10-12-2012) 29-01-2013, n. 4288

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La Corte di Appello di Bologna con sentenza del 26 giugno 2012 dichiarava la sussistenza delle condizioni per la estradizione verso la Repubblica di Romania di B.S.D., cittadino romeno, condannato con sentenza del 7 aprile 2000 della corte di appello di Brasov, Romania, divenuta definitiva, ad anni sei di reclusione per violenza sessuale. La Corte, nel dare atto della sussistenza delle condizioni richieste dalla legge per la consegna, valutava le specifiche contestazioni della difesa che affermava, ai sensi dell’art. 705 c.p.p., comma 2, lett. B, la contrarietà della sentenza di condanna ai principi fondamentali dell’ordinamento giuridico italiano per essere la decisione basata sulle dichiarazioni rese dalla persona offesa prima del dibattimento e in assenza di contraddittorio; invocava comunque, ai sensi della L. n. 69 del 2005, art. 18. lett. g il diniego della estradizione per non esservi stato processo equo. La Corte, quindi, verificava nel merito le ragioni della condanna osservando che le dichiarazioni della persona offesa erano state ritrattate all’esito di pressioni nei suoi confronti, giungendo pertanto alla conclusione che ricorressero condizioni di fatto tali che, secondo i principi dell’ordinamento processuale italiano, sarebbe stata applicabile la disciplina di cui all’art. 500 c.p.p., comma 4. E, comunque, la condanna era basata anche su altre prove, in particolare le dichiarazioni di testimoni che avevano riferito che la vittima era fuggita dalla stanza del ricorrente, il referto delle lesioni riportate in seguito all’aggressione, le dichiarazioni dei coimputati che avevano partecipato alla raccolta della somma di denaro da offrire alla vittima per convincerla a ritrattare.

B.S.D. ha proposto ricorso avverso tale sentenza deducendo con un primo motivo la violazione di legge in relazione all’art. 705 c.p.p., comma 2, lett. b), L. n. 69 del 2005, art. 18, lett. g), artt. 6 e 3 Cedu e art. 500 c.p.p., comma 4 per la violazione del principio del contraddittorio e del giusto processo conseguente alla utilizzazione, quale prova di accusa, delle dichiarazioni rese dalla persona offesa in assenza di contraddittorio. Rileva come il giudice di primo grado rumeno avesse assolto il ricorrente proprio per essersi la presunta vittima sottratta volontariamente al contraddittorio e non risultando acquisiti altri elementi probatori, venendo poi tale sentenza ribaltata dalla Corte di Appello che, al contrario, affermava l’utilizzabilità delle dichiarazioni predette per esservi stato un tentativo di subornazione. Il principio applicabile ai sensi dell’art. 512 cod. proc. pen. interpretato in conformità all’art. 6 cedu è che, pur a ritenere utilizzabili le dichiarazioni rese al di fuori del contraddittorio, le stesse non possano fondare in modo esclusivo la sentenza di condanna, come avvenuto, al contrario, nel caso di esame.

Con secondo motivo deduce il vizio dì motivazione con riferimento alla valutazione sostanziale di valenza probatoria delle dichiarazioni della persona offesa nelle pronunce emesse dalla Ag rumena. La Corte di Appello di Bologna avrebbe dovuto ritenere, ad avviso del ricorrente, la violazione del principio del giusto processo. La difesa, quindi, procedendo ad un analitico esame del materiale probatorio utilizzato dai giudici romeni, osserva come le loro valutazioni di merito siano palesemente illogiche. Passando, poi, per mero scrupolo difensivo, all’analisi degli ulteriori elementi ritenuti rilevanti dalla sentenza emessa dalla Corte d’Appello di Bologna, essi risiedono nelle deposizioni rese dai testi C.C., Co.Va., c.f., T. T. e A.J. e nelle lesioni riscontrate sulla persona I.C..

Con terzo motivo rileva il vizio di motivazione quanto alla violazione del principio fondamentale della finalità rieducativa della pena.
Motivi della decisione

Il ricorso è infondato.

I primi due motivi possono essere valutati congiuntamente, in quanto riguardano lo stesso tema, nel primo motivo valutato sotto il profilo della individuazione del principio applicabile e, nel secondo motivo, sotto il profilo della adeguatezza della motivazione al predetto principio.

E’ corretto affermare che, alla stregua della giurisprudenza della Corte Edu e della giurisprudenza di questa Corte ((Sez. U, n. 27918 del 25/11/2010 – dep. 14/07/2011, D. F., Rv. 250199)) nel nostro ordinamento vige il principio che le dichiarazioni predibattimentali rese in assenza di contraddittorio, ancorchè legittimamente acquisite, non possono – conformemente ai principi affermati dalla giurisprudenza europea, in applicazione dell’art. 6 della CEDU – fondare in modo esclusivo o significativo l’affermazione della responsabilità penale.

Ma proprio tale principio è stato ritenuto applicabile dalla Corte di Appello che, difatti, ha verificato innanzitutto la possibilità di utilizzare le dichiarazioni rese dalla persona offesa che si era sottratta al contraddittorio – ed a tal fine ha ritenuto che ricorresse la condizione di fatto della subornazione del teste che, nell’ordinamento italiano, consente la utilizzabilità delle dichiarazioni rese al di fuori del dibattimento – ed ha poi fatto ampia valutazione degli elementi utilizzati dalla Corte rumena quali autonome prove del fatto per cui si proceduto. Del resto gli stessi motivi di ricorso danno atto implicitamente del formale rispetto della regola di giudizio in questione, in quanto, anche se nel primo motivo e nella prima parte del secondo motivo il ricorrente contesta il presunto errore di diritto della Corte di Appello che avrebbe ritenuto rispettosa dei principi dell’ordinamento una decisione basata esclusivamente o prevalentemente sulle dichiarazioni della persona offesa che si era sottratta all’esame da parte della difesa e, comunque, avrebbe erroneamente valutato attendibile la stessa persona offesa, poi, nello sviluppare "per mero scrupolo difensivo" la critica agli altri elementi di prova utilizzati nella sentenza di condanna rumena (deposizioni rese dal testi C.C., Co.Va., c.f., T.T. e A.J. e nelle lesioni riscontrate sulla persona I.C.), da atto che, in realtà, la predetta sentenza aveva utilizzato ampiamente altro materiale probatorio.

Va ovviamente considerato, in quanto oggetto di contestazione, se siano corrette le valutazioni in ordine alla sussistenza di adeguato materiale probatorio che consenta di escludere che la condanna sia fondata prevalentemente se non esclusivamente sulle dichiarazioni persona offesa; al riguardo, però, non può non considerarsi corretto (e condividersi atteso il potere di valutazione in merito di questa Corte nella materia della estradizione) il ragionamento della Corte di Appello che ha verificato come la sentenza di condanna rumena facesse ampio uso di elementi di prova da cui desumere che altre persone avevano potuto rilevare la fuga della persona offesa dalla stanza in cui si trovava con il ricorrente, fatto che oltre ad essere detto loro dalla presunta vittima, risultava palese dalle condizioni personali (pressochè nuda, avendo indosso una coperta, ed in stato di agitazione, invocando aiuto) e di come la condotta violenta era dimostratala dalle grida percepite mentre la donna era nella stanza che dalle lesioni riscontrate sul corpo della donna.

Numero e varietà degli elementi probatori valgono a sostenere fa autonoma valenza degli stessi risultando, quindi, indiscutibile che le dichiarazioni persona offesa non siano state il motivo esclusivo o prevalente della condanna.

Va ritenuta del tutto inammissibile la seconda parte del secondo motivo di ricorso ove il ricorrente, dopo aver proceduto ad un ampio esame della contenuto delle prove utilizzate dalla AG rumena, chiede che questa Corte valuti attendibilità e significatività di tali stesse prove. Va considerato che, anche a fronte dei poteri di valutazione in merito che spettano ai giudice di legittimità ai sensi dell’art 706 cod. proc. pen., ai sensi dell’art. 705 cod. proc. pen.. L’AG italiana, a fronte della esistenza di un trattato di estradizione, non può procedere ad una (ri) valutazione dei fatti in base all’autonomo esame del materiale probatorio ma deve solo verificare la sussistenza di una condanna disposta all’esito di un processo rispettoso dei diritti fondamentali.

Il terzo motivo è manifestamente infondato laddove, con argomenti generici, contesta la violazione del principio della finalità rieducativa della pena, indicando circostanze "ordinarie" per quanto riguarda le conseguenze della applicazione della pena.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 203 disp. att. cod. proc. pen..

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 10 dicembre 2012.

Depositato in Cancelleria il 29 gennaio 2013

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