Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 16-11-2012) 29-01-2013, n. 4357

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con sentenza del 12/04/2012, la Corte d’appello di Catanzaro ha confermato la sentenza del Tribunale di Cosenza del 29/06/2009, che aveva affermato la responsabilità di P.C. in relazione ai reati di cui all’art. 582, art. 585 cod. pen., comma 2, n. 2, (capo a), di cui alla L. 18 aprile 1975, n. 110, art. 4 (capo b), di cui all’art. 610, art. art. 61 cod. pen., n. 1 (capo c), in relazione ad episodi avvenuti in Cosenza in data 17/05/2005.

2. La Corte territoriale, dopo avere rinviato alla ricostruzione dell’episodio e della condotta dell’imputato operata dalla sentenza di primo grado, ha ritenuto che legittimamente quest’ultima avesse valorizzato la denuncia della persona offesa, ai sensi dell’art. 500 cod. pen., comma 4, alla luce del fatto che quest’ultima.

dopo avere rilasciato precise e circostanziate dichiarazioni a carico dell’imputato nella denuncia sporta nell’immediatezza dell’aggressione, aveva immotivatamente mutato versione, negando anche quanto emergeva dalla diretta constatazione degli investigatori e della guardia giurata intervenuti sul posto, senza fornire alcuna plausibile giustificazione del suo comportamento. La sentenza impugnata ha aggiunto che le stesse modalità delle dichiarazioni testimoniali, rese con lo sguardo sempre rivolto all’imputato presente in aula, rivelavano, ben più che la soggettiva condizione di impaccio e difficoltà derivanti da una personalità particolarmente emotiva, l’esistenza di condizionamenti esterni che avevano determinato il teste a ribaltare contenuto delle precedenti affermazioni.

La Corte territoriale ha, inoltre, rilevato che i rilievi svolti dall’imputato circa la contraddittorietà nelle deposizioni dei testi F. e C. erano generici e privi di fondamento, posto che il primo aveva riferito di avere personalmente visto l’imputato schiaffeggiare la persona offesa, mentre il secondo aveva dato atto delle gravi condizioni fisiche ed emotive in cui versava la vittima nell’immediatezza dell’occorso, con il volto sanguinante e il jeans lacerato all’altezza dell’inguine. Anche la guardia giurata D. B., nonostante la reticenza su circostanze dettagliate e specifiche riferite alla polizia giudiziaria nel corso delle indagini, a seguito delle contestazioni del P.M., aveva dovuto ammettere di avere visto il P. colpire con pugni e schiaffi la persona offesa, sino a farla sanguinare. Tali elementi dichiarativi sono apparti coerenti con le risultanze del referto medico in atti.

3. Nell’interesse del P. è stato proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi.

3.1. Con il primo motivo, formulato ai sensi dell’art. 606 cod. proc pen., comma 1, lett. b) e c), si lamenta che l’affermazione di responsabilità del P. è stata fondata esclusivamente sulle dichiarazioni della persona offesa, contenute nel fascicolo del Pubblico Ministero ed illegittimamente acquisite, ex art. 500 cod. proc. pen., comma 4, dal momento che non erano sussistenti concreti elementi idonei a dimostrare il condizionamento del teste. La mera presenza dell’imputato in aula costituiva esercizio del suo diritto alla partecipazione del processo. Del resto, si aggiunge che sarebbe stato sufficiente consentire al teste di rispondere alla domanda, pure rivoltagli, in ordine al se temesse per la propria incolumità.

3.2. Con il secondo motivo, formulato ai sensi dell’art. 606 cod. proc. pen., comma 1, lett. e) si lamenta carenza di motivazione quanto alla affermazione di responsabilità dell’imputato per i reati di cui ai capi b) e c), dal momento che nessuno dei testimoni aveva riferito che il P. avesse un coltello in mano e che la stessa persona offesa aveva espressamente escluso tale circostanza.
Motivi della decisione

1. Il ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza dei motivi proposti.

2. Con riguardo al primo motivo, tale conclusione si impone in quanto le censure si concentrano, peraltro non cogliendone il significato, su uno solo dei profili valorizzati dalla Corte territoriale per concludere nel senso dell’esistenza di elementi concreti idonei a dimostrare il condizionamento del teste, ai sensi dell’art. 500 cod. proc. pen., comma 4.

Al riguardo, deve essere ricordato che, secondo il costante orientamento di questa Corte (v., ad es., Sez. 6, N. 25254 del 24/01/2012, Alcaro, Rv. 252896), in tema di testimonianza, il procedimento incidentale diretto ad accertare gli elementi concreti per ritenere che il testimone sia stato sottoposto a violenza, minaccia, offerta o promessa di denaro o di altra utilità al fine di non deporre o di deporre il falso, deve fondarsi su parametri di ragionevolezza e di persuasività, nel cui ambito può assumere rilievo qualunque elemento sintomatico dell’intimidazione subita dal teste, purchè sia connotato da precisione, obiettività e significatività, secondo uno "standard" probatorio che non può essere rappresentato dal semplice sospetto, ma neppure da una prova "al di là di ogni ragionevole dubbio", richiesta soltanto per il giudizio di condanna. Orbene, con motivazione immune da vizi, la Corte ha, in primo luogo sottolineato, l’immotivato mutamento di versione della persona offesa, rispetto alle precise e circostanziate dichiarazioni a carico dell’imputato contenute nella denuncia sporta dell’immediatezza dei fatti.

In secondo luogo, essa ha valorizzato le modalità delle dichiarazioni rese in dibattimento con lo sguardo sempre rivolto all’imputato. Appare evidente che i due profili, integrandosi, non mirano affatto a conculcare il diritto dell’imputato alla partecipazione del processo, ma a trarre dall’atteggiamento del teste elementi in grado di dimostrare il condizionamento subito. A tal riguardo, deve aggiungersi che anche le modalità della deposizione e il contegno tenuto dal teste in dibattimento rientrano fra gli elementi valutabili ai fini dell’accertamento dell’inquinamento probatorio, quale presupposto dell’acquisizione al fascicolo del dibattimento delle dichiarazioni precedentemente rese dal testimone ai sensi dell’art. 500 cod. proc. pen., comma 4, (Sez. 6, n. 18065 del 23/11/2011, Accetta, Rv. 252530, che ha ravvisato il sintomo di pressioni esterne in relazione a ad una fattispecie nella quale otto testimoni, in assenza di una plausibile giustificazione, hanno reso in dibattimento dichiarazioni completamente diverse da quelle rese nel corso delle indagini).

3. Anche il secondo motivo è manifestamente infondato.

La Corte territoriale ha premesso allo svolgimento delle sue argomentazioni il richiamo alla giurisprudenza di legittimità che consente l’integrazione fra le motivazioni della sentenza di primo e di secondo grado (in tal senso, si veda, di recente, in motivazione, con ampi richiami ai precedenti di questa Corte, Sez. 2, n. 46273 del 15/11/2011, Battaglia, Rv. 251550).

Ciò posto, quanto ai capi b) e c) dell’imputazione, sopra ricordati, deve rilevarsi che proprio la sentenza di primo grado ricorda la denuncia della persona offesa, nella quale si da atto del movente dell’azione dell’imputato e del fatto che quest’ultimo utilizzò un coltello, tanto da lacerare il jeans della vittima.

4. Alla pronuncia di inammissibilità consegue ex art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che, in ragione delle questioni dedotte, appare equo determinare in Euro 1.000,00.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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