Cassazione, Sez. II, 9 giugno 2010, n. 13878 Condominio, tocca all’amministratore uscente dare la prova del proprio credito per anticipazioni effettuate

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Fatto

Il condominio del fabbricato in omissis proponeva opposizione avverso il decreto ingiuntivo con il quale era stato intimato ad esso opponente il pagamento di L. 3.077.505 in favore di P.P.. Il condominio contestava la pretesa del P. e, in particolare, l’esistenza del credito vantato dall’opposto ed avente titolo nel rapporto di amministrazione condominiale sino al 31/12/1998 e nell’asserita anticipazione diretta di spese di gestione.

Il P., costituitosi, chiedeva il rigetto dell’opposizione sostenendone l’infondatezza.

Il giudice di pace di Cagliari, con sentenza 24/7/2002, accoglieva l’opposizione accertando l’inesistenza del credito.

Avverso la detta sentenza il P. proponeva appello al quale resisteva il condominio.

Con sentenza 27/7/2004 la corte di appello di Cagliari rigettava il gravame osservando: che erano fondate le doglianze dell’appellante in ordine alla violazione delle regole processuali concernenti l’attività istruttoria avendo il giudice di pace dato incarico al P. “di fare ricerche presso il proprio studio al fine di reperire il blocco delle ricevute attestante i versamenti a qualunque titolo effettuati dai condomini”; che il provvedimento era “extra ordinem” non rispondendo ad alcuno dei mezzi istruttori consentiti al giudice nel processo civile; che la consulenza di ufficio era stata disposta per svolgere accertamenti di fatto e per supplire a deficienze di allegazioni e di prove il che non era consentito; che l’appello era infondato nel merito; che non era fondata l’impugnazione riferita al mancato riconoscimento dell’efficacia probatoria della ricognizione di debito al verbale “di passaggio delle consegne” del 22/3/1999; che dal documento non emergeva alcuna formale ricognizione di debito, ma semplicemente una sottoscrizione da parte del nuovo amministratore del condominio per l’attestazione della consegna dei documenti elencati nel verbale; che il giudice di primo grado non aveva applicato il principio secondo cui, in tema di mandato, al diritto del mandatario di ottenere il rimborso delle anticipazioni e delle spese sostenute per l’esecuzione del mandato (art. 1720 c.c.), corrisponde l’obbligo dello stesso di rendere conto del suo operato al mandante e di rimettergli tutto ciò che ha ricevuto a causa del mandato (art. 1713 c.c.) con conseguente esigenza di un rendiconto preciso e documentato idoneo a stabilire con esattezza le rispettive ragioni di credito e di debito; che l’amministratore cessato doveva fornire in giudizio la specificazione contabile delle entrate, delle uscite e del saldo finale, oltre che tutti gli elementi idonei a ricostruire le rispettive ragioni di credito e di debito; che tale onere non era stato assolto.

La cassazione della sentenza del tribunale di Cagliari è stata chiesta da P.P. con ricorso affidato a due motivi. Il condominio dell’edificio in omissis ha resistito con controricorso ed ha depositato memoria.

Diritto

Con il primo motivo di ricorso P.P. denuncia vizi di motivazione deducendo che il tribunale ha rigettato l’appello proposto da esso ricorrente con motivazione illogica, insufficiente e contraddittoria. Ha infatti preso atto della nutrita documentazione versata in atti e l’ha ritenuta irrilevante ai fini della ricostruzione delle entrate e delle uscite del condominio senza considerare che esso P., proprio sulla scorta dei documenti prodotti, aveva descritto nelle note autorizzate del 7/12/01 tutti i movimenti finanziari (nel dettaglio riportati in ricorso) confermati da una consulenza contabile che aveva suffragato la fondatezza della domanda. Identico saldo attivo in favore di esso P. è ricavabile dalla consulenza contabile il cui risultato matematico non è stato contestato e che deve essere considerato come un dato probatorio dal quale non è possibile prescindere senza una valida motivazione. Il tribunale non ha valutato – omettendo qualsiasi motivazione sul punto – che esso ricorrente aveva ricostruito interamente il bilancio della sua gestione con operazione che ben poteva essere effettuata dallo stesso tribunale attraverso semplici somme algebriche tenendo conto che la consulenza contabile aveva confermato la ricostruzione del credito di esso P. e l’esattezza dei conteggi predisposti nel bilancio. Il tribunale ha affermato che la documentazione agli atti impediva una completa ricostruzione delle uscite nel loro complesso e “soprattutto delle entrate e della provenienza delle somme utilizzate per i pagamenti”.

La produzione di fatture e ricevute costituisce invece prova della destinazione delle uscite. È poi sorprendente il riferimento alla ricostruzione delle entrate quasi che incombesse all’attore provare il mancato pagamento degli oneri condominiali e non al debitore esibire e provare pagamenti per importi superiori rispetto a quelli riconosciuti nel bilancio predisposto da esso P..

Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione degli artt. 2702 e 2719 c.c. dell’art. 191 c.p.c. e segg. in relazione all’art. 116 c.p.c., nonché vizi di motivazione, sostenendo che il tribunale ha disatteso le prove in atti ed ha trascurato i documenti legittimamente acquisiti e la consulenza contabile che sugli stessi documenti era pervenuta a precise conclusioni. Il tribunale era libero di discostarsi dai documenti prodotti e dalla stessa c.t.u., ma aveva l’obbligo di motivare adeguatamente il percorso logico attraverso seguito per pervenire a tale decisione. Il giudice di appello ha ritenuto di non utilizzare le risultanze della c.t.u. in ragione della anomala formulazione dei quesiti. Nella specie, però, la consulenza ha comunque il contenuto di consulenza contabile avendo ricostruito il bilancio – prendendo spunto dai documenti prodotti da esso P. – e pervenendo al saldo dell’amministrazione.

L’elaborato peritale – non censurato dal condominio – non poteva essere trascurato dal tribunale in assenza di una adeguata motivazione.

La Corte rileva l’infondatezza delle dette censure che possono essere esaminate congiuntamente per la loro stretta connessione ed interdipendenza riguardando tutte, quale più quale meno e sotto diversi aspetti e profili, le stesse questioni o questioni collegate e che si risolvono essenzialmente, pur se titolate come violazione di legge e come difetto di motivazione, nella prospettazione di una diversa analisi del merito della causa, inammissibile in sede di legittimità, nonché nella pretesa di contrastare valutazioni ed apprezzamenti dei fatti e delle risultanze probatorie che sono prerogativa del giudice del merito e la cui motivazione non è sindacabile in sede di legittimità se sufficiente ed esente da vizi logici e da errori di diritto: il sindacato di legittimità è sul punto limitato al riscontro estrinseco della presenza di una congrua ed esauriente motivazione che consenta di individuare le ragioni della decisione e l’iter argomentativo seguito nell’impugnata sentenza. Spetta infatti solo al giudice del merito individuare la fonte del proprio convincimento e valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, dar prevalenza all’uno o all’altro mezzo di prova. Né per ottemperare all’obbligo della motivazione il giudice di merito è tenuto a prendere in esame tutte le risultanze istruttorie e a confutare ogni argomentazione prospettata dalle parti essendo sufficiente che egli indichi gli elementi sui quali fonda il suo convincimento e dovendosi ritenere per implicito disattesi tutti gli altri rilievi e fatti che, sebbene non specificamente menzionati, siano incompatibili con la decisione adottata.

Nel caso in esame non sono ravvisabili né il lamentato difetto di motivazione, né l’asserita violazione di legge: la sentenza impugnata è corretta e si sottrae alle critiche di cui è stata oggetto.

In particolare il giudice di secondo grado – come sopra riportato nella parte narrativa che precede – ha prima fatto corretto riferimento al principio giurisprudenziale secondo cui in tema di condominio negli edifici, poiché il credito per il recupero delle somme anticipate nell’interesse del condominio si fonda, ex art. 1720 c.c. sul contratto di mandato con rappresentanza che intercorre con i condomini, l’amministratore deve offrire la prova degli esborsi effettuati presentando un rendiconto del proprio operato che deve necessariamente comprendere la specificazione dei dati contabili delle entrate, delle uscite e del saldo finale.

Il tribunale ha poi precisato – sulla base di un insindacabile apprezzamento di merito in relazione alla valutazione delle risultanze processuali – che nella specie il P. aveva prodotto una “nutrita documentazione” inidonea a dimostrare “in ipotesi anche attraverso una vera e propria consulenza contabile una completa ricostruzione delle uscite nel loro complesso e, soprattutto, delle entrate e della provenienza delle somme utilizzate per i pagamenti”.

In difetto dei detti elementi il giudice di appello ha inoltre coerentemente escluso la possibilità di accogliere la richiesta del P. di emettere la pronuncia di ordine di esibizione.

Il tribunale ha dato conto delle proprie valutazioni circa i riportati accertamenti in fatto, esaminando compiutamente le risultanze istruttorie ed esponendo adeguatamente il proprio convincimento. Il procedimento logico – giuridico sviluppato nell’impugnata decisione a sostegno delle riportate affermazioni e conclusioni è ineccepibile in quanto coerente e razionale.

Alla detta valutazione il ricorrente contrappone le proprie, ma della maggiore o minore attendibilità di queste rispetto a quelle compiute dal giudice del merito non è certo consentito discutere in questa sede di legittimità, ciò comportando un nuovo autonomo esame del materiale delibato che non può avere ingresso nel giudizio di cassazione.

Dalla motivazione della sentenza impugnata risulta chiaro che la corte territoriale, nel porre in evidenza gli elementi probatori favorevoli alle tesi del condominio (attuale resistente) ha implicitamente espresso una valutazione negativa delle contrapposte tesi del P. (attuale ricorrente).

Deve altresì evidenziarsi che dalla lettura della sentenza impugnata non risulta che – come sostenuto dal ricorrente – il condominio non abbia contestato la documentazione prodotta dal P. ed i risultati cui era pervenuto il c.t.u..

Va poi aggiunto che il P. in sostanza denuncia l’errata interpretazione e valutazione della relazione del nominato c.t.u. e della documentazione prodotta senza riportare il contenuto specifico e completo di tali risultanze processuali il che non consente di ricostruirne – alla luce esclusivamente di alcune isolate parti – il senso complessivo ed i punti salienti ed importanti. Ciò impedisce a questa Corte di valutare – sulla base delle sole deduzioni contenute in ricorso – l’incidenza causale del denunciato difetto di motivazione e la decisività dei rilievi al riguardo mossi dai ricorrenti.

Nel giudizio di legittimità, il ricorrente che deduce l’omessa o l’erronea valutazione delle risultanze istruttorie ha l’onere (per il principio di autosufficienza del ricorso per Cassazione) di specificare il contenuto delle prove non esaminate, indicando le ragioni del carattere decisivo dell’asserito vizio di valutazione: tale onere non è stato nella specie rispettato.

Per quanto infine riguarda la denunciata violazione delle norme indicate nel secondo motivo di ricorso è appena il caso di rilevare che il tribunale si è attenuto ai seguenti principi più volte affermati da questa Corte:

– nell’ipotesi di mandato oneroso il diritto del mandatario al compenso e al rimborso delle anticipazioni e spese sostenute è condizionato alla presentazione al mandante del rendiconto del proprio operato, che deve necessariamente comprendere la specificazione dei dati contabili delle entrate, delle uscite e del saldo finale (sentenza 28/4/1990 n. 3596);

– in tema di condominio negli edifici, poiché il credito per il recupero delle somme anticipate nell’interesse del condominio si fonda, ex art. 1720 c.c., sul contratto di mandato con rappresentanza che intercorre con i condomini, l’amministratore deve offrire la prova degli esborsi effettuati (sentenza 30/3/2006 n. 7498);

– l’obbligo di rendiconto può legittimamente dirsi adempiuto quando il mandatario abbia fornito la relativa prova attraverso i necessari documenti giustificativi non soltanto della somma incassata (oltre che, se del caso, della qualità e della quantità dei frutti percetti) e dell’entità causale degli esborsi, ma anche di tutti gli elementi di fatto funzionali alla individuazione ed al vaglio delle modalità di esecuzione dell’incarico, onde stabilire (anche in relazione ai fini da perseguire ed ai risultati raggiunti) se il suo operato si sia adeguato, o meno, a criteri di buona amministrazione (sentenza 23/11/2006 n. 24866);

– l’esibizione a norma dell’art. 210 c.p.c. non può in alcun caso supplire al mancato assolvimento dell’onere della prova a carico della parte istante (sentenza 8/8/2006 n. 17948).

In definitiva devono ritenersi insussistenti le asserite violazioni di legge ed i denunciati vizi di motivazione che presuppongono una ricostruzione dei fatti diversa da quella ineccepibilmente effettuata dal giudice del merito.

Il ricorso deve pertanto essere rigettato con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione liquidate nella misura indicata in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di Cassazione che liquida in complessivi Euro 200,00 oltre Euro 1.000,00 a titolo di onorari ed oltre accessori come per legge.

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