Cassazione, Sez. III, 20 luglio 2010, n. 17029 Mancata riunione dei pignoramenti a catena, scatta l’opposizione agli atti esecutivi

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Svolgimento del processo

§1. Nel marzo del 1997 la C. s.n.c. dei F.lli B. A. & R. (poi divenuta C. s.a.s. di A. B. e C.) radicava presso l’allora Pretura di Fermo un pignoramento presso terzi a carico della Art. G. di F. G., quale sua debitrice, e nei confronti del Nuovo S. V. s.a.s., quale terzo debitor debitoris. L’esecuzione veniva sospesa a seguito di opposizione all’esecuzione del debitore e nelle more della sospensione il credito pignorato vantato dal F. nei confronti della detta s.a.s. veniva pignorato nel luglio del 1998 da altro creditore, la s.r.l. Tipolitografica K..

Nella relativa procedura che non veniva riunita all’altra, ancorché la terza pignorata N. S. V. s.a.s. avesse dichiarato la pendenza del primo pignoramento, interveniva altro creditore, la T. – Cassa di Risparmio della Provincia di Teramo s.p.a. In questa seconda procedura seguiva l’assegnazione del credito pignorato ai due creditori e la conseguente estinzione della procedura, di modo che, allorché, a seguito del rigetto dell’opposizione proposta dal debitore F. avverso la prima esecuzione instaurata dalla C., quest’ultima riassumeva il processo esecutivo, all’udienza fissata dal Giudice dell’Esecuzione la terza debitrice pignorata compariva dando atto della vicenda seguita all’altro pignoramento.

Con citazione dell’aprile del 2000 la C. conveniva in giudizio davanti al Tribunale di Fermo i due creditori assegnatari nell’altra procedura esecutiva, il debitore F. e la terza debitrice pignorata, proponendo – dopo aver riferito lo svolgimento delle due procedure esecutive e sull’assunto che, ove esse fossero state riunite, la sua posizione quanto al diritto di soddisfarsi sul credito sarebbe stata prevalente su quella degli altri due creditori, i quali avrebbero dovuto essere considerati intervenienti tardivi – le seguenti domande in via gradata, tendenti ad ottenere:

a) sul presupposto che l’ordinanza di assegnazione pronunciata nell’altra procedura esecutiva non sarebbe stata assoggettabile ad alcun mezzo di impugnazione e che, comunque, essa deducente non avrebbe avuto titolo per impugnarla non avendo partecipato alla procedura de qua, onde doveva assimilarsi ad un provvedimento definitivo avente contenuto decisorio opponibile ai sensi dell’art. 404, primo comma, c.p.c., la declaratoria alla stregua di quest’ultima della nullità, illegittimità ed inopponibilità dell’ordinanza di assegnazione, con conseguente revoca di essa e condanna delle due creditrici alla restituzione della sua posizione, mediante pagamento delle somme rispettivamente ricevute in assegnazione;

b) la declaratoria – comunque, cioè a prescindere dalla prima domanda – della nullità e/o illegittimità dell’ordinanza con le stesse statuizioni ripristinatorie;

c) nel presupposto che le due creditrici, nell’essersi fatte assegnare il credito, fossero incorse in un illecito ai sensi dell’art. 2043 c.c., la condanna delle stesse al pagamento delle somme ricevute a titolo di risarcimento del danno;

d) la condanna, in ulteriore subordine, al pagamento delle dette somme a titolo di arricchimento senza giusta causa.

§1.1. Il Tribunale, con sentenza del giugno 2001, dopo aver dichiarato – in ragione della richiesta formulata dall’attrice, la quale allegava essere stata soddisfatta stragiudizialmente – la cessazione della materia del contendere quanto alle domande nei confronti della s.r.l. Tipolitografica K. (rimasta contumace), rigettava tutte e quattro le gradate domande della C..

Quest’ultima appellava la sentenza, contestando le motivazioni della reiezione di tutte le domande gradatamente proposte e di queste riproponendo le ragioni giustificative.

§2. Con sentenza del 26 maggio 2007 la Corte d’Appello di Ancona riteneva innanzitutto infondato il primo motivo di appello, tendente a sostenere la riconducibilità dell’azione esercitata all’ambito dell’opposizione ai sensi dell’art. 404 c.p.c., affermando che l’ordinanza di assegnazione non poteva considerarsi soggetta al rimedio previsto da quella norma, in quanto provvedimento del processo esecutivo e non già emesso in sede di cognizione. Dopo di che, senza enunciare in alcun modo di voler passare all’esame del motivo successivo, la Corte territoriale argomentava immediatamente in questo senso: «Ciò posto, al fine di pervenire ad una corretta decisione della controversia in esame va rilevato che con l’opposizione di cui all’art 619 c.p.c. il terzo tende all’accertamento che sul bene sul quale il creditore procedente ha fondato la sua pretesa esecutiva esiste un suo diritto prevalente…». Quindi, dopo avere affermato che detta opposizione sarebbe esperibile anche al di fuori dell’esecuzione per espropriazione forzata, essendo il riferimento nell’art. 619 c.p.c alla proprietà o ad altro diritto reale soltanto esemplificativo [vengono citate Cass. n. 7413 del 1997 e Cass. n. 10028 del 1998], faceva leva – sulla base di queste premesse – su Cass. n. 333 del 1972, per giungere alla conclusione che il provvedimento di assegnazione emesso a favore delle due creditrici della seconda procedura, in quanto fondato su un pignoramento successivo a quello effettuato dalla C., non spiegava efficacia nei confronti di quest’ultima, dovendo trovare applicazione la disciplina dell’art. 2917 c.c. (che si riferirebbe a qualsiasi fattispecie estintiva del credito pignorato, ivi compresa l’assegnazione giudiziale in altra procedura che non sia stata riunita ad una precedente, per mancata applicazione degli artt. 550 e 524 c.p.c.) e dovendosi considerare che, una volta eseguito il pignoramento presso terzi di un credito e generandosi il vincolo di indisponibilità di cui all’art. 546 c.p.c., si verificherebbe l’inopponibilità rispetto al creditore pignorante del fatto sopravvenuto dell’assegnazione del credito in procedura originata da altro pignoramento successivo.

Sulla base di tali ragioni e dell’ulteriore rilievo dell’infondatezza dell’assunto dell’appellata T. di non esservi certezza circa la corrispondenza fra il credito pignorato dalla C. e quello pignorato nella seconda procedura, avendo la terza debitrice dichiarato a verbale dell’udienza di comparizione fissata nel secondo atto di pignoramento che esisteva proprio l’altra procedura esecutiva incardinata dalla C., la Corte territoriale, previa affermazione dell’assorbimento di ogni ulteriore motivo di appello, dichiarava l’inefficacia dell’ordinanza di assegnazione emessa dal Pretore di Fermo il 24 luglio 1998 nella procedura di pignoramento presso terzi in cui era intervenuta la T. e condannava quest’ultima alla restituzione di quanto conseguito in forza di detta ordinanza.

§3. Avverso questa sentenza la T. – Cassa di Risparmio della Provincia di Teramo s.p.a. ha proposto ricorso per cassazione contro la C. s.a.s. di Alessandro B. e C. e nei confronti della Art. Graf di F. Giampiero e del Nuovo S. V. s.a.s.

Al ricorso ha resistito con controricorso soltanto la C..

§4. La trattazione del ricorso era stata fissata in camera di consiglio, previa predisposizione di una relazione ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c. Il Collegio, nell’adunanza del 29 gennaio 2009, in relazione alla quale parte ricorrente depositava memoria, riteneva che il ricorso dovesse trattarsi in udienza pubblica.

Nella successiva udienza pubblica del 26 marzo 2009, in vista della quale parte ricorrente depositava memoria, il Collegio, con ordinanza resa all’udienza rilevava che non risultava perfezionata la notificazione del ricorso nei riguardi del F. e ne opinava il rinnovo, rinviando a nuovo ruolo.

A seguito dell’esecuzione dell’ordine di rinnovazione e del deposito del relativo atto, veniva nuovamente fissata la trattazione in pubblica udienza.

Motivi della decisione

§1. Preliminarmente va rilevato che l’ordine di rinnovazione della notificazione del ricorso al F. risulta eseguito dalla T. con atto inviato a mezzo posta ai sensi della l. n. 53 del 1994 dal suo difensore, consegnato all’ufficio postale di Roma il 1° aprile 2009 e, quindi, nel rispetto del termine concesso nell’ordinanza resa all’udienza del 26 marzo 2009. La T. ha depositato tempestivamente il ricorso rinotificato il 21 aprile 2009, cioè nel rispetto del termine di cui all’art. 371 -bis c.p.c. Unitamente al ricorso è stata depositata la ricevuta di spedizione del plico postale e certificazione di avvenuta consegna in data 4 aprile 2009.

§2. Il Collegio, sempre in via preliminare, rileva che la valutazione di tardività del ricorso a suo tempo espressa nella relazione ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., sotto il profilo della esclusione dell’applicabilità della sospensione dei termini per il periodo feriale non è condivisibile.

Si deve, infatti, considerare che la sospensione sarebbe stata inapplicabile soltanto all’azione che è stata qualificata dalla Corte d’Appello ai sensi dell’art. 619 c.p.c.

Questa azione – come si spiegherà in prosieguo – si identifica in quella che era oggetto della seconda domanda proposta in via gradata dalla C.. Quest’ultima, tuttavia, aveva proposto una domanda in via principale, quella espressamente qualificata alla stregua dell’art. 404 [primo comma] c.p.c. dirà, che era stata oggetto del primo motivo di appello, rigettato dalla sentenza impugnata, nonché altre tre domande in via subordinata e con nesso di subordinazione fra loro, la seconda delle quali è quella che è stata oggetto della detta qualificazione. La domanda principale, nonché la terza e la quarta domanda subordinate – rispettivamente concernenti l’invocazione in relazione alla vicenda della tutela ai sensi dell’art. 2043 c.c. e della tutela ai sensi dell’art. 2041 c.c. – non erano in alcun modo sottratte all’operare della sospensione dei termini. Il cumulo di domande così realizzatosi esigeva un regime unitario della sospensione ed esso, essendo la sospensione la regola e l’inapplicabilità di essa l’eccezione, esigeva – secondo giurisprudenza consolidata di questa Corte – che tutta la controversia fosse soggetta alla sospensione dei termini.

Né, al riguardo, può avere incidenza la circostanza che la decisione della Corte territoriale sulla domanda principale, espressasi con il rigetto del primo motivo di appello che la concerneva, non sia stata attinta del ricorso per cassazione in esame: infatti, quando si ha cumulo fra una domanda principale soggetta alla sospensione ed una domanda subordinata (ma anche alternativa) che non vi sia soggetta, poiché l’esercizio del diritto di impugnazione è soggetto alla sospensione fin da quando il termine di impugnazione decorre e ciò determina che anche il capo della decisione relativo alla domanda che alla sospensione, se proposta da sola, non sarebbe stata soggetta, resti impugnabile fino al decorso del termine accresciuto della durata del periodo di sospensione, non è possibile, una volta che il diritto di impugnazione in concreto sia stato esercitato solo riguardo alla domanda de qua applicare a posteriori ad essa l’esclusione della sospensione, sol perché non è stato impugnato il capo relativo alla domanda soggetta di per sé alla sospensione.

Inoltre (lo si rileva per il caso che nel qualificare la domanda ai sensi dell’art. 619 c.p.c. la Corte territoriale avesse inteso considerare proprio la domanda principale, il che, però, come si vedrà, non è), allorquando viene proposta una domanda in via principale sottratta alla sospensione dei termini per il periodo feriale e, in via subordinata per il caso di rigetto di essa, altra domanda o altre domande a loro volta legate da gradato nesso di subordinazione fra loro, le quali siano invece soggette alla sospensione, la regola da applicare è quella dell’operare della sospensione, in quanto, se operasse la regola contraria, applicabile alla domanda principale, si avrebbe l’operare della regola eccezionale della sottrazione alla sospensione al di là delle ipotesi eccezionali alle quali la legge la riferisce. Né, ad escludere l’operatività della regola generale della sospensione può attribuirsi rilievo alla circostanza che il giudice sia investito in via immediata solo della cognizione della domanda principale sottratta alla sospensione e debba esaminare la subordinata o le subordinate che soggiacciano alla sospensione solo dopo la decisione della principale: invero, se la principale è stata decisa in modo da rendere inutile la decisione sulla o sulle subordinate, l’esercizio del diritto di impugnazione, investendo la decisione sulla principale e potenzialmente comportando che la decisione sull’impugnazione quanto ad essa possa determinare che debbano esaminarsi in sede di impugnazione le domande subordinate, giustifica che la disciplina della soggezione alla sospensione operi, in quanto l’impugnazione potenzialmente concerne le subordinate.

Il principio di diritto che dev’essere affermato è, dunque, il seguente: ove vengano proposte più domande legate in nesso di subordinazione fra loro e solo la prima proposta in via principale sia sottratta alla sospensione dei termini per il periodo feriale, l’intera controversia deve ritenersi soggetta alla sospensione e l’esercizio del diritto di impugnazione, anche ove la decisione impugnata abbia riguardato solo la domanda principale e le altre domande siano rimaste assorbite per il tenore di essa, deve ritenersi soggetto all’applicazione della disciplina della sospensione.

§3. Con il primo motivo di ricorso si deduce “nullità della sentenza con riferimento all’art. 132 c.p.c. per mancanza assoluta di motivazione sull’esercizio da parte del giudice di secondo grado del potere discrezionale di interpretare del contenuto della domanda”.

Ci si duole che la Corte d’Appello, pur essendosi svolto il giudizio di primo grado nel presupposto che la domanda principale fosse stata proposta come domanda ai sensi dell’art. 404 c.p.c. e pur essendo stato svolto l’appello con una critica alla sentenza di primo grado nel punto in cui aveva negato che l’azione esercitata fosse ammissibile ai sensi di quella norma, abbia ritenuto di sussumere la fattispecie sotto l’ambito dell’art. 619 c.p.c., senza che vi fosse stata alcuna sollecitazione di parte e, peraltro senza motivare sulle ragioni giustificative del diverso inquadramento in iure. Ciò, ancorché la disciplina dell’azione ai sensi dell’art. 404 e di quella ai sensi dell’art. 619 c.p.c. siano profondamente diverse, inerendo la prima ad un mezzo di impugnazione straordinaria, soggetta alla competenza del giudice che ha pronunciato la sentenza, da introdursi nel rispetto dell’art. 330 c.p.c., mentre la seconda va proposta in via ordinaria prima che sia disposta la vendita o l’assegnazione del bene, essendo soggetta ai limiti di cui all’art. 620 c.p.c. se proposta dopo, avendo la funzione di escludere la soggezione del bene pignorato all’azione esecutiva, essendo di competenza del giudice dell’esecuzione, dovendo introdursi con notifica alla parte personalmente. Sulla ricorrenza di queste condizioni la corte territoriale avrebbe avuto il dovere di motivare.

Con un secondo motivo si lamenta “violazione o falsa applicazione degli artt. 2926 c.c. e 620 c.p.c.”. Vi si censura la motivazione della sentenza impugnata, là dove ha affermato che quando l’opposizione ai sensi dell’art. 619 c.p.c. non sia stata proposta prima dell’assegnazione, il creditore pregiudicato potrebbe agire contro il creditore assegnatario del credito per ottenere la restituzione di quanto abbia incassato indebitamente. In tal modo la Corte territoriale avrebbe ritenuto di ricondurre l’azione all’art. 620 c.p.c., ma non avrebbe considerato che l’azione recuperatoria prevista da detta norma non potrebbe avvenire sine die, ma andrebbe esercitata, per il necessario coordinamento con l’art. 2926 c.c., nel termine colà previsto. Nella specie, invece, l’assegnazione alla T. era avvenuta il 24 luglio 1998, mentre l’azione era stata esercitata nell’aprile del 2000.

Con il terzo motivo si denuncia “violazione o falsa applicazione degli artt. 487, 552, 553,619 e 620 c.p.c.”. Vi si sostiene che l’ordinanza di assegnazione del credito pignorato determinando la chiusura del processo esecutivo è impugnabile soltanto con l’opposizione agli atti ai sensi dell’art. 617 c.p.c. e, quindi, una volta preclusa quest’ultima, la norma dell’art. 620 c.p.c. andrebbe necessariamente coordinata con la stabilità degli effetti della detta ordinanza, di modo che un’opposizione ai sensi di quella norma non potrebbe essere proposta dopo il decorso del termine per la proposizione dell’opposizione agli atti.

Con il quarto motivo si deduce “violazione o falsa applicazione degli artt. 2917 e 1265 c.c.”. Vi si sostiene, al di là di una certa difficoltosa esposizione e di un non comprensibile richiamo alla disciplina della risoluzione del conflitto fra più cessionari dello stesso credito, che erroneamente la sentenza impugnata avrebbe fatto riferimento alla norma dell’art. 2917 c.c., la quale, come avrebbe ritenuto la sentenza n. 374 del 1996 della Corte costituzionale non troverebbe applicazione nel caso in cui l’estinzione del credito pignorato consegua ad un’assegnazione avvenuta in altra procedura esecutiva non riunita ancorché iniziata successivamente.

Con il quinto motivo si denuncia “violazione o falsa applicazione degli artt. 543, 547 e 619 c.p.c.” sotto il profilo che erroneamente la Corte territoriale, nella prospettiva della qualificazione dell’azione ai sensi dell’art. 619 c.p.c. avrebbe ritenuto che la mera notificazione del pignoramento presso terzi effettuata dalla C. avesse ad essa attribuito un diritto prevalente rispetto a quello acquisito con il secondo pignoramento dalla T., senza considerare che la fattispecie del pignoramento presso terzi di crediti si consolida solo con la dichiarazione del terzo, che nella specie era stata resa – peraltro con dichiarazione di avere corrisposto le somme pignorate alla stessa T. ed all’altra creditrice – solo dopo la riassunzione del processo esecutivo a seguito del rigetto dell’opposizione all’esecuzione.

Con il sesto motivo si denuncia, in relazione allo stesso punto della prevalenza oggetto del motivo precedente, “omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio”, imputandosi alla Corte territoriale di avere omesso qualsiasi motivazione sulla prevalenza della situazione della C..

Con il settimo ed ultimo motivo si lamenta “violazione o falsa applicazione dell’art. 619 c.p.c.”, là dove la Corte territoriale ha attribuito all’opposizione ai sensi dell’art. 619 c.p.c. una funzione restitutoria che non le apparterrebbe, condannando la ricorrente alla restituzione delle somme a suo tempo ricevute in assegnazione.

§3. Il primo motivo non è fondato.

Esso nella sostanza, al di là della mancata citazione della norma dell’art. 112 c.p.c. denuncia che la Corte territoriale sia incorsa in una ultrapetizione, là dove pur essendo stata proposta la domanda principale della C. alla stregua dell’art. 404 c.p.c. e pur avendo il primo motivo di appello investito la sentenza di primo grado là dove aveva escluso che i fatti dedotti a fondamento della domanda così proposta integrassero l’azione ai sensi di quella norma, ha – dopo avere condiviso la valutazione del primo giudice in proposito ed avere quindi rigettato il motivo di appello cosi come proposto – proceduto all’esame di quei fatti sulla base di una loro riconduzione all’azione ai sensi dell’art. 619 c.p.c., peraltro, senza dire espressamente con riferimento a quale parte dell’appello tale esame veniva compiuto.

Tuttavia, se si considera che la Corte territoriale non era stata investita soltanto del motivo di appello della C. con cui si lamentava l’esclusione della sussistenza a favore della medesima dell’azione ai sensi dell’art. 404 c.p.c., bensì anche del motivo d’appello con cui si era censurato il rigetto da parte del Tribunale della prima domanda subordinata proposta in primo grado dalla stessa C., con la quale si era chiesta, per il caso che fosse stata disattesa la postulazione di tutela ai sensi dell’art. 404, comunque la declaratoria della nullità e/o illegittimità dell’ordinanza con le stesse statuizioni ripristinatone, senza qualificare tale richiesta giuridicamente, risulta agevole ritenere che la Corte territoriale abbia proceduto all’esame di tale domanda riferendo ad essa la qualificazione ai sensi dell’art. 619 c.p.c., specie se si considera quanto segue.

Il Tribunale, in mancanza di qualificazione giuridica di quella domanda, avrebbe potuto procedere d’ufficio alla sua qualificazione ed esaminarla sulla base di quella ritenuta idonea.

Ora, parte ricorrente non ha in alcun modo allegato che il Tribunale avesse proceduto ad una simile qualificazione nel rigettare questa seconda domanda. Gli unici dati che il ricorso offre circa la decisione del Tribunale su detta domanda sono i seguenti: a) alla pagina tre, nel riferire brevemente le statuizioni del Tribunale, si dice che esso avrebbe escluso la nullità assoluta dell’ordinanza di assegnazione (pagina tre); b) alla pagina quattro si riferisce che la C., nell’appellare il rigetto della domanda de qua, aveva sostenuto che, al contrario di quel che aveva ritenuto il Tribunale nel rigettare la domanda sulla base della sentenza di questa Corte n. 333 del 1972, proprio questa sentenza avrebbe giustificato la dichiarazione di nullità dell’ordinanza di assegnazione; c) alla pagina sei, riproducendo le conclusioni della C. in appello, il ricorso riporta – dopo quelle inerenti il primo motivo, tendente a sostenere l’erroneità dell’esclusione dell’azione ai sensi dell’art. 404 c.p.c. – quelle prese “in via di subordine”, evidentemente relative al secondo motivo d’appello, ma anch’esse sono prive del riferimento ad una qualsiasi qualificazione giuridica da parte del Tribunale e non propongono una qualificazione a sostengo della fondatezza del motivo.

Nemmeno l’esame della sentenza impugnata evidenzia che il secondo motivo di appello fosse stato proposto, postulando la declaratoria della nullità e/o illegittimità dell’ordinanza di assegnazione con una precisa qualificazione giuridica: infatti, nella pagina sei la sentenza contiene le stesse espressioni della pagina tre del ricorso (che appare riprodurne il tenore) e nella pagina sette contiene le stesse espressioni della pagina quattro del ricorso (che così appare riprodurne il tenore).

In tal modo, per quello che la Corte è stata messa in grado di percepire nell’assolvimento dell’onere di autosufficienza della esposizione del motivo di ricorso per cassazione, si deve ritenere che il secondo motivo di appello della C. avesse riproposto la prospettazione della nullità e/o illegittimità dell’ordinanza, oggetto della prima domanda subordinata, in una situazione in cui non vi era stata una qualificazione originaria della parte attrice, non vi era stata nel rigettarla nemmeno una qualificazione prospettata dal Tribunale (la cui sentenza, peraltro, non si è indicato, sempre in ossequio al principio di autosufficienza, se e dove sia stata prodotta in questa sede: in termini, Cass. n. 12239 del 2007) e non vi era stata una precisa qualificazione con lo stesso motivo di appello.

In tale situazione, la lettura della sentenza impugnata, là dove, dopo avere rigettato il primo motivo di appello, ragiona di un’opposizione ai sensi dell’art. 619 c.p.c., pur senza espressamente dire se lo sta facendo nell’esaminare il secondo motivo, appare a fortiori riferibile ad esso e, nella descritta situazione di mancanza di una qualificazione della domanda oggetto di essa all’atto della sua proposizione, di rigetto della stessa senza una precisa qualificazione e di impugnazione del rigetto senza una precisa qualificazione, deve ritenersi che la Corte territoriale abbia inteso scrutinarlo esercitando essa stessa, come poteva fare, il potere di qualificazione in diritto. Lo stesso approdo dello scrutinio ad una dichiarazione di inefficacia dell’assegnazione avvenuta a favore della T., corrispondendo ad uno dei petita della prima domanda subordinata, ne dà conferma.

Sulla base di quanto osservato deve, invece, escludersi che la Corte territoriale abbia esercitato il suo potere di qualificazione sulla domanda proposta dalla C. ai sensi dell’art. 404 c.p.c., tant’è che ha rigettato il primo motivo di appello (statuizione in questa sede non impugnata), che riguardava proprio il rigetto di quella domanda.

Il primo motivo del ricorso è, pertanto, rigettato.

§4. La Corte ritiene a questo punto che sia logicamente prioritario il terzo motivo di ricorso, con il quale si postula in buona sostanza che il rimedio esperibile da parte della C. in ragione dell’assegnazione del credito pignorato nell’altra procedura esecutiva, nonostante l’anteriorità del pignoramento eseguito da essa stessa, sarebbe stato l’opposizione agli atti esecutivi ai sensi dell’art. 617 c.p.c. e non l’opposizione di terzo ai sensi dell’art. 619 c.p.c.

Questo motivo è fondato.

Invero, una situazione come quella oggetto della controversia, cioè di verificazione della pendenza di due diversi successivi pignoramenti sullo stesso credito da parte di diversi creditori e di mancanza della loro riunione, ancorché il debitor debitoris nella seconda procedura all’udienza per la dichiarazione sull’esistenza o meno del credito abbia fatto constare la pendenza del pregresso pignoramento, di modo che sia seguita, all’esito della definizione della procedura iniziata per seconda, l’assegnazione del credito al creditore procedente in essa (cioè al creditore che aveva eseguito il pignoramento successivo), è riconducibile – salvo verifica in concreto (lo si osserva considerando che nella specie risulta che la procedura iniziata dalla C. con il primo pignoramento ad un certo momento venne sospesa a seguito di opposizione della debitrice esecutata e venne riassunta dopo il rigetto dell’opposizione, il che – in ipotesi – potrebbe spiegare perché non si fece luogo alla riunione dei due pignoramenti) – ad una ipotetica violazione della norma del procedimento esecutivo di espropriazione di crediti presso terzi, di cui all’art. 550 c.p.c. Questa norma, infatti, richiamando l’art. 524, secondo e terzo comma, c.p.c. impone la riunione dei pignoramenti e comporta che, una volta avvenuta la riunione la posizione del primo pignorante rispetto a quella dei successivi creditori pignoranti sia regolata nei modi previsti da detti commi, a seconda che il pignoramento successivo sia avvenuto prima o dopo l’udienza di comparizione indicata con riferimento al primo pignoramento (cosi dovendosi raccordare il secondo comma dell’art. 551 c.p.c. con il rinvio dell’art. 550, secondo comma, all’art. 525 c.p.c: ma è questione che non è qui la sede per approfondire).

Della detta riunione, avendo avuto luogo la dichiarazione del terzo (doverosa ai sensi dell’art. 550, primo comma, c.p.c.) all’udienza correlata al secondo pignoramento e, quindi, dinanzi al giudice, si sarebbe dovuto fare carico eventualmente quest’ultimo (si richiama il rilievo poco sopra svolto in ordine all’essere stata la prima procedura sospesa per un certo tempo).

Ora l’ipotetica violazione della regola della riunione obbligatoria, essendosi risolta potenzialmente nella mancata applicazione a favore della C. delle regole dell’art. 524 c.p.c. (nel testo anteriore alle modifiche di cui al d.l. n. 35 del 2005, convertito nella l. n. 80 del 2005) e, quindi, nel riconoscimento, una volta riuniti i pignoramenti, o della pretesa a vedere considerata la posizione della T. come quella di una interveniente tardiva, o comunque della pretesa al concorso ai fini dell’assegnazione del credito, si è concretata – sempre ipoteticamente – in una irregolarità della procedura esecutiva nella quale ha trovato soddisfazione la T.. Rispetto ad essa la posizione della C., pur essendo essa formalmente estranea alla procedura, era quella di chi, per effetto della riunione, avrebbe potuto su di essa interloquire, vantando la pretesa a vederla svolgere unitamente alla sua pretesa esecutiva concretatasi nell’altro pignoramento, con tutte le conseguenze sottese alla riunione ed alle sue regole, prima fra tutte quella della norma sopra citata.

Una volta che fosse venuta a conoscenza dell’altra procedura esecutiva e della mancata sua riunione a quella che aveva anteriormente introdotto, la C., quale soggetto sostanzialmente coinvolto ed interessato allo svolgimento di essa, sarebbe stata allora legittimata a denunciare l’irregolarità di quello svolgimento e, poiché l’azione giudiziale che è prevista dall’ordinamento per il controllo della correttezza dello svolgimento del processo esecutivo è l’azione di opposizione agli atti, che, com’è noto, attiene al controllo sul quomodo del processo esecutivo, la medesima avrebbe dovuto tutelare la sua posizione con tale mezzo, che, naturalmente avrebbe dovuto utilizzare nel rispetto del termine di cui all’art. 617, secondo comma, c.p.c.

Ora, non è contestato che la conoscenza da parte della C. della pendenza dell’altra procedura esecutiva sarebbe stata acquisita soltanto – siccome enuncia il ricorso e dà atto il controricorso – all’udienza del 21 gennaio 2000, cioè all’atto in cui, ripreso il processo esecutivo, dopo la reiezione dell’opposizione, la terza pignorata Nuovo S. V. s.r.l. comparve e diede atto di avere corrisposto le somme pignorate ai due creditori procedente (Tipolitografica) ed intervenuto (T.).

Ne consegue che, se deve escludersi che la C. fosse stata tenuta ad agire prima, tuttavia, avrebbe dovuto tutelare la sua posizione nei cinque giorni dal 21 gennaio 2000.

§4.1. Sulla base delle considerazioni svolte si deve allora rilevare che del tutto erroneamente la Corte territoriale – qualificando la seconda domanda, proposta in via subordinata – ha ritenuto che il mezzo di tutela esperibile dalla C. dovesse ricondursi all’opposizione di terzo all’esecuzione ai sensi dell’art. 619 c.p.c., poiché la posizione della stessa non era quella del terzo che può esperire questo mezzo di tutela contro l’esecuzione: infatti, «il terzo che si pretende legittimato all’opposizione ai sensi dell’art. 619 cod. proc. civ. fa valere una situazione giuridica soggettiva sul bene esecutato o relativa al diritto che l’esecuzione è diretta a realizzare, a suo dire prevalente rispetto al diritto del creditore procedente di soddisfarsi» (Cass. n. 15030 del 2008, da ultimo). Tale situazione dev’essere di natura sostanziale e viene difesa dal terzo, che la vede implicata dall’esecuzione per un errore che assume essersi compiuto nell’indirizzarsi dell’azione esecutiva, per avere essa attinto un bene che non è di pertinenza del soggetto passivo della pretesa esecutiva.

La situazione vantata dalla C. sul credito pignorato per effetto dell’eseguito pignoramento è, invece, una situazione di natura processuale, rappresentante la proiezione, per mezzo dell’azione esecutiva, della pretesa alla responsabilità patrimoniale su un certo bene appartenente al patrimonio della sua debitrice. La regola della riunione dei pignoramenti successivi e quella conseguente della considerazione nei processi esecutivi riuniti del pignoramento successivo o alla stessa stregua di un intervento tardivo o come legittimante il concorso agli effetti dell’assegnazione del credito, è appunto funzionale alla tutela di detta situazione processuale e, quindi, ad assicurare un certo modo di svolgimento del processo esecutivo, onde, se questo modo non è stato assicurato il mezzo di tutela esperibile è l’opposizione ai sensi dell’art. 617 c.p.c., che, se è intervenuta l’assegnazione del credito può indirizzarsi contro di essa.

Che il mezzo di tutela del creditore pignorante nell’espropriazione di crediti, di fronte alla mancata riunione del suo pignoramento ad altro successivo, sia – come si è sostenuto fin qui – l’opposizione agli atti di cui all’art. 617 c.p.c. e che esso possa indirizzarsi, se nella procedura determinata dal secondo pignoramento successivo, abbia avuto luogo l’assegnazione, proprio contro l’ordinanza di assegnazione, è stato ritenuto da una lontana decisione di questa Corte, cioè da Cass. n. 1703 del 1973 (la quale, peraltro, nell’affermarlo ebbe ad escludere che il mezzo di tutela contro detta ordinanza potesse ravvisarsi nell’opposizione di cui all’art. 404 c.p.c.). Ma la prospettiva dell’opposizione agli atti era stata anche adombrata da una decisione ancora più remota, cioè da Cass. n. 3072 del 1958 (in Giust. Civ., 1959, I, 110 e ss.; nello stesso senso, antecedentemente, Cass. n. 2201 del 1954, ivi, 1954, I, 1526), sia pure in un’ottica nient’affatto condivisibile di automatica esclusione della idoneità della mancata riunione dei pignoramenti successivi a determinare una nullità, per essere la mancata riunione dipesa da inosservanza da parte dell’ufficiale giudiziario o del cancelliere delle previsioni dell’art. 524 c.p.c., il che, oltre ad essere ininfluente, perché le irregolarità del processo esecutivo deducibili con l’opposizione agli atti ben possono derivare da violazioni di norme del procedimento determinate dai detti ausiliari, posto che esse sono imputabili all’ufficio, riguardava comunque un caso di espropriazione di cose mobili. È vero, invece, che la mancata riunione determina sicuramente una irregolarità, la quale, in tanto potrà determinare una nullità dello svolgimento processuale successivo, in quanto la si verifichi in concreto – come s’è adombrato sopra – e, dunque, se ne sia derivato pregiudizio. Ma non è questa questione che meriti qui approfondire.

Dalle considerazioni svolte deriva a questo punto che la Corte territoriale, nello scrutinare il secondo motivo di appello concernente la domanda non meglio qualificata in iure di accertamento della nullità e/o illegittimità dell’ordinanza di assegnazione, ha, dunque, errato nel qualificare l’azione come opposizione ai sensi dell’art. 619 c.p.c., perché l’unica qualificazione corretta avrebbe potuto essere nel senso dell’opposizione agli atti e, sotto tale profilo, la Corte territoriale avrebbe dovuto rilevare, peraltro, che, essendo essa preclusa al momento della introduzione del giudizio per la scadenza del termine di cui al secondo comma dell’art. 617 c.p.c. decorso dall’udienza del 21 gennaio 2000, nessun’altra azione di impugnazione dell’ordinanza di assegnazione avrebbe potuto proporsi, onde il rigetto della domanda de qua disposto dal Tribunale appariva corretto.

La sentenza impugnata dev’essere dunque cassata quanto alla decisione con cui, sostanzialmente accogliendo il secondo motivo e la seconda domanda proposta in via subordinata dalla C., ha dichiarato l’inefficacia dell’ordinanza di assegnazione del 24 luglio 1998, disposta a favore della T..

Poiché non occorrono accertamenti di fatto per scrutinare il secondo motivo di appello, cui la statuizione qui cassata si riferisce, ricorrono le condizioni per decidere nel merito su di esso, nel senso del suo rigetto, perché nessuna azione di nullità o illegittimità dell’ordinanza di assegnazione competeva alla C., in quanto essa aveva perduto per decadenza l’unica azione possibile, cioè quella ai sensi dell’art. 617 c.p.c.

Parimenti, in assenza dell’esigenza di accertamenti di fatto, è possibile decidere sul terzo e sul quarto motivo di appello, già dichiarati assorbiti dalla sentenza impugnata per effetto dell’accoglimento del secondo motivo.

E la decisione non può che essere nel senso del rigetto, in quanto la preclusione dell’unica azione che la C. avrebbe potuto esercitare, esclude sia la possibilità di ravvisare un illecito a carico della T., sia la possibilità di configurare un arricchimento senza causa, atteso che la C. deve imputare a se stessa di aver perso la possibilità di tutelarsi (sempre che ne ricorressero le condizioni).

§6. Sia le spese del giudizio di appello che quelle del giudizio di cassazione possono compensarsi per giusti motivi, data la complessità della situazione oggetto di lite e la vetustà dell’unico precedente di questa Corte che avrebbe dovuto guidare i giudici di merito nella decisione e determinare i comportamenti delle parti.

P.Q.M.

La Corte rigetta il primo motivo di ricorso. Accoglie il terzo e dichiara assorbiti gli altri. Cassa la sentenza impugnata e, pronunciando nel merito sul secondo, sul terzo e sul quarto motivo di appello li rigetta. Compensa le spese del giudizio di appello e quelle del giudizio di cassazione.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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