Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 16-11-2012) 29-01-2013, n. 4335 Reati societari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con sentenza del 19/01/2010, il Tribunale di M.: a) ha condannato F.P., legale rappresentante e presidente del consiglio di amministrazione della società calcistica F.C. M. P., alla pena di quattro mesi di arresto, in relazione al reato di cui all’art. 2621 cod. civ., perchè, con l’intenzione di ingannare i soci o il pubblico e al fine di conseguire per sè o altri un ingiusto profitto, nel bilancio 2004/2005, indicava nella voce di bilancio "crediti verso altri oltre i 12 mesi", l’importo di Euro 540.507, quale credito asseritamente vantato dalla società calcistica nei confronti della Lega Nazionale Professionisti, in tal modo determinando una variazione del totale dei crediti "verso altri" superiore 10% rispetto al valore corretto capo h) b) ha dichiarato non doversi procedere in ordine ai reati di false comunicazioni sociali di cui ai capi 2 e 3 della rubrica, perchè estinti per prescrizione; c) ha ritenuto la società calcistica responsabile, ai sensi del D.Lgs. 8 giugno 2001, n. 231, applicando la pena pecuniaria di 150 quote; d) ha condannato il F. e la società calcistica al risarcimento dei danni in favore della parte civile C.O.N.I..
2. Con sentenza del 26/10/2010, la Corte d’appello di M., in parziale riforma della sentenza del 19/01/2010 indicata al punto 1, con riferimento alla posizione della curatela, ha indicato l’importo di ciascuna quota nella misura minima di Euro 258,00, confermando nel resto l’impugnata sentenza.
2.1. La Corte territoriale è stata chiamata a pronunciarsi anche sui reati dichiarati estinti per prescrizione, i quali avevano ad oggetto: a) l’avere riportato nel bilancio 2002/2003, anzichè in quello successivo, le plusvalenze derivanti dalle cessioni dei diritti pluriennali di cinque calciatori ( C., D., M., P., Pr.), avvenute con atti recanti data successiva al 30/06/2003 (capo 2); b) l’avere, nel bilancio 2003/2004, indicato nella voce di bilancio "crediti verso altri oltre i 12 mesi", l’importo di Euro 675.746, quale credito asseritamente vantato dalla società calcistica nei confronti della Lega Nazionale Professionisti, in tal modo determinando una variazione del totale dei crediti "verso altri" superiore al 10% rispetto al valore corretto (capo 3).
2.2. Con riferimento al reato di cui al capo 2, la decisione impugnata, dopo aver sottolineato che, in presenza di una causa di estinzione del reato, la sentenza di assoluzione, a norma dell’art. 129 cod. proc. pen., comma 2, può essere pronunciata quando le circostanze idonee ad escludere l’esistenza del fatto, la commissione da parte dell’imputato e la sua rilevanza penale emergano dagli atti in modo assolutamente non contestabile, ha ritenuto che il dato documentale, costituito dalla presenza in atti dei moduli federali sottoscritti dai rappresentanti delle società calcistiche interessate alle varie operazioni di cessione e recanti date successive al 30/06/2003, non fosse stato superato da emergenze di opposto tenore, idonee a dimostrare che siffatti moduli rappresentassero la formalizzazione successiva di accordi di cessione raggiunte in un momento anteriore al 30/06/2003. La Corte ha ritenuto, in particolare: a) che le deposizioni dei testi M. B. e C.G. fossero generiche e non avessero fornito precise indicazioni in ordine alla data e alle modalità dell’accordo; b) che gli articoli di stampa prodotti non solo non riportavano notizie definitive in ordine al trasferimento dei giocatori professionisti in esame, esprimendosi sempre in termini dubitativi, ma per di più erano stati smentiti dalle successive decisioni della società F.C. M. P.; c) che, se è vero che i principi contabili nazionali consentono di tenere conto nella redazione dei bilanci dei fatti significativi accaduti tra la data di chiusura (30/06/2003) e il termine finale di redazione del bilancio (30/09/2003), è però anche vero che, in base al principio di trasparenza, tali fatti devono essere illustrati nella nota integrativa; d) che, invero la medesima società aveva provveduto, in altri casi, ad indicare nella nota integrativa la sopravvenienza, dopo la formale chiusura del bilancio, fatti significativi; e) che gli ingenti versamenti economici effettuati dai soci per coprire le perdite nelle annualità 2001 – 2004, non assumevano rilievo al fine di escludere il dolo specifico, essendo evidente il loro interesse a non affrontare un esborso economico superiore a quello necessario per risanare il bilancio 2002 -2003 già ampiamente in perdita; f) che la falsa esposizione aveva comportato ulteriori vantaggi nel rapporto con la FIGC e ai fini della permanenza della società calcistica nel campionato, posto che il venir meno dei requisiti di stabilità finanziaria può comportare l’esclusione dalle operazioni di acquisizione del diritto alla prestazione dei calciatori e persino l’esclusione dal campionato.
2.3. Quanto ai reati di cui ai capi 3 e 4 della rubrica, la Corte territoriale ha rilevato che l’inserimento dei crediti asseritamente vantati nei confronti della Lega Calcio non trovava fondamento della delibera datata 19/03/1999, dalla quale emergeva che l’esistenza di un importo minimo garantito e il conseguente obbligo di integrazione delle società di serie A operava solo per il primo triennio, come era stato confermato dal teste R., all’epoca tesoriere della Lega Calcio. A fronte di tale quadro probatorio, la Corte ha ritenuto non necessario rinnovare l’istruttoria dibattimentale al fine di assumere la deposizione del vice presidente dell’epoca della Lega in rappresentanza delle squadre di serie B, ossia il dott. D.C..
Secondo la sentenza impugnata, pertanto, era stato violato il principio di prudenza che impone la registrazione di crediti determinabili nell’ammontare e ragionevolmente certi.
2.4. Con riguardo alla posizione della società calcistica, la Corte, dopo avere richiamato la motivazione del giudice di prime cure, ha ritenuto che il fallimento della società non è equiparabile alla morte del reo, per cui non determina l’estinzione dell’ente nè dell’illecito amministrativo dipendente da reato. La sentenza ha, infine, escluso che potessero essere riconosciute le attenuanti generiche alla luce della gravità dei fatti e della loro reiterazione nel tempo.
3. Avverso tale sentenza è stato proposto ricorso per cassazione nell’interesse del F. e della curatela del fallimento della società calcistica.
4. Il ricorso dell’imputato è affidato a cinque motivi.
4.1. Con il primo motivo, il F. lamenta, ai sensi dell’art. 606 cod. proc. pen., comma 1, lett. b), c) ed e) nullità della sentenza sotto i profili: dell’inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 2621 cod. civ.; dell’inosservanza dei criteri di valutazione della prova, ai sensi dell’art. 192 cod. proc. pen.; della violazione del dovere di motivazione, ai sensi dell’art. 125 cod. proc. pen.; della violazione del diritto alla prova di cui all’art. 190 cod. proc. pen.; della carenza, illogicità e contraddittorietà della motivazione, in relazione ai canoni della completezza, correttezza e coerenza nell’esame del materiale probatorio acquisito, del travisamento del fatto e del travisamento della prova.
In particolare, con riguardo ai capi 3) e 4) dell’imputazione si critica l’interpretazione fornita dai giudici di merito in ordine alla delibera 19/03/1999 della Lega Nazionale Professionisti, dal momento che il diverso ed alternativo criterio di ripartizione dei contributi, ritenuto operativo dai giudici di merito, poteva essere applicato solo alla condizione – non verificatasi – che il periodo di validità dei contratti radiotelevisivi si fosse ridotto a tre anni.
Per questa ragione, i due vice presidenti di lega avevano sollecitato tutte le squadre che militavano nel campionato di serie B a formulare specifica richiesta, alla quale non era mai seguito alcun riscontro negativo.
D’altra parte, il ricorrente lamenta che la Corte territoriale non abbia spiegato quale profitto sarebbe derivato da siffatta erronea appostazione. Con riferimento al capo 2 dell’imputazione, il ricorrente si duole del fatto che la Corte, dopo avere riconosciuto che il contratto di cessione delle prestazioni di un giocatore potesse essere validamente concluso anche senza forma scritta, abbia poi argomentato la conclusione dell’avvenuto perfezionamento in momento successivo al 30/06/2003, proprio valorizzando la data apposta sul modulo federale depositato presso la Lega. La Corte, illegittimamente, aveva poi gravato l’imputato dell’onere di dimostrare l’inesattezza di tale data, laddove solo l’accusa avrebbe dovuto provare le circostanze che rendono erronea l’appostazione in bilancio, nè si era curata, di fronte a dichiarazioni ritenute generiche di alcuni testimoni, di procedere, ex art. 507 cod. proc. pen., alla loro assunzione.
Il ricorrente censura la presunzione relativa alla possibile esclusione della società dal campionato per perdita dei requisiti di stabilità finanziaria, valorizzata dalla Corte, e il fatto che quest’ultima abbia trascurato di considerare che le plusvalenze inserite un bilancio precedente comunque sarebbero state acquisite ai dati economico – finanziari della società e che, come era accaduto in passato, si sarebbe registrata la disponibilità della società capogruppo a fornire il necessario sostegno economico alla società calcistica.
4.2. Con il secondo motivo, l’imputato lamenta, ai sensi dell’art. 606 cod. proc. pen., comma 1, lett. b), c) ed e) nullità della sentenza sotto i profili: della violazione del dovere di motivazione di cui all’art. 125 cod. proc. pen., della violazione del diritto alla prova di cui all’art. 190 cod. proc. pen., della carenza, illogicità e contraddittorietà della motivazione, con riferimento alla mancata audizione dei testi D.C., B. e C..
4.3. Con il terzo motivo, il F., in relazione al reato di cui al capo 2), si duole, ai sensi dell’art. 606 cod. proc. pen., comma 1, lett. b), della inosservanza e erronea applicazione dell’art. 2621 cod. civ., anche in relazione agli art. 1325, 1326, 1353 cod. civ., all’art. 5 I. n. 91 del 1981, all’art. 2423 bis cod. pen., ai principi contabili n. 11 e 29 OIC, nonchè, ai sensi dell’art. 606 cod. proc. pen., comma 1, lett. e), c) ed e) della mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione.
Dopo avere approfondito le critiche sopra riassunte al punto 4.1., attraverso il richiamo ad alcune dichiarazioni e a documentazione prodotta, che confermerebbero la consuetudine nel mondo del calcio mercato di ufficializzare gli accordi conclusi in data successiva, nel ricorso si rileva che, anche se i contratti si fossero conclusi dopo il 30/06/2003, ma prima del 30/09/2003, comunque sarebbe stata legittima l’appostazione delle plusvalenze nel bilancio 2002/2003, alla luce del criterio di competenza sancito dall’art. 2423 bis cod. civ., n. 3, inteso in senso sostanziale e non formale, secondo il principio contabile n. 11 OIC. Peraltro, proprio alla luce del successivo principio n. 29 avrebbe dovuto escludersi la necessità di dare conto di tale scelta nella nota integrativa. Nel terzo motivo si torna a criticare la motivazione quanto alla sussistenza dell’elemento soggettivo, con riguardo al fatto: a) che comunque il F. era amministratore e non socio di maggioranza e quindi determinatore; b) che nessun dolo poteva essere ravvisato nel fatto che i soci avessero inteso ripianare le perdite piuttosto che operare ulteriori interventi non obbligatori; c) che nessuna norma impone agli amministratori di effettuare interventi superiori rispetto a quelli necessari a risanare il bilancio. Inoltre, si lamenta che la motivazione abbia trascurato di considerare che già nel capo di imputazione mancava la menzione dei fatti idonei ad integrare il dolo specifico richiesto dalla fattispecie incriminatrice e che tale assenza era correlata alla concreta assenza di ogni prova degli stessi. Del resto, le scelte in tema di appostazione delle plusvalenze non aveva prodotto alcun effetto in punto di contrazione delle perdite nè in termini di portata degli interventi di finanziamento dei soci.
4.4. Con il quarto motivo, concernente i capi 3) e 4) della contestazione, si lamenta, ai sensi dell’art. 606 cod. proc. pen., comma 1, lett. b), violazione dell’art. 2621 cod. civ., anche in relazione agli artt. 1353 ss. cod. civ., all’art. 1988 cod. civ., al Delib. 19 marzo 1999, artt. 47 e 49 della Lega Nazionale Professionisti e alle altre risultanze processuali, nonchè, ai sensi dell’art. 606 cod. proc. pen., comma 1, lett. e) mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione.
Dopo avere riproposto in modo analitico le considerazioni sopra riassunte al punto 4.1., il ricorso rileva che l’inesistenza del credito non poteva derivare dall’assenza di un riconoscimento dello stesso da parte della Lega o dalla mancanza di risorse che consentissero a quest’ultima di adempiere.
4.5. Con il quinto motivo, si lamenta, ai sensi dell’art. 606 cod. proc. pen., comma 1, lett. b) e lett. e), violazione degli artt. 533, 529, 530, cod. proc. pen., nonchè, ai sensi dell’art. 606 cod. proc. pen., comma 1, lett. e) mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione. Il motivo è sostanzialmente destinato a riprodurre il contenuto delle note predisposte in occasione del dibattimento dinanzi alla Corte d’appello.
4.6. In via gradata, il ricorrente insiste nella declaratoria di intervenuta prescrizione del reato di cui al capo 4), cui sono dedicate le due memorie contenenti motivi aggiunti, nelle quali si sostiene che la causa estintiva del reato è intervenuta in data 18/02/2010, ossia in data anteriore alla pronuncia di secondo grado, o, al più tardi, in data 18/01/2011.
5. Il ricorso della curatela è affidato a due motivi.
5.1. Con il primo motivo, si lamenta inosservanza della legge penale, per mancata applicazione dell’art. 150 cod. pen., con conseguente violazione: a) del principio di personalità della responsabilità, b) delle norme del D.Lgs. n. 231 del 2001, che disciplinano le vicende modificative dell’ente secondo il generale principio di comunicazione della responsabilità al soggetto subentrante, senza far menzione del fallimento; c) del principio per cui il fallimento priva il fallito di ogni potere in relazione al suo patrimonio, talchè non ha ragion d’essere l’applicazione di una sanzione in danno di un soggetto non coinvolto nella vicenda dell’illecito.
5.2. Con il secondo motivo, si lamenta contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione nella parte in cui non erano state riconosciute le attenuanti generiche alla società, riconosciute, in favore del F., dalla sentenza di primo grado, confermata dalla decisione impugnata.
6. La parte civile nella sua memoria ha analizzato i motivi di ricorso e ha concluso per la loro inammissibilità o infondatezza.

Motivi della decisione

1. In difetto di evidenti cause di inammissibilità del ricorso del F., deve essere va dato atto dell’estinzione del reato per effetto della prescrizione intervenuta in data 18/06/2011, anche in relazione al reato di cui al capo 4) che risulta commesso in data 18/01/2006. Agli effetti penali, la sentenza va, pertanto, annullata senza rinvio, ai sensi dell’art. 620 cod. proc. pen., comma 1, lett. a).
Sempre agli effetti penali, i motivi di ricorso che denunciano vizi di motivazione relativi alla delibazione compiuta con riferimento ai capi 2 e 3, per i quali già la Corte d’Appello ha dichiarato l’intervenuta prescrizione, sono inammissibili.
2. Ciò posto, attesa la presenza della parte civile, occorre scrutinare i vizi lamentati dai ricorrenti.
2.1. Con riferimento alla vicenda relativa ai contratti di cessione dei diritti, deve rilevarsi che la motivazione della Corte territoriale non esibisce alcun vizio di manifesta illogicità. La sentenza impugnata ha analizzato compiutamente sia le dichiarazioni che la documentazione prodotta (pag. 12 – 14 della sentenza). La rilevata genericità delle prime sul piano dei tempi e della modalità dell’accordo è stata accompagnata, nell’analisi della Corte, anche da puntualizzazioni idonee a smentire la generica certezza narrativa per cui gli accordi erano stati conclusi prima del 30 giugno 2003 (v., in particolare, pag. 13 della sentenza), con la conseguenza che i sollecitati approfondimenti istruttori sono stati motivatamente avvertiti come superflui dalla Corte territoriale. In questa prospettiva si spiega che la decisione abbia attribuito rilievo all’unico elemento dotato di efficacia probatoria certa, ossia la data apposta in calce ai contratti. Si tratta di valutazione di merito, che non muove affatto dal presupposto che i contratti di cessione che si esaminano possano essere conclusi solo per iscritto, ma solo dalla ritenuta valenza probatoria degli stessi, in difetto di una attendibile ricostruzione alternativa.
Accertati tali elementi, la Corte d’Appello ha correttamente ritenuto che occorresse dar conto, nella nota integrativa, in forza del principio di trasparenza, della scelta di imputare all’esercizio precedente fatti che non realizzavano, attesa la ricostruzione accolta, condizioni esistenti alla data di riferimento e che comportavano una variazione dei valori.
Che tale imputazione, peraltro, comportasse un aumento delle voci attive, idonea a circoscrivere eventuali esborsi dei soci in vista del ripianamento della passività è evidente. Siffatta considerazione, valorizzata dalla sentenza impugnata per dimostrare la sussistenza del dolo specifico, non è incrinata nella sua logicità dalle considerazioni svolte nel ricorso e tra loro non armoniche, per cui, per un verso, si afferma che era ragionevole presumere in ogni caso un intervento economico risanatore (pag. 15 del ricorso) e, per altro verso, che tale intervento non era obbligatorio (pag. 40 del ricorso).
In realtà, il fatto che il socio intenzionato ad assicurare la prosecuzione dell’attività abbia l’interesse a non immettere risorse esuberanti rispetto allo stretto necessario si può comprendere sul piano economico, ma tale obiettivo, a garanzia dei creditori, deve avvenire nel rispetto del criterio generale della competenza (art. 2423 bis cod. civ., comma 1, n. 3,). Non è infatti indifferente, come il ricorso mostra di ritenere, che le plusvalenze siano incluse nel bilancio di un anno o di quello successivo, giacchè il legislatore, in aderenza alla realtà economica, mostra di attribuire rilievo al fattore tempo.
2.2. Quanto alla vicenda relativa all’iscrizione del credito vantato nei confronti della Lega Nazionale Professionisti, la Corte territoriale ha ritenuto, coerentemente al dato letterale della delibera, allegata al ricorso del F., che il criterio del minimo garantito avesse un’operatività circoscritta al primo triennio, talchè la pretesa di conseguire l’importo equivalente anche per gli anni successivi non aveva alcun fondamento attuale. La clausola successiva valorizzata dal ricorrente e condizionata alla riduzione a tre anni del periodo di validità dei contratti televisivi – condizione pacificamente non verificatasi -, proprio perchè inattuabile, non comportava affatto, sul piano letterale, la perdurante vigenza oltre il triennio espressamente indicato del criterio del minimo garantito, ma legittimava solo la generale ripartizione percentuale prevista all’inizio dell’art. 47 della delibera menzionata.
Ne discende che la doverosità giuridica di non indicare in bilancio tali crediti non scaturisce dalla assenza di un riconoscimento da parte della Lega, se non nel senso che solo un’eventuale delibera modificativa di quella originaria poteva fondare il diritto ad un conguaglio, nè deriva dall’assenza o presenza di risorse nel bilancio della Lega. Ciò che conta è che manca il titolo del credito vantato, per cui la condotta serbata ha rappresentato una chiara violazione del principio di veridicità e correttezza del bilancio, codificato dall’art. 2423 cod. civ., con un vantaggio espresso dall’incremento ingiustificato delle poste attive nel periodo di riferimento.
A fronte di tale esegesi della delibera, del tutto superflua è correttamente apparsa alla Corte l’audizione del teste D.C., il quale, in rappresentanza delle squadre di serie B, poteva solo esprimere il punto di vista di queste ultime, ma non fornire attestati di correttezza all’una o all’altra interpretazione della delibera.
3. Il ricorso della curatela fallimentare è infondato.
3.1. Con riferimento al primo motivo, va rilevato che questa Corte anche di recente ha disatteso la tesi secondo cui la dichiarazione di fallimento determina l’estinzione dell’illecito amministrativo dipendente da reato (Sez. 5, n. 44824 del 26/09/2012, Magiste International s.a.).
Occorre muovere dal dato normativo che non contempla siffatta causa di estinzione.
La soluzione è coerente con la premessa concettuale per cui il fallimento degli enti collettivi non è equiparabile, per ragioni strutturali e funzionali, alla morte, traducendosi piuttosto in una procedura concorsuale, che non determina giuridicamente l’estinzione del soggetto fallito e che è finalizzata al soddisfacimento dei creditori, cui può in astratto conseguire il ritorno in bonis. Ne discende che il silenzio del legislatore delegato nella sezione 2^ del Capo 2 del D.Lgs. n. 231, dedicato alle vicende modificative, lungi dal dimostrare la volontà di sottrarre il fallimento alle cause che non estinguono la responsabilità amministrativa, si giustifica piuttosto col fatto che il fallimento non comporta una modifica soggettiva dell’ente e non è assimilabile in alcun modo alle fattispecie contemplate.
Può anche aggiungersi che proprio tale diversità, giuridica ed economica, giustifica la soluzione normativa.
La responsabilità amministrativa degli enti, infatti, mira a sollecitare l’adozione e la vigilanza sul rispetto di standard doverosi di condotta idonei a prevenire i reati commessi nell’interesse o a vantaggio dell’ente, con un’evidente distorsione dei meccanismi ordinari di concorrenza, che devono svolgersi nel rispetto del principio di legalità.
Non casualmente tra i casi di riduzione della sanzione pecuniaria previsti dal D.Lgs. n. 231, art. 12 si colloca anche il fatto che l’autore abbia commesso il reato nel proprio preminente interesse e l’ente non ne abbia ricavato vantaggio o abbia ricavato un vantaggio minimo. Nella stessa prospettiva rientrano l’art. 17, che prevede una causa di non applicazione delle sanzioni interdittive, quando l’ente, tra l’altro, abbia messo a disposizione il profitto conseguito ai fini della confisca (comma 1, lett. c), e l’art. 19, che disciplina la confisca obbligatoria del profitto del reato (comma 1) o di somme di denaro, beni o altre utilità di valore equivalente.
In definitiva, la finalità preventiva e sanzionatoria perseguita dal legislatore si traduce in meccanismi che colpiscono anche l’utilità ritratta dal patrimonio dell’ente, con l’obiettivo di scoraggiare soluzioni di calcolo preventivo del costo dell’illecito nella valutazione economica delle conseguenze delle condotte da adottare.
In questa prospettiva, si comprende anche la ragione del privilegio attribuito dall’art. 27 al credito dello Stato derivanti dagli illeciti amministrativi dell’ente.
Ma soprattutto si giustifica il fatto che la sanzione continui a gravare sul patrimonio dell’ente anche quando, per l’incapacità di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni, venga dichiarato il fallimento di quest’ultimo.
Va aggiunto, a confutazione di un argomento menzionato durante la discussione orale, che la prescrizione del reato nel corso del procedimento non determina l’estinzione dell’illecito amministrativo.
In realtà, nel sistema normativo delineato dal D.Lgs. n. 231 del 2001, la responsabilità dell’ente si caratterizza per la sua autonomia rispetto a quella dell’autore del reato, al punto che l’art. 8 del D.Lgs. cit. espressamente dispone, al comma 1, che la responsabilità dell’ente sussiste anche quando il reato si estingue per una causa diversa dall’amnistia. La prescrizione del reato piuttosto, ai sensi dell’art. 60 D.Lgs. cit., comporta la decadenza dalla potestà sanzionatoria, nel senso che preclude la possibilità di procedere alla contestazione 3.2. Anche il secondo motivo è infondato, dal momento che il principio di autonomia che regge la responsabilità dell’ente, la quale trova nella commissione del reato, nel suo interesse o a suo vantaggio, solo uno dei presupposti per la configurabilità dell’illecito amministrativo, giustifica una diversa vantazione, della condotta dell’autore del reato e delle soluzioni organizzative adottate dall’ente, in punto di riconoscimento di circostanze idonee a graduare in senso riduttivo la sanzione.
Escluso, pertanto, che il riconoscimento delle attenuanti generiche in favore dell’imputato, debba necessariamente tradirsi in un’attenuazione della responsabilità dell’ente, deve rilevarsi che la motivazione adottata dalla Corte territoriale, che ha valorizzato la gravità dei fatti e la loro reiterazione nel tempo, non si espone a censure di manifesta illogicità.
4. Il rigetto del ricorso del F. agli effetti civili comporta la sua condanna alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalla parte civile, che, alla luce delle questioni trattate, si liquidano nella misura indicata in dispositivo.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di F. P. limitatamente al reato di cui ai capo 4), per intervenuta prescrizione; dichiara inammissibile il ricorso del F. relativamente agli addebiti di cui ai capi 2) e 3), già dichiarati prescritti; rigetta il ricorso di F.P. agli effetti civili; rigetta il ricorso della curatela del fallimento della F.C. M. P. s.r.l.; condanna F.P. alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalla parte civile, che liquida in Euro 5.000,00, oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 16 novembre 2012.
Depositato in Cancelleria il 29 gennaio 2013

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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